Cesenatico
Naufragio della Consolata a Cesenatico, il ricordo di un superstite
Vita e morte nella Cesenatico del dopoguerra: il naufragio della barca Consolata mietette 17 vittime, segnando nel profondo i superstiti. La tragedia sarà ricordata questa mattina alle 11, con una corona funebre, dagli ultimi due sopravvissuti.
Quella del 21 luglio 1946, una domenica, doveva essere una giornata spensierata al mare per tanti “bagnanti”, come si chiamavano al tempo i turisti.
L’Italia era uscita dalla Seconda guerra mondiale da appena un anno e c’era voglia di ricostruire e pensare al futuro, lavorare duro e svagarsi. Il mese prima un referendum aveva archiviato la monarchia in favore della Repubblica e da una settimana appena Alcide De Gasperi, smessi i panni di presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia, aveva formato il primo Governo dell’Italia repubblicana.
A Cesenatico era una giornata “stupenda e bellissima” come ricorda il cesenaticense Franco Paglierini che al tempo aveva otto anni. La lancia Consolata, usata per la pesca in inverno e per le “passeggiate sul mare” in estate, era di proprietà di suo padre (38 anni) e di suo nonno (66 anni), esperti marinai con alle spalle un lungo periodo di servizio nella Marina militare.
Paglierini li raggiunse a riva, davanti al Grand Hotel di Cesenatico, sulle 14,30. Mezz’ora dopo salirono sulla lancia i primi turisti: uomini, donne e bambini (uno di appena un anno) provenienti da Bussecchio di Forlì. Di lì a poco la barca salpò, con Paglierini (costretto al viaggio controvoglia dal padre) sulla prua della lancia.
“Già sulle acque vi erano altre barche – spiega Paglierini, che oggi ha 80 anni – in attesa di noleggiare ai bagnanti, oltre a famiglie sui mosconi che remavano, vicini e al largo”. La giornata era serena e nulla poteva far presagire la tragedia.
Superato il molo, la lancia si porto davanti alla spiaggia Ponente di Cesenatico. Poi, d’improvviso, il tempo mutò e le onde si gonfiarono, con i “cavalloni” che provenivano dalla spiaggia. La Consolata cominciò le manovre per rientrare ma si ribaltò di taglio.
Le persone cercarono di restare attaccate allo scafo, mentre il padre di Franco si prodigava per portarne in salvo quante più possibile: “non faceva altro che nuotare a cross, per recuperare le persone strappate dalle onde. Per mio padre era un continuo via e vai. È stata l’unica persona che ha potuto aiutarci”.
I naufraghi furono poi salvati da una motobarca, costretta a raggiungerli con estrema cautela a causa della possibilità di trovare in acqua delle mine a spoletta magnetica. Nel frattempo, il mare aveva chiamato a sé strappandole alla vita ben 17 persone.
“Io fui sollevato e tirato su per ultimo – ricorda Pagliarani – la motonave dondolava creando difficoltà. Perciò tenevo il dito indice della mano destra il più ritto possibile, ma i tentativi di essere afferrato dal pollice e indice, scivolavano dalla mano del salvatore, furono diversi. Finalmente fui tirato su a bordo in coperta. Mio padre e mio nonno rimasero insieme attaccati al relitto, e dopo due ore andarono i soccorsi a prelevarli”.
Non furono gli unici ad essere salvati: “Nella stiva c’erano già tante persone che non facevano parte della nostra gita. Si seppe, la settimana seguente, che erano state raccolte nel mare della spiaggia di levante tra coloro che avevano preso a noleggio i mosconi”.
Questa mattina, alle 11, le 17 vittime saranno ricordate con la deposizione in mare di una corona funebre. Alle 18, invece, nella terrazza del Bagno Milano (piazza Costa) il giornalista Salvatore Giannella terrà una conferenza sul naufragio, organizzata dall’Università per gli adulti di Cesenatico.