Un cesenaticense in Sudafrica con il prOJECT KAsi, in favore dei bambini di una baraccopoli

In Sudafrica è nato un progetto, da poco più di un anno, che mira a dare un futuro ai bambini più disagiati e alle relative famiglie della baraccopoli di Nyanga, a 20 chilometri da Città del Capo. Il cesenaticense Luca Pantani, residente nella capitale legislativa dello Stato, ha aiutato un ragazzo del luogo a far crescere ‘prOJECT KAsi’. L’organizzazione ha come finalità quella di allontanare i più piccoli dai pericoli dal ‘ghetto’ attraverso l’uso dello skateboarding. Partiti da un semplice piazzale adibito a parcheggio, ora gli aderenti all’iniziativa possono praticare la disciplina sportiva nel cortile recintato di una scuola.

Come è nato il progetto?

Ho conosciuto Theo, originario del Sudafrica e ideatore del progetto, a maggio dello scorso anno tramite mia moglie. Lui è appassionato della tavola a quattro ruote e ha incominciato a dare lezioni gratuite a 4-10 bambini della baraccopoli. Lo andai a trovare nella township, sede degli allenamenti. La zona non è per nulla sicura e c’è da tenere gli occhi ben aperti.

La vita in baraccopoli è durissima.

L’infanzia qui è trascorsa tra crimini e forte povertà. I genitori dei bambini spesso sono assenti, impegnati a far sopravvivere loro stessi. I figli non hanno quindi regole. Molti vengono allevati all’interno delle gang, così da diventare criminali o tossicodipendenti. Theo è riuscito a non finire in questo buco nero e si è salvato con lo skateboard. L’unico obiettivo che abbiamo è quello di salvare più bambini possibili.

Come vengono svolte le ‘session’?

Le teniamo al pomeriggio nel dopo scuola. Io sono l’aiutante di Theo, è lui l’anima dell’iniziativa e premia i bambini più partecipativi, facendoli entrare nel gruppo fisso dopo tre lezioni consecutive. Il numero ora oscilla dalle 20 a 35 unità. Theo si rivolge ai piccoli in Xhosa, una delle tante lingue locali, in quanto l’inglese non è molto parlato. Prima cerca di capire come stanno i bambini e poi passa alla pratica sportiva, spiegando i trick. L’ollie (il salto con la tavola, ndr) è l’obiettivo di base per tutti, la lingua dello skateboard è internazionale.

Cosa l’ha spinta in questo progetto?

Sono venuto in Sudafrica diversi anni fa per surfare e praticare il kite surf, due discipline che svolgo e mi affascinano da sempre, insieme a snowboard e skateboard. A Città del Capo vivo con la mia famiglia e sono titolare di una trattoria. Appena conobbi Theo, fummo in totale connessione. Ho deciso così di aiutarlo, sponsorizzando personalmente la sua attività in favore dei bambini. Ora abbiamo protezioni, scarpe, abbigliamento, 20 skate e strutture come rail, jump e box per far imparare i diversi trick della disciplina.

Come ha reagito la comunità locale?

Il responso è stato pazzesco! Tanto che il preside dell’istituto ha voluto conoscermi. Sono felice dell’impatto positivo avuto sui bambini e anche di essermi messo in gioco per una causa così nobile. 

Ci sono stati momenti di tensione?

Lo scorso 6 marzo, Theo è stato coinvolto in un tentativo di accoltellamento a causa di un regolamento di conti tra il preside della scuola e un ex dipendente. Per fortuna è riuscito a scappare e nell’aggressione non è rimasto ferito, in quanto la lama ha tagliato solo la sua maglia. La paura è tanta da allora e quindi vorremmo avere la possibilità di allenarci in totale sicurezza. Non possiamo abbandonare i bambini a causa del far west tipico della zona.

La tavola può essere vista come mezzo di riscatto sociale?

Lo sport trasferisce senso di disciplina ai bambini. Lo skateboarding è una mia grande passione da quando ero piccolo. Ho usato tutta l’esperienza maturata nel settore per mettere insieme una community di appassionati e aiutarmi nel progetto. Ho poco tempo libero ma mi rendo disponibile. Solo chi pratica questo sport conosce quali risultati dà chiudere un trick, cadere e rialzarsi. Le emozioni sono così forti che per un bambino possono fare la differenza. Tramite lo skate trovano un mezzo per distaccarsi dalla loro dura realtà e avere una prospettiva diversa del futuro.

C’è stata anche una visita speciale a febbraio.

Ho incontrato degli atleti professionisti del team Adidas di Berlino che ci hanno devoluto dei loro materiali. I bambini sono riusciti a conoscere uno di loro, un ragazzo nativo proprio di Città del Capo che ora vive in Germania. I ragazzini erano entusiasti e ora hanno un altro modello di riferimento oltre a noi. Vivendo sempre nella baraccopoli, non hanno nemmeno degli esempi positivi sui quali basarsi.

Il coronavirus e le misure restrittive hanno però costretto a sospendere le lezioni.

Ora non possiamo insegnare skate a causa del lockdown. Per questo ci prendiamo cura dei bambini del progetto e delle loro famiglie, consegnandogli pacchi alimentari. Io e alcuni conoscenti raccogliamo le somme necessarie per l’acquisto di prodotti e Theo fa le consegne. 

Per sostenere l’iniziativa dall’Italia con una donazione, scrivere a freelife.luca@gmail.com o alla pagina Facebook ‘prOJECT KAsi’.