Valle Savio
“Generosità, disponibilità, amore grande: quanto lasciato da Silvia e Ugo venga seminato nei campi della memoria perché continui a dare frutto”
Le tre figlie, i genitori, le famiglie, gli amici, i colleghi. Ricordo e preghiera si fanno vicinanza, consolazione, forza. È stato l’abbraccio forte di una comunità quella che ieri sera nella Concattedrale di Sarsina ha stretto a sé tantissime persone che hanno partecipato alla Messa di settima in suffragio di Silvia Ruscelli e Ugo Beltrammi, la coppia di sposi sarsinate – lei medico presso l’Irst di Meldola e lui geometra in Comune a Mercato Saraceno – che venerdì 20 maggio ha perso la vita in seguito a un incidente in moto in territorio trentino. I due coniugi si stavano recando al concerto di Vasco Rossi.
“Non è un semplice ricordo, ma è vivere insieme a Silvia e Ugo l’esperienza con l’incontro con il Signore – così si è espresso il parroco di Sarsina don Renato Serra in apertura della Messa concelebrata da don Edero Onofri -. La Messa che celebriamo è l’incontro con Gesù risorto. Ci lasciamo accompagnare da Maria, madre della Chiesa e madre nostra. Maria porta nel cuore questo grande desiderio: che i figli a lei affidati possano incontrare Gesù. Possano lasciarsi amare da lui. Questa è la prima certezza che abbiamo: il Signore ci ama. Anche se noi ce ne dimentichiamo o non ci pensiamo. Questa certezza ci dà la gioia e la forza di continuare a vivere”.
“Fare memoria è essere dentro a un avvenimento. Riunirci ed esserci insieme, ora, in comunione: questo ci può aiutare a capire – le parole di don Renato nell’omelia -. Anche se in maniera povera e imperfetta come ricorda San Paolo: ‘Noi vediamo come uno specchio che deforma la realtà. Ma arriverà il tempo in cui vedremo chiaramente, e capiremo tutte le cose. Questo può essere possibile quando viviamo nell’unità’. Poteva sembrare un momento di tristezza. Qualcuno gli ha detto: ‘Gesù, ci sentiamo orfani. Come facciamo senza di te?’. Gesù cerca di assicurarli. Poi li vediamo uniti, Chiesa primitiva: uomini e donne che hanno seguito Gesù. E insieme a loro c’è Maria, madre di Gesù. Maria che tiene uniti quei figli che gli sono stati affidati. Perché sa che nell’essere uniti nella fede in Gesù morto e risorto, diventa comprensibile ciò che umanamente non possiamo capire. È risuonata tante volte, in questo periodo, quella domanda: perché? Io non so dare una risposta, perché la risposta non dipende dall’aver studiato. Dall’essere prete tanto meno. La risposta ci può venire solo attraverso l’accoglienza dello Spirito Santo”.
“Proprio ieri – ha proseguito il sacerdote – abbiamo celebrato la festa di Pentecoste che rende piena e completa la Pasqua del Signore. Nel Vangelo di ieri Gesù ci diceva questo, rispondendo alle obiezioni dei suoi amici ‘Ci lasci soli. Come possiamo vivere senza te?’. E la sua risposta: ‘Vi mando lo Spirito. Il soffio di Dio che dà la vita’. Credo nello Spirito Santo che è il Signore e dà la vita. È il soffio vitale di Dio. E poi ci ha detto: ‘Lui vi insegnerà ogni cosa’. Ora facciamo fatica a capire, ma se accogliamo questo dono e viviamo nello Spirito, allora piano piano vi farete una ragione. Troverete un senso e una risposta a quella domanda: perché? La prima cosa che ci insegna lo Spirito è questo: è in Lui che troviamo la verità della nostra vita. La verità su questa vita terrena. Ce lo ha ricordato il vescovo Douglas nel giorno del saluto a Silvia e a Ugo, portandoci tre esempi: le foglie che cadono dall’albero. Non solo in autunno, ma anche le foglie verdi quando arriva la tempesta. Una volta a terra, quelle foglie marciscono e diventano cibo e vita per farne germogliare altre. L’altro esempio, quello della candela che per illuminare e riscaldare si deve consumare. E così è stato Gesù, che si è consumato totalmente fino a spegnersi nella sua vita in croce, perché noi potessimo sentire calore e potessimo avere la vita. Il terzo esempio: le lacrime di quella mamma, vedova, che accompagnava al cimitero l’unico figlio: quelle lacrime che hanno saputo toccare il cuore di Gesù e hanno potuto abbracciare, vivo, suo figlio. Questo ci fa capire che nel momento del più grande dolore, la vita viene rigenerata”.
“Ecco allora l’invito che ci viene dallo Spirito – ha detto ancora don Renato -. Di non rinchiuderci nel nostro dolore. Di non rinchiuderci nel non senso di ciò che accade. E qui rivolgo un invito a fare attenzione: certe espressioni (‘Cerco un senso alla vita, anche se un senso non ce l’ha’): è nichilismo. Non è quello che hanno vissuto Silvia e Ugo: hanno vissuto da figli di Dio, e continuano a farlo. Ci hanno dato testimonianza preziosa e continuano a darci memoria. Sono qui, con noi, in una dimensione diversa, non possiamo toccarli. Ci danno la testimonianza di figli di Dio, per la vita che hanno impostato – personalmente, come sposi e come famiglia – che è stata una vita nello Spirito ricevuto nel Battesimo, quello Spirito che hanno ricevuto 19 anni fa qui davanti, il 22 giugno, nel giorno del loro matrimonio. Il mese di giugno è particolare per loro: ieri è stato il compleanno di Silvia; il 14 quello di Ugo. Il 22 il matrimonio: giugno è un mese di vita. E allora facciamo tesoro di questo, perché è dentro a questa realtà che loro hanno vissuto”.
“Qui in mezzo c’è il sindaco Enrico – ha aggiunto il parroco – Dopo che ci siamo detti il dolore di quanto successo, siamo entrati negli aspetti più organizzativi. Come potremo fare nel giorno del funerale? Come possiamo fare a fare un video o amplificazione? “Lo chiederemo a Ugo”: era una espressione che si usava. Silvia, una disponibilità grande non solo nel suo lavoro preziosissimo, ma anche al servizio della nostra comunità parrocchiale, dando e spendendo energie e tempo per accompagnare i nostri bambini e ragazzi nel conoscere Gesù. La disponibilità di entrambi nel tenere vivo il servizio bello e prezioso del teatro “Silvio Pellico”, del nostro asilo: sono eredità che loro hanno ricevuto e che ora trasmettono. Loro che avevano 24 ore al giorno a disposizione come tutti, eppure trovavano il tempo per loro, per la famiglia, per il lavoro, per i momenti di distensione, per il servizio in parrocchia, al nostro paese e alla nostra comunità. Ecco l’eredità che ci lasciano. Se ne facciamo memoria, e non semplice ricordo, vuol dire entrare dentro a questa vita. Insieme a loro. È un raccoglierne l’eredità. Noi spesso ci nascondiamo dietro al ‘Non ho tempo…’. Questo nostro nasconderci non è una bella cosa. Loro ce lo hanno dimostrato, che è possibile, dentro a quella vita dello Spirito. Perché hanno vissuto di fede. Una testimonianza semplice, ma è una delle poche famiglie che alla domenica tutti insieme partecipavano alla Messa. Tutti insieme. Il loro posto era lì, e ancora li vedo in una maniera particolare, come solo il Signore può renderci capaci di vedere le persone”.
“Silvia e Ugo ci lasciano questa domanda – ha concluso don Renato -. ‘Noi abbiamo ricevuto una eredità: di vivere dentro a questa vita come figli di Dio. L’abbiamo accolta come dono grande, vissuto in famiglia come sposi, con le nostre figlie, per il nostro paese e per la nostra comunità parrocchiale, oltre che per il nostro lavoro. E siamo contenti di tutto quello che abbiamo vissuto. Ora è il momento che voi camminiate da soli, senza di noi. Senza di noi qui, in questa vita terrena. Ma con noi accanto. Siamo disposti ad aiutarvi, a farvi venire in mente le cose che facevamo e che ci saranno da fare. Chi raccoglierà questa testimonianza? Chi prenderà esempio da noi e saprà vivere dentro a questo umanesimo cristiano che ha saputo produrre frutti preziosissimi?’. Ecco, farne memoria è raccogliere questa domanda e darvi risposta. Chiediamo che questi semi di generosità, disponibilità, amore grande che hanno vissuto nella loro vita, vengano seminati nei campi della memoria perché continuino a dare frutto. Lo Spirito ci dia la forza e la gioia di spenderci con semplicità e con tanta fede.
Durante il canto dell’offertorio, i ragazzi del catechismo seguiti da Silvia hanno portato all’altare una rosa bianca, “segno di amore grande che Silvia ha avuto per loro – ha spiegato don Renato -. Siano queste rose a parlare per ciascuno di loro”.
“Come tu mi vuoi, io sarò. Dove tu mi vuoi, io andrò. Se mi guida il tuo amore, paura non ho. Per sempre io sarò. Come tu mi vuoi…” sono state le parole del canto di Comunione. A cui sono seguite diverse testimonianze “da vivere nell’ascolto”.
Il primo è stato il sindaco di Sarsina Enrico Cangini: “Intervengo in punta di piedi, cercando di essere semplice e sobrio. Intervengo a nome dei cittadini, di chi li ha conosciuti, gli ha voluto bene e si sono affidati a loro. Silvia era medico dalla sensibilità incredibile. E riusciva a essere tagliare e riportare in te stesso quando ci si inventava delle ipotetiche malattie. Ugo era uno spin off. Riporto le parole di babbo Franco: Adess, me a sera e’ bochia e lò l’era e’ capo. Una riflessione personale: ho perso mio babbo in un incidente sul lavoro quando avevo 4 anni. Chi perde un genitore da piccolo ha un punto di domanda: perché proprio a loro? Perché proprio a me? E’ un punto di domanda che poi si attenua. Si acuisce nei giorni di festa. In questi giorni il mio ‘perché’ si è fatto più piccolo grazie alla testimonianza di tutta la famiglia. Spesso loro hanno consolato noi: ho accompagnato i colleghi di Ugo dai genitori e loro li hanno rinfrancanti. Riporto le parole di Giulia, a suo nonno Agostino: ‘Nonno, se Dio ha fatto questo, è perché sa che possiamo andare avanti’. Una testimonianza che mi ha fatto fare un passo avanti nel mio percorso. Terza testimonianza: Ema Pesciolino Rosso: fatto nel centro culturale. Testimonianza di un genitore che ha perso il figlio per droga. Ci ha detto che è riuscito a trasformare il dolore da distruttivo, a costruttivo. Abbiamo percepito la vostra forza, e siamo stati una testimonianza. Come rappresentante della comunità, cercheremo di ridare quanto Ugo e Silvia hanno dato a noi. Nel silenzio. Alla comunità dico che ci sono venuti meno due pilastri, e la cosa più brutta che possiamo fare è non portare avanti le iniziative – cinema, parrocchia, comunità – che Silvia e Ugo hanno coltivato per tanto tempo. Glielo dobbiamo”.
Il sindaco di Mercato Saraceno Monica Rossi ha aggiunto: “I sentimenti da quel giorno dell’incidente, 20 maggio, difficili da ricordare. Ho cercato di riportare alla memoria ricordi: raccoglievo le parole dei genitori di Silvia, la fierezza di avere questa figlia così dedita a tutto. Ugo ha condiviso la comunità Mercatese per oltre vent’anni. Lo conosciamo nel quotidiano, nel dare risposta ai cittadini, con calma e capacità sapeva dare risposte a tutti. E’ difficile fare senza di lui: il nostro ufficio è disorientato. Siamo tutti qui, ognuno desideroso di dare la propria testimonianza. Mi dispiace di non avergli mai detto che gli volevo bene. Se avete una emozione da esternalizzare, fatelo. Non siamo padroni del nostro tempo”.
Poi gli amici: Il primo: “Fin dalla nascita ci avete insegnato che la nostra vita è un percorso. Ugo e Silvia hanno vegliato per questo tempo su questa terra. Hanno condotto una vita d’amore. Per questo credo siano morti in pace”.
Il secondo: “Quel giorno anch’io e Franco eravamo al concerto. Solo a fine concerto abbiamo saputo. Nel rientro a casa, abbiamo voluto passare da quel paese. Sulla porta del cimitero abbiamo pregato per loro, per la loro famiglia, per l’intera comunità sconvolta. La fede non lenisce il dolore, ma ci aiuta a sopportarlo e a comprenderlo”.
Il terzo: “Un anno fa, siete venuti a cena da noi. Ci avete portato tre candele. Sono ancora lì, e non voglio accenderle: vivono di luce propria. A quelle candele ho dato il nome delle tre ragazze. E ogni volta che le guardo, vedo il sorriso di voi genitori. Silvia e Ugo, grazie per la vostra amicizia”.
Una giovane ragazza: “Amore, una parola semplice che Silvia e Ugo sapevano trasmettere bene. È un sentimento che mi ha insegnato a vivere in maniera diversa. La vostra famiglia mi ha trasmesso un senso di fratellanza che biologicamente non ho mai avuto. In Silvia ho trovato forza e accettazione verso il mio destino. Ora il mio pensiero è per Giulia, Marta e Irene, che sento come sorelle. Esserci è l’unica cosa che posso fare. Ricordo una fredda giornata di novembre, dove io e Giulia preparavamo un cartellone per il catechistico. Si era fatta ora di cena, ricordo il sorriso di Ugo seduto a tavola che mi chiese se volevo restare. Io ho detto di no, e ora rimpiango quel no. Ma so che il suo sorriso mi arriva dal Cielo”.
Una coppia di amici della parrocchia: “È difficile trovare le parole per salutarvi, dopo aver condiviso tanta parte di vita. Grazie per i campeggi, le camminate, le settimane alle Balze. Il tempo vissuto come famiglie. Grazie per i disegni, Ugo per aver risorto qualsiasi problema tecnico. Grazie per averci stupito per fantasia e creatività. Per viaggi e umanità, il Silvio Pellico, le Messe in chiesa e sui prati. Grazie per aver condiviso i momenti importanti delle nostre famiglie. Grazie per averci fatto capire che l’amore vince ogni fatica. Sentiamo la vostra mancanza, ma sappiamo che come per le passeggiate in montagna, state ancora continuando a camminare al nostro fianco”.
“Anche noi genitori dei ragazzi del catechismo vogliamo dire grazie. Per tutto quanto Silvia ha fatto per i nostri ragazzi, per averli accolti bambini. Per quanto gli avete insegnato, per i giochi, le scenette, i lavoretti. Per non aver mai mollato, anche nei momenti di sconforto. Vi porteremo sempre nel cuore. Continua a vegliare dal Cielo su loro e su noi”.
E una collega di Silvia: “Ancora increduli davanti a tanta crudeltà, sentiamo la morte nel cuore. Ripetiamo spesso: Non ci sono parole. Tu fai parte della nostra famiglia, non nata da legame di sangue, ma unione di cuore. Il nostro volersi bene è cresciuto ogni anno: nel condividere aspettative di vita, forti dolori, nel condividere la nascita delle tre bambine. Nello scoprire la tua dote artistica, l’ironia, lo spirito rock. Le risate, tante risate. Tu sei Silvia, non la dottoressa Ruscelli, per il tuo esserci per tutti, anche se sentivi di non aver fatto abbastanza. Dicevi: se non torno a casa presto, Ugo chiede il divorzio. Il nostro cuore è ferito e provato, ma è pieno di ciò che sei e della bellezza dei legami che hai creato. Quanto ci mancherai…”.
Un’amica di Silvia: “Manca ancora il respiro. Silvia, porterò nel cuore la consapevolezza di aver avuto la gioia di esserti amica. Fin dal momento del mio trasferimento a Cesena abbiamo vissuto giornate impegnative, ma anche tanti sorrisi. Sei stata razionalità ed empatia, ascolto e comprensione, musica e fumetti. Tante cose avremmo voluto fare ancora insieme. L’entusiasmo e la tua gioia di vita continuerà a sostenersi. Tutti ti dobbiamo qualcosa, e cercheremo di dimostrarlo alle tue bambine. Quello che muore, nutre le radici. E queste radici meritano di vivere tutto l’amore che avete donato. So che non saremo mai soli. Vi vogliamo bene”.
Un’amica di famiglia ha riportato ricordi di Silvia e Ugo bambini. “Quattro immagini: la prima si riferisce quando Ugo aveva 3 anni, sul davanzale a casa della nonna in via Linea Gotica. Con il suo grembiule, salutava ogni persona che passava per strada. Ciao. Ciao Ugo. Ciao! E Così all’infinito. Già da piccolo amava il rapporto con le persone. Da grande, per lavoro spesso mi sono rivolta all’ufficio tecnico del Comune. Rispondeva ai miei quesiti con gentilezza: aperto, cordiale, gentile. Silvia: bimba, chiacchierina, la incontravo nel negozio-laboratorio del babbo, che chiamava per nome. E quando aveva 13-14 anni, in piazza, andò sul palco con sue amichette. Lei disse che da grande voleva fare il medico. La disperazione non deve rimanere rinchiusa nella nostra mente, ma deve scivolare nel nostro cuore, facendoci cambiare ed essere utile agli altri con gesti e parole. Così come loro hanno fatto nella vita di tutti i giorni. Allora sì che tutto avrà un senso e sarà luce che guiderà le figlie, i genitori, i fratelli. La preghiera e le nostre piccole azioni potranno solo lenire il loro dolore”.
Una collega di Ugo: “Ciao Ugo, amico nostro. Sei sempre stato parte importante delle nostre vite. Non eri solo collega, ma esempio di vita: sensibile, professionale, educato. Trovavi sempre il lato positivo nelle cose. Ma ora non ci sei più ed è difficile pensare come entrare al lavoro e non sentire la tua voce che oltrepassava i muri. Ogni giorno ci insegnavi qualcosa, eri un punto di riferimento. Con Silvia avete fatto questo ultimo viaggio. Continua a insegnarci a rincorrere passioni e sogni. Questi giorni, scoprire che stavi imparando a suonare la batteria, ci ha fatto sorridere.
Accumulavi straordinari, conoscevi ogni criticità, ogni frana del comune: con determinazione insieme alla tua squadra hai sempre portato nuove idee e soluzioni. Ogni foglio, ogni cartella ci ricorda di te. Faremo un caffè per te. Cercheremo di tenere sempre unita questa famiglia. Ciao amico nostro, ti vogliamo bene”.
Un amico si rivolge ai genitori di Silvia e Ugo: “Ciao Franco, sei una roccia. Hai diretto il coro dei fedeli nel giorno del funerale, così come hai fatto questa sera. Hai voluto dire: noi ci siamo, come sempre.
Cari genitori tutti: avete cresciuto due splendide persone. Ora avete questi tre teneri germogli, e siamo certi che ci riuscirete. Avete la solidarietà e la vera amicizia di tante persone che vi vogliono bene. Avete l’acqua che disseta e ristora, lenisce ogni ferita. ‘Ha sete di te Signore, l’anima mia.’
Alle nipoti, dico: in ogni momento appoggiati con fiducia ai vostri nonni. Non sono né deboli, né fragili. Su loro potrete costruire il vostro futuro”.
La parola è poi andata a un compagno di classe di Silvia, degli anni del liceo. “Abbiamo vissuto tanto in 5 anni, e abbiamo continuato a vederci. Recentemente, in un incontro, ci ha portato dei vasetti di vetro: ricordo il sorriso di Silvia. Sono stupito dalla forza di questa comunità, e dell’accoglienza. È come se dentro a ognuno di voi ci fosse un pezzo di Silvia e Ugo: voglia di fare gruppo. Presenza forte vostra e i gesti per il futuro, è come se ci fosse un pezzo di loro, in voi. Riporto le parole del cantautore Simone Cristicchi: ‘Quando la barbarie diventa normalità, la tenerezza è l’unica insurrezione’. Ricordiamo che il senso di fare gruppo fosse un loro tratto caratteristico. E la gentilezza, il fare comunità e l’aiutarsi fosse la loro forza. Noi lo abbiamo imparato nei 5 anni di scuola. Grazie per il vostro spirito di comunità che state dimostrando.
“Le ultime parole, vengono da molto lontano – le parole di don Renato -. Don Edwin dall’India, che per tanti anni ha vissuto a Sarsina, mi ha pregato di portare la sua vicinanza e il suo saluto. Ha lasciato qui metà del suo cuore. Si ricongiunge a Sarsina con la sua preghiera”.