Coronavirus. Sospesa anche la festa della Madonna di Romagnano

Voglio raccontarvi un’altra storia. In 457 anni succede quest’anno la prima volta. Di cosa sto parlando mi chiederete. E’ la prima volta che la festa della Madonna di Romagnano viene sospesa, come ben sappiamo a causa del Coronavirus. Questo non successe neanche in tempo di guerra: conservo tra le mie carte il foglio scritto a macchina, datato 1943, con la predica del sacerdote (dallo stile ipotizzo che fosse don Luigi Tosi di San Damiano) che era stato chiamato a tenere il panegirico dopo la Processione, dove si incoraggiava la gente a pregare Maria per il ritorno a casa dei soldati.

Perché il titolo “Madonna di Romagnano?” Tutto ebbe inizio l’8 aprile del 1563, un giovedì, quando ad una pastorella che pascolava il gregge al di sotto della località Giampereto di Montepetra dove oggi esiste la “Mistedia” più volte riedificata, di fronte alla chiesa di Romagnano, “apparve una signora riccamente vestita che stringe al seno un vezzoso bambino. La pastorella dapprima impaurita prende poscia coraggio vedendo che la signora le sorride e le rivolge la parola: io sono Maria Ausiliatrice e voglio mi si costruisca una chiesa sopra i ruderi dell’antica pieve di Romagnano. Va – le ordina – a dire al Vescovo di Sarsina che qui amo di essere onorata. La giovinetta, muta dalla nascita, acquistò immantinente la favella e corse dai genitori, che pieni di gioia anche per il miracolo della favella acquistata, la condussero a Sarsina dal Vescovo Lelio Garuffi”. Il quale, prima di credere alla bambina, volle “comprobare miraculum ed de oe habere certitudinem”. Un processo canonico, insomma. Persona meticolosa, volle non solo “avere chiaro ogni cosa” ma, come egli stesso scrisse in una lettera di maggio seguente, “fare le cose chiare”. Da quel 1563 quindi è cambiata la storia della zona.

Una storia che è cominciata almeno oltre 500 anni prima. O chissà quando. Restano dentro la chiesa o incastonati nei muri tanti pezzi di marmi romani di interesse incredibile che ci testimoniano che la vita della comunità è iniziata da tanto. Il Santuario sorge su un terrazzo fluviale di antichissima antropizzazione dove sono stati trovati utensili in selce riferibili al paleolitico, nonché materiali del neolitico e dell’età del ferro.

Incastonati nei due lati dell’altare sono inseriti due marmi romani (che fino al 1965 si trovavano di fuori nella facciata della chiesa) rilavorati in epoca romanica (nel XII sec.) ricavandone due autorilievi in angolo con figura uno di aquila, l’altro di telamone con protome umana. Un bellissimo capitello bizantino del IV secolo, scavato per farne acquasantiera, agli inizi degli anni ’60 è stato portato e si trova tuttora nella chiesa di Quarto, ma appartiene alla chiesa di Romagnano da cui proviene. Tanti altri reperti che per motivi di spazio non riportiamo, ci testimoniano che questa pieve ha origini antiche, a parer mio la chiesa è stata costruita sopra i resti di un tempio pagano, dati appunto i numerosi materiali di reimpiego che contiene.

Il primo documento che possediamo è del 1033, dove si parla della pieve di Romagnano, dedicata in seguito anche a San Pietro. L’abside attuale, anche se coperto da moderne pitture, è l’unica parte rimanente della prima struttura e ne testimonia l’antichità.

Nell’anno 1553 la Pieve era ancora funzionante, infatti nell’elenco delle chiese che pagano il “cattedratico” al vescovo di Sarsina, fanno parte del Pievanato di Romagnano le chiese di Santa Fiora in Sapigno, San Bartolomeo di Montepetra, Santa Maria Maddalena di Colonnata, San Paterniano di Sanzola, Sant’Andre di Montespelano.

Monsignor Testi Luigi nella pubblicazione “I due amici e l’antichissima città di Sarsina”, edito nel 1911, ci informa che a Sarsina il 1557 era ricordato come l’anno del diluvio, dove si ebbero inondazioni a Sarsina e a Mercato Saraceno. Forse in quell’occasione il tetto della pieve crollò. Sta di fatto che nel 1563 l’abside era ancora integro e c’era l’affresco della Madonna. In una lettera scritta nel maggio 1563, un mese dopo il miracolo, un certo Benedetto Capelli che era il coordinatore di quelli “che sonno in servitio della Madonna” scrive al vescovo di Sarsina dicendo che attorno alla chiesa sono state costruite capanne per il ricovero notturno dei pellegrini che “pare ci sia alloggiato l’esercito dei Borboni e queste risultano insufficienti. Si è “mosso tutto il mondo per venire a questa Madonna più che al Perdono di Assisi e gli alloggiamenti che si sono bisognaria che fossino grandi como il collisseo di Roma”. La prima cosa da fare era ricostruire la chiesa, rimanendo di essa solamente l’abside. Ci fu subito una affannosa ricerca per trovare legnami, coppi, mattoni, calcina e il denaro occorrente. Ma in breve tutto fu trovato e Franchino da Sarsina con “un gargione” e maestro Biasio poterono iniziare i primi lavori. Il vescovo risponde ordinando pure che si costruisca la canonica, e “di andare a chiamare li segatori da Pozzo et dareli un tanto et che seghino quella rovere granda per farne d’asse per far solare lì a quella casetta”. Poco dopo lo stesso Vescovo consacrò la stessa chiesa, come leggiamo da una grande epigrafe ancora murata in chiesa. A destra dell’altare esiste, murata, una stele romana in pietra bianca, con cimasa a frontone angolare e fregio di cherubino, riutilizzata durante l’inaugurazione della canonica con su scritto: “Has domos ex oblatis deiparae Virgine Laelius eps. Sarsine extruxit”. Fino al 1962 era nella facciata della canonica, poi demolita.

Si legge nella visita pastorale di monsignor Brauzzi, del 1607, che “la festa è l’8 di aprile, giorno dell’Apparizione, ma vi accorre molta gente anche al lunedì e al martedì di Pasqua”. Oggi invece la gente vi accorre più numerosi il Lunedì di Pasqua, che è diventato il giorno della festa per eccellenza.

La chiesa ricostruita era la più grande dopo la Cattedrale di Sarsina, quindi più grande della Pieve di San Damiano già esistente. Era alta 16 metri, larga 13 e lunga 32 metri.

Il 1° maggio 1637, l’abate generale Clemente Tosi, dei Silvestrini di Osimo, eleva la chiesa di Romagnano ad abbazia, e assegna quattro monaci: Innocenzo Fini: abate, Giovanni Battista Manari: maestro di scuola, don Agostino Partoli: parroco, fra Giovanni Battista Lombardo: cuoco. Nel 1644 vengono assegnati ben cinque monaci. I silvestrini ebbero la cura della chiesa dal 1637 al 1653. La chiusura del monastero avvenne appunto il 4 aprile 1653 ad opera della Congregazione sullo Stato dei Regolari, scrivendo che “è necesaria l’estintione e suppressione de piccioli conventi in cotesta congragatione de monaci silvestrini”.

Ma iniziava per lei un progressivo degrado. Il 2 febbraio 1777 col peso della copiosa neve si ruppe un travetto sul colmo della chiesa. Venne riparata da Giambattista Gambini di Calbano e Pietro Penacchi di Sarsina, muratori.

Ma nel 1805, come ci ricorda una lapide murata all’interno della chiesa, entrando a destra, la chiesa venne totalmente ridimensionata, e rimpicciolita nella forma attuale, sotto don Barocci.

Il parroco di Sapigno don Paolo Fanti, da cui la chiesa di Romagnano dipendeva, nel 1862 scrive al vescovo chiedendo di poter abolire la festa del Lunedì di Pasqua. Questo perché la festa si era troppo “laicizzata”: “è uso farsi, fra persone di sesso diverso, e specialmente fra amanti, durante la festa dono di ciambelle, uova o altre cose trasformando la giornata in convegno di amoreggiamenti e disonestà. Cosa vergognosa è vedere intorno alla chiesa, in tempo di funzioni sacre, qua e colà conventicole di gioventù, parte tenere secreti colloqui d’amore, parte sdraiati sull’erba a lato di femmine vuotare tazze fino all’ebrietà”. Ma le tradizioni sono dure a morire e la festa rimase.

Nel già citato volume del Testi si riporta che “il santuario di Romagnano è una specie di ricovero chiuso da un tavolato che nasconde dietro l’unico altare l’immagine di Maria dipinta nel muro. L’affresco durante i lavori del 1935 venne perduto, ma ne resta copia (copiato forse, per essere portato in processione)nel quadro presente in chiesa, del 1790 (cit. in “La chiesa di Sarsina –  memorie” mons. Luigi Testi, 1939, pag. 111).  Venne dipinto da Lorenzo Urbinati, pittore di Pesaro. (ci restano altri suoi quadri a Sant’Agata Feltria e uno, purtroppo, era alla chiesa del Mangano e venne rubato nel 1967).

Facente parte della parrocchia di Sapigno, da secoli i parroci abitavano a Sapigno e si recavano a Romagnano solo per le Messe. Fino al 1949 quando il parroco di Sapigno don Enea Scarpellini si trasferì a Romagnano e si invertì il tutto: il parroco abitava a Romagnano e si recava a Sapigno solo per le messe, essendo quella chiesa e canonica ormai in rovina.

Anche Romagnano si presentava in miserevoli condizioni e fu il vescovo monsignor Bandini, che insieme all’onorevole Zaccagnini, restaurarono lo stabile e edificarono la nuova canonica nel 1963, IV centenario dell’Apparizione. Nel 1982 un importante lavoro di restauro operato dal parroco don Valentino Caufin, ultimo parroco che abitò stabilmente in parrocchia fino al 1996, che consiste nel togliere tutto l’intonaco interno ed esterno, diventando così la pieve qualcosa di straordinario. Particolarmente attraente e particolare il presbiterio col colonnato in pietra. Nel 1971 si aggiunge un nuovo esile moderno campanile caratteristico.

Purtroppo nel 1977, volendo in Italia far corrispondere le ripartizioni territoriali ecclestiastiche con quelle amministrative civili, la Diocesi di Sarsina dovette cedere al Montefeltro le sue uniche due parrocchie ubicate nel territorio di Sant’Agata Feltria e all’ora nelle Marche: Sapigno-Romagnano e Rivolpaio (già estinta, vedi pezzo citato a fianco), spostando a Sarsina le parrocchie di Serra e Tornano facenti parte del territorio di Mercato Saraceno. I sarsinati non accolsero positivamente la perdita del loro santuario “storico” della città e della Diocesi.

Nel 2004, viste le condizioni di stabilità dei supporti, si decise di elettrificare le quattro campane. Due erano le campane storiche della Pieve (1662 e 1696), mentre la maggiore e la più piccola erano state portate negli anni’ 60 da Sapigno. Avendo avuto dal parroco il compito di curare la cosa, essendo esperto appassionato, verificai che le campane erano completamente fuori tono e una, quella del 1662, aveva una pessima sonorità forse per incrinatura. La piccola, l’opera più preziosa perché del 1593 fusa a Ranchio dalla fonderia Santini, della quale ci restano pochissimi pezzi, voluta dall’allora parroco di Sapigno studioso famoso don Filippo Antonini. Poi viste le ridotte dimensioni, non sarebbe valsa applicarle un motore elettrico, risultante più grande della campana stessa. Feci portare allora le due campane antiche (1662 e 1593) al Museo Diocesano di Sarsina, e da lì prelevai due campane del 1829 provenienti dalla pieve di Montesorbo, di inferiore valore storico. Così, il museo acquistò due pezzi pregiati e le campane più moderne, di buona qualità, poterono tornare a suonare intonandosi meglio con le altre due campane rimaste, formando un concerto sempre di quattro campane. Trovai anni fa nell’archivio di Balze un foglietto, manoscritto di don Gino Pellizzer, in cui nel 1990 dovendo sistemare le campane aveva previsto di prelevare dal Museo le citate due campane di Montesorbo, ma poi l’ipotesi svanì e fece quattro campane nuove. 

Nel 2009 don Ezio Ostolani, parroco dal 1997, si prodigherà per la ristrutturazione totale di chiesa e canonica che torneranno a splendere. Sotto il pavimento della chiesa sarà trovato l’antico pavimento in cotto che sarà messo nel presbiterio. La canonica venne totalmente sistemata e anche alzata creando un piano superiore. Un lavoro maestoso a cui parteciperà anche il parroco con tanto lavoro manuale e con finanze proprie.

E quest’anno, in tempo di Coronavirus, la grande festa che prevede sempre tre Messe al mattino, il pranzo del vescovo con i sacerdoti, la processione nel pomeriggio e la festa esterna sarà sospesa. Verrà celebrata la Messa a porte chiuse alle 11, trasmessa su Youtube al canale “Mrmaciomacio”. Celebrerà la Messa il parroco don Ezio e io lo accompagnerò all’organo. Sono tanto affezionato a Romagnano e alla sua gente. Per otto anni (durante gli anni delle scuole medie e superiori) vi ho svolto il servizio di organista tutte le domeniche, stabilendo forti legami con la popolazione che rivedo, ora, una volta all’anno nella festa del Lunedì, che non ho mai tralasciato.