Cesenatico
Pesca in crisi. Drudi (Cesenatico): “È il tempo di resistere”
Le antiche imbarcazioni a vela del Museo della Marineria ormeggiate accanto ai moderni motopescherecci, lungo il Porto Canale disegnato da Leonardo Da Vinci, raccontano ancora oggi la storia e i “saperi” della tradizione marinara di Cesenatico.
Un grande passato che oggi si confronta con un presente critico, come racconta Mario Drudi, segretario della cooperativa “Casa del pescatore”, attiva nella città romagnola sin dal 1930. “La cooperativa assiste i suoi soci in diversi modi: dalla gestione delle pratiche relative a licenze, autorizzazioni, documenti di bordo, a quella del magazzino e della compravendita di materiali e attrezzature per la pesca, dalla rappresentanza sindacale alla fornitura del carburante, passando per varie iniziative promozionali e sociali e per la valorizzazione delle produzioni ittiche. Mettiamo a disposizione dei nostri soci anche 50 garage per il rimessaggio degli attrezzi, un capannone per la manutenzione, riparazione e creazione delle reti da pesca”.
“Nel porto abbiamo anche impiantato 25 colonnine per l’erogazione di corrente elettrica e acqua per i pescherecci”. Nella Marineria di Cesenatico ci sono 80 barche divise “per mestieri”: “Venti sono asservite ad impianti di allevamenti di mitili, una quindicina sono vongolare, abbiamo poi una ventina di ‘barchini’ che pescano con le retine e una trentina che fanno strascico o la pesca del pesce azzurro, per un totale di 200 persone occupate”.
“Un presente critico”. Il settore ittico oggi vive una perdurante situazione di crisi: prima la pandemia da Covid-19 che ne ha determinato più volte il fermo attività, adesso la guerra in Ucraina che ha provocato l’impennata del prezzo del gasolio con conseguente crescita dei costi operativi. “Lo scorso marzo – ricorda Drudi – il comparto pesca si è fermato per una settimana a causa del caro carburante. Una scelta condivisa ma non risolutiva. Va infatti accompagnata da seri provvedimenti strutturali da parte delle Istituzioni e degli enti preposti, per aiutare il comparto. Nel corso degli anni il nostro settore ha visto le barche da pesca in Italia dimezzarsi nel numero e negli addetti. Questi ultimi sono passati da 35mila a poco meno di 20mila. Ci sono porti svuotati di pescherecci. A Cesenatico avevamo 40 barche che facevano pesca a strascico – quella che cattura la maggior parte del pesce consumato e di pregio – oggi sono solo 20, quelle che pescano il pesce azzurro come alici e sarde sono due. Ma questo impoverimento vale anche per le Marche e per l’Abruzzo, in parte per il Veneto”.
Circa il caro gasolio, Drudi snocciola numeri che, meglio di tante parole, descrivono la situazione: “Come cooperativa vendiamo il gasolio ai nostri soci a 1,25 euro a litro, una cifra bassa se messa a confronto con i prezzi di oggi che raggiungono anche 1,40 euro. Prima di questa crisi – conseguente alla guerra in Ucraina – un litro di gasolio costava la metà, 0,60-0,65 centesimi. In pieno Covid, con il crollo del prezzo dei prodotti petroliferi, i pescatori erano arrivati a pagare anche 0,35 centesimi a litro. Così, se prima un piccolo peschereccio pagava 1.200 euro a settimana per il gasolio (a fronte di un consumo di 2.000 litri), ora ne paga 2.500. Una barca grande ne paga oltre 6.200 rispetto ai 3.000 di prima (per un consumo settimanale di 5.000 litri)”. L’aumento del costo dell’oro nero è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, anche perché, ricorda Drudi, “ha provocato, per effetto domino, l’aumento delle tariffe elettriche e del gas. Sono saliti anche i prezzi di materiali necessari alla pesca come le casse di polistirolo, le reti, le corde, i cavi, i lubrificanti per i motori, tutti prodotti derivati dal petrolio. Anche il ghiaccio, usato per la conservazione del pesce, è aumentato a causa del caro energia. Tutto ciò pone alle nostre imprese ittiche forti problemi di sostenibilità economica e finanziaria”. Ma a pesare, spiega il segretario della cooperativa, sono anche “le scelte dell’Ue che hanno ridotto l’attività di pesca a poco più di 120 giorni annui per le barche a strascico che sono poi la maggioranza dei pescherecci. Per lo ‘strascico’ non sono previsti nemmeno dei fondi per l’ammodernamento e la messa in sicurezza delle barche. Ci sono poi divieti che impediscono la pesca entro 3-6 miglia dalla costa, e regolamenti che chiedono l’ingrandimento delle maglie delle reti. Tutte decisioni che spingono l’attività di pesca al di sotto della soglia della sostenibilità economica e che fanno sparire dai mercati il prodotto nostrano” a vantaggio di quello importato dall’estero. La sensazione, per Drudi, “è che in Italia stiamo andando verso la concentrazione della pesca su poche barche che diventeranno padrone di queste risorse naturali. Il nostro Paese, con tutte le migliaia di km di coste che possiede, oggi non ha nemmeno 20.000 pescatori professionisti. La Croazia invece, con molte meno coste, ne ha più di 20.000, dotati di una flotta moderna”.
Il mestiere del pescatore. Questo quadro a tinte fosche del settore ha come ulteriore conseguenza la fuga dei giovani dalla pesca. Come conferma Claudio Cesarini, armatore del peschereccio “Vikingo”: “Per attutire gli effetti del caro carburante – spiega mentre ripara una delle sue reti – abbiamo ridotto gli orari di pesca concentrandoli durante la notte quando maggiore è la pescosità. Siamo stati costretti a ridurre anche il personale. Così cerchiamo di far quadrare i conti finché è possibile. Speriamo in un futuro migliore perché se resta questa crisi al nostro mondo non si avvicinerà più nessuno. Mi riferisco soprattutto ai giovani. Sono sempre di meno quelli che abbracciano questo lavoro – io sono tra gli ultimi – a meno che non si abbia qualcuno in famiglia che lo faccia già. Ma sono mosche bianche. I problemi del nostro settore, come il caro gasolio, ricadono tutti negli stipendi”.
“È una professione dura – conferma Drudi, segretario della cooperativa – si passa tutta la notte in mare che non è sempre ‘calmo’. Lavori in ogni condizione climatica, non ci sono tempi di svago. Un piccolo peschereccio prende il largo alle 18 della sera e rientra alle 10 del giorno dopo, quelli grandi restano 36/48 ore in mare. Una pausa e poi di nuovo a pescare”. Un piccolo peschereccio può costare 700/800mila euro, quelli più grandi possono arrivare anche a 2 milioni di euro.
“Difficile andare avanti se non guadagni. Purtroppo, da tempo, assistiamo al fenomeno dell’uscita dalla pesca, favorito anche dall’Ue che contribuisce alla demolizione dei natanti. Le barche dismesse non saranno più rimpiazzate. Nei prossimi fondi strutturali è atteso un nuovo bando di demolizione. Credo che ci sarà la corsa delle imprese per accedervi”.
Aiuti in arrivo. Tuttavia qualcosa sembra muoversi. Il 6 giugno scorso il Parlamento europeo ha approvato il sostegno finanziario destinato a pesca e acquacoltura per alleviare le conseguenze economiche dell’invasione russa. La compensazione coprirà il mancato guadagno di operatori e produttori della pesca e dell’acquacoltura, nonché i costi aggiuntivi sostenuti a causa della guerra, come l’aumento dei prezzi dell’energia, delle materie prime e dei mangimi per pesci. L’aiuto sarà fornito retroattivamente dal 24 febbraio 2022, quando è iniziata l’aggressione russa, con un tasso di cofinanziamento del 75%. Aiuti in arrivo anche da Governo italiano e Regioni. “Per sostenere la marineria italiana – ribadisce Drudi – occorre creare le condizioni per garantire un’attività non in perdita. Finora le Regioni hanno messo a disposizione delle somme come forme di ‘ristoro’. Altri aiuti dovrebbero arrivare dal Governo. L’Emilia Romagna ha chiesto al Governo che vengano erogate con tempestività alle imprese della pesca le risorse nazionali di 20 milioni di euro, (destinate nel mese di marzo e messe a disposizione nelle scorse settimane, ndr). La stessa Regione, con il prossimo assestamento di bilancio di fine luglio, garantirà 1,5 milioni di euro di indennizzi ai pescatori colpiti dai rincari del carburante. Altro aiuto potrebbe arrivare dal credito di imposta che dovrebbe essere prorogato per il secondo trimestre e speriamo anche per il terzo. Inoltre per rilanciare il settore bisogna permettere alle imbarcazioni di accedere ai fondi strutturali utili ad apportare migliorie e ammodernamenti, come avviene per altre imprese del settore ittico”.
“Il nostro settore deve essere sostenuto da un numero importante di imbarcazioni che garantiscano sia la quantità che la qualità del prodotto. Se nei porti verranno meno i pescherecci a risentirne sarà anche la ristorazione di qualità, specie quella dei centri della costa”.
“Il bilancio di questo percorso – conclude Drudi – si farà alla fine. Bisogna uscire dall’emergenza. Ora è tempo di resistere anche perché la crisi sembra essere più lunga del previsto”.
Foto agensir.it