Valle Savio
Viaggio a Sarsina, dove le frane non si contano più. Ma qua nessuno si piange addosso
Le frane non si contano. È impossibile una stima dei danni. E sui tempi per il ripristino delle infrastrutture distrutte dalle valanghe di acqua, fango, alberi e detriti non sono stimabili. Lo stesso vale per la spesa da sostenere. A occhio sembra un intervento immane. Ma tutto si rimetterà a posto, ne sono certo, dopo aver visto la gente al lavoro oggi a Sarsina e nelle contrade vicine alla città plautina.
In Romagna la gente è molto concreta. Poche parole, si possa subito ai fatti. Chiamo il sindaco Enrico Cangini e il vicesindaco Gianluca Suzzi. Entrambi sono stati rieletti a valanga domenica e lunedì scorsi. Manifesto loro il desiderio di rendermi conto di persona di quanto è accaduto. Dicono che mi aspettano. Salgo in auto. Lungo la E45 vedo lo stato del Savio del dopo alluvione. Il fiume è ancora grosso, fa paura. Si notano benissimo fin dove è arrivato e i danni arrecati. Intere sponde sono state mangiate dalla furia dell’acqua. Il campo sportivo di Borello è allagato, così come numerosi terreni vicini agli argini. Lo svincolo di Mercato Saraceno è chiuso. Una montagna di terra e di massi ha travolto il muro di contenimento ed è finita in strada.
Sulla superstrada che porta a Roma non incontro quasi nessuno. Esco a Sarsina e mi dirigo verso il paese. La strada per Sant’Agata Feltria è chiusa (foto sotto).
In Comune trovo diversi dipendenti al lavoro, ma non ci sono né il sindaco né il suo vice. Hanno troppo da fare in queste ore concitate. Chiamo Cangini. Dopo pochi minuti mi viene a prendere. Indossa la divisa della Misericordia. Saliamo in auto con il presidente Paolo Rossi e altri due volontari. Cangini mi porta lungo la vecchia statale umbro-casentinese, la SS 71, in direzione Roma, risistemata da Anas da poche mesi. La strada è interrotta prima di Turrito, poco dopo l’azienda Vossloh. Un costone è sceso a valle. Lo squarcio nella montagna è enorme. Ha attraversato la strada, l’ha invasa ed è andato oltre. Quello che è rimasto in alto incute timore. Potrebbe scivolare da un momento all’altro. Passiamo svelti. Sotto i nostri piedi abbiamo l’asfalto ricoperto dal fango, ma sotto non c’è più nulla. In gran parte siamo sospesi nel vuoto. La terra è scivolata a valle. Il pericolo è altissimo. Buttiamo un occhio su altri tratti. Alcuni sono rimasti pensili, nel vuoto. Si possono notare solo dalla E45 che corre più in basso e più lontana.
Arriva il vicesindaco. Inizia a piovere. Salgo con lui. In auto con noi c’è anche un geometra libero professionista, Simone Bartolomei, che è anche consigliere comunale. Qua svolge la funzione di tecnico. Il cellulare di Suzzi squilla in continuazione. Anche con l’auto, una Panda 4×4 che sale ovunque e pagata anni fa 50 euro, un acquisto azzeccatissimo di cui si stima l’ex dipendente Simone che dà una mano come volontario, si fatica nel procedere. Tutti fermano l’amministratore pubblico. Chiedono notizie sulle utenze da riallacciare, sugli interventi di ripristino da effettuare. Suzzi è paziente con tutti, anche se da tre giorni non dorme. Ci avviamo lungo la strada che collega il capoluogo con la frazione di Ranchio che si trova nell’altra valle, quella del Borello. La strada è piena di smottamenti e in più punti la carreggiata si restringe a motivo delle frane. Sembra ci sia stato un bombardamento, oppure un terremoto. L’effetto è quello. Le poche famiglie che vivono quassù o sono già state sfollate o devono aspettare l’arrivo di aiuti. È difficile muoversi in queste condizioni e ci vogliono pure i mezzi adatti.
Arriviamo alla frana di Vetracchio, quella del video che ha fatto il giro del mondo grazie a Internet e che anche noi abbiamo pubblicato. Suzzi e io scendiamo e andiamo sull’orlo dell’immenso squarcio. La voragine è enorme. La terra ha inghiottito se stessa. Suzzi mi indica l’asfalto sotto di noi. Si vedono le righe bianche più in basso di almeno 20 metri. Poi mi dice: “Quando ho visto questo, mi sono messo a piangere”. E confida: “Ho attraversato quel tratto di strada 30 secondi prima che venisse giù tutto”. Un miracolato.
Suzzi vuole farmi vedere come si possono raggiungere le famiglie, una quarantina di residenti (per lo più sfollati), che sono rimaste oltre la frana, tra cui quella di Mauro Freschi, il direttore generale della locale Bcc. Scendiamo verso Sarsina e risaliamo lungo la strada che porta alla Badia di Montalto. Ci avventuriamo su una strada bianca che in diversi tratti ha tenuto, ma in numerosi altri mostra vistosi smottamenti e ha il manto stradale coperto di melma. La nostra Panda non teme alcun terreno e sale senza timori.
La nebbia avvolge il panorama e rende ancora più cupo il clima generale. Sembra più novembre che maggio inoltrato. Suzzi mi ricorda i nomi delle frazioni coinvolte dalle ordinanze di sgombero: oltre Vetracchio, Tezzo, Vignole, Montalto. Poi mi cita i borghi di competenza di Mercato Saraceno: Goiba, Musella e Monte Finocchio. “Sai Francesco – dice ancora – pensavo in questo fine settimana di andare in giro con il mio vecchio Mercedes cabrio che ha trent’anni. Invece vedi quello che ci è successo?”. Lungo la strada si incontrano altre minuscole località. Casalino, La costa, dove abitano poche persone rimaste isolate dalla frana. Dall’alto la voragine è impressionante per l’ampiezza e perché ha sfiorato un’abitazione e un’altra è rimasta come appesa, poco sopra. Sia a Suzzi sia al suo compagno di sopralluoghi in questi giorni difficili viene il magone a ricordare quei momenti drammatici del crollo improvviso. “Abbiamo sentito un rumore enorme. Botte improvvise, poi in pochi attimi, la strada è stata inghiottita”.
Il tempo ormai stringe. Dobbiamo tornare in municipio. Ci aspetta un collegamento con Rainews24 che nel frattempo ci ha contattati. Rifacciamo la strada della salita. Si notato squarci sul costone di fronte e un’altra strada franata. La foto immortala un paesaggio surreale. Così come la realtà che stiamo vivendo.
Dopo la diretta televisiva, salgo nella sala del consiglio comunale per congedarmi. Il sindaco Cangini, il vice e i più stretti collaboratori sono in riunione con il comandante dei Vigili del fuoco (foto qui sotto). Nessuno si piange addosso. Anzi, si vuole essere concreti e operativi. I bisogni sono infiniti, ma da qualche parte bisogna iniziare e si descrivono le strategie per l’immediato.
Per scendere a valle scelgo la vecchia statale. Ovunque noto frane. Sono diversi gli operai al lavoro per ristabilire un minimo di normalità. Prima di Mercato Saraceno, sulla sinistra, o smottamento è stato importante (foto sotto).
Fuori dal paese la strada è interrotta: bisogna riprendere l’E45. (foto sotto)
Sul cavalcavia faccio una manovra azzardata, ma in queste condizioni tutto è permesso. Fermo l’auto, aziono le quattro frecce e vado a fotografare la frana che ostruisce l’uscita di Mercato Saraceno per chi viene da Cesena. È spaventosa per imponenza (foto qui sotto). Come mi aveva detto poco prima il geometra Bartolomei, qui bisogna rivedere tutto il modo in cui abbiamo pensato di costruire e di contenere la montagna. Non è bastato nulla.
Sì, questa alluvione con le sue frane ha messo a nudo tutti i nostri limiti, noi che pensavamo di avere ingabbiato la natura. Ma qua si pensa al dopo che oggi è già iniziato. Per rinascere e ripartire. Perché questa valle, con i suoi paesi, i suoi borghi, la sua storia, i suoi boschi e i suoi sentieri è bella. E domani lo vuole essere più di prima. Parola di chi qui ci vive, ci soffre, ci piange, ma anche ci spera perché qui vuole rimanere.