Da Mercato Saraceno a Linaro, il viaggio e le voragini. Il racconto

Dopo Sorrivoli e Sarsina, oggi tocca a Mercato Saraceno. È il mio viaggio nelle nostre colline, per cercare di fare comprendere quello che è accaduto in quei luoghi un po’ dimenticati nella notte tra martedì e mercoledì scorsi, quando una grande quantità di acqua è caduta in pochissimo tempo. La terra spaccata dalla lunga siccità non ha assorbito la pioggia come di consueto e questa avrebbe provocato un effetto scivolamento che si è diffuso come un domino. Nessuno ricorda, a memoria d’uomo, un evento paragonabile, per vastità e per numero degli smottamenti. 

Già di prima mattina tento di mettermi in contatto con il sindaco Monica Rossi. È in ricognizione sul territorio, capisco dalle telefonate che si interrompono subito. Faccio un tentativo con il presidente della Misericordia Valle del Savio che ha sede a Gualdo di Roncofreddo. Contatto Israel De Vito e trovo un contatto.

Prima di arrivare a Mercato Saraceno voglio vedere la frana che ha fatto chiudere la vecchia statale subito dopo Taibo (foto sotto). Dal Comune assicurano che dovrebbe essere sistemata nel giro massimo di un paio di giorni. E già questa è una buona notizia.

In piazza a Mercato Saraceno mi aspetta Alberto Braschi. Mi affida un amico, Alessandro Pari, titolare di un’azienda agricola a Monte Sasso. Saliamo a bordo del suo piccolo Suzuki Samurai, una piccola 4×4 (foto sotto) dalle prestazioni perfette per il tipo di terreno che siamo chiamati ad affrontare.

Risalendo Ciola nel senso inverso rispetto al percorso della Nove colli che qui si sarebbe dovuta disputare domani e a cui erano iscritti più di nove mila ciclisti, ci imbattiamo in un ambiente che non ha nulla a che vedere con quello cui siamo abituati. Sembra di essere in mezzo a un paesaggio lunare. Sulla strada c’è melma. I lati sono costellati di voragini causate da costoni che si sono rovesciati verso valle. L’ampiezza delle singole frane e la loro frequenza offrono lo spettacolo tipico del bombardamento o quello del terremoto. Non sembra possa essere dovuto alle piogge battenti.

I nostri commenti di meraviglia si sprecano. Pari è già salito fino a Ciola, ma quel che vede lo stupisce lo stesso. Lui qui ci vive e ama questo territorio. A Monte Sasso Ezio Fabbretti, 76 anni, ha l’azienda agricola con la moglie Rosanna, la figlia Morena e il genero Gianluca. “Scusami se ti do del tu – mi dice – ma ormai alla mia età do del tu a tutti”.

Nella stalla vengono accudite 35 mucche, ma a causa delle interruzioni alla strada, nessuno in questi giorni passa a ritiralo. Allora i Fabbretti producono il Reviggiolo, un tipico formaggio di queste zone collinari che cominciano ad avere il sapore della Toscana. La stalla è a non più di due-tre metri da uno smottamento che ha portato con sé del materiale, ma non ha creato altri danni. Presso la loro azienda viene allestito un banco per la distruzione dei viveri (foto sotto) che i volontari, e Pari è fra questi, portano fin quassù a chi è isolato da mercoledì mattina.

In una delle frane più rovinose Pari mi fa notare una grande ruspa di cui poco prima mi aveva parlato una signora nel chiosco della piadina. Un macchinario da non meno di 150 mila euro finito nella scarpata, senza che nessuno, per fortuna, in quel momento lo stesse azionando. Una valanga di terra, alberi e fango l’ha trascinato nel vuoto, più in basso di 20-30 metri rispetto a dove era fermo. Qua la terra si muove e l’acqua scorre ancora molte forte, esce dal terreno e crea preoccupazione.

Prima del bivio per l’antica pieve di Monte Sorbo (VI secolo), il manto stradale presenta enormi avvallamenti e ampie fenditure in più punti. È impercorribile. Ci si deve inerpicare su una ripidissima, e oggi melmosa, rampa melmosa (foto sotto) realizzata dalla famiglia Petrini che qui risiede e alleva maiali. Il mangime è stato portato, dopo quattro giorni, travasandolo dai camion ai trattori per farlo arrivare in qualche maniera.

Verso la pieve la strada ha subito dei cedimenti vastissimi. Le frane sono più di una. Qui sono al lavoro i Vigili del fuoco del Lazio. L’operazione è complessa su un terreno melmoso e infido. Non è per nulla semplice cercare di riaprire un varco che possa permettere alla famiglia Chiarini di uscire dall’isolamento.

Riprendiamo la strada verso il piccolo borgo di Ciola. Nel ristorante “Allegria” è stato allestito il deposito dei beni di prima necessità per la popolazione residente che i volontari delle Misericordie hanno fatto arrivare fin qui. La signora Anna (foto sotto, a destra) è accogliente come sempre e dice, per non smentirsi, anche se ancora non ha il gas e l’acqua calda: “Ci hanno portato di tutto e ci hanno trattato benissimo”.

Vicino alla chiesa di Ciola incontriamo altri abitanti. Sono tutti molto preoccupati. Sul terreno si aprono nuovi fronti di cedimenti e l’apprensione accresce in tutti. Pari racconta che ha utilizzato, dopo aver chiesto il permesso al proprietario, materiali ricavati dall’abbattimento di un rudere per realizzare la massicciata necessaria al transito.

Siamo sul crinale. Incrociamo un’auto. “Volevamo distrarci un attimo – dicono i due coniugi occupanti che abitano poco distante (d’altronde la strada è chiusa e non poteva esserci in giro nessun altro, ndr) -. Ma sono giorni che siamo chiusi in casa e volevamo prendere una boccata d’aria”. Così si sono fatti un giretto, avranno fatto sì e no un chilometro, con il loro Pandino. “Qua comunque, sembra la fine del mondo”, così i due si congedano da Pari. D’altronde, aggiunge il mio angelo custode per un giorno, “Quando vengono giù boschi interi non ci sono sistemi che possano tenere”. 

Arriviamo dove neanche il mio accompagnatore finora si è avventurato. Dove inizia la discesa verso Linaro e la valle del Borello le frane tornano a farsi frequenti. La strada è sventrata in maniera grave. Qui si sta lavorando con energia per ripristinare il collegamento tra le due valli, interrotto da quattro giorni. Un camion in retromarcia scarica 500 quintali di ghiaia grossa (foto sotto). Un peso enorme per strade spesso rimaste pensili. Un collega con una pala la spiana. Un minimo di praticabilità è stato ristabilito.

Davanti a noi riparte Giovanni Torri della Igt. Lui scende come noi per la prima volta verso Linaro. I tornanti sono costellati di alberi pericolanti e altri già abbattuti. L’impressione è che il pericolo sia incombente. Procediamo su un terreno instabile, ma l’auto è sicura, con le sue marce ridotte. Terra, detriti, buchi, voragini: quello che era il colle Ciola si è trasformato in un percorso avventura. La strada quasi non esiste più. Qui è tutto da rifare, dalla morfologia, all’intero versante collinare. Ci vorranno anni.

Prima di arrivare a Linaro incrociamo il proprietario dell’abitazione all’inizio della salita, Attilio Manucci, che abita la grande casa, una villa, assieme alla moglie, ai due figli, alle loro due mogli e a quattro nipoti. Se la sono vista brutta. “La notte tra il 16 e il 17 maggio qua si è formata una diga da quel torrentello che quasi non esiste – ci spiega –. Poi ha rotto l’argine di colpo e abbiamo temuto che abbattesse la casa. Abbiamo avuto paura e non è stato semplice gestirla”.

Abbiamo riaperto la strada tra le due valli, anche se è ancora interdetta al traffico. Troppi tratti sono ridotti nella carreggiata, esposti e pericolosi e la zona non è per nulla stabile. Ci vorrà tanto tempo per poter tornare a una situazione accettabile. Intanto molto si sta già facendo. “Lo sforzo richiesto è oltre le nostre forze – mi dice il sindaco Monica Rossi al nostro rientro in paese quando ormai è sera -. Qualcuno ci dovrà venire incontro”. Per questa gente e per questa terra, così bella e ora così ferita.