Sapigno, uno scrigno di storia e di umanità. Da scoprire

La storia che vi voglio raccontare oggi, volendo sottolineare il 60° anno di costruzione della nuova chiesa, si trova esclusa dai libri, dagli articoli, dalle pubblicazioni. Se uno la cerca online non compare nulla. Ed è per questo che oggi vogliamo dare voce e far conoscere la storia di questo piccolo angolo di mondo. Scrissi altre volte illustrando Sapigno (piccolo borgo in comune di Sant’Agata Feltria – Rimini) sul Corriere Cesenate: oltre dieci anni fa, nel 2009, quando illustrai la sua storia nei tratti salienti. Sempre nel 2009 volli rendere noto il ritrovamento dei resti della primitiva chiesa parrocchiale. Nel marzo 2010 in occasione del 50° della chiesa, e nel 2014 alla scoperta delle grotte. Oltre che ogni anno per annunciare la festa del primo maggio.

Cos’è Sapigno? Un paradiso naturalistico e ambientale, dove l’anima si rigenera per i bellissimi panorami, i campi distesi e le conformazioni rocciose che vi si trovano, sullo sfondo il monte di Perticara e la veduta più bella sulla città di Sarsina. Il punto più alto, dove sorgeva il Castello, è posto all’altezza di 487 metri.

Purtroppo questo luogo incantevole è poco conosciuto, o al massimo conosciuto lungo la Valle del Savio o a Cesena solo per la presenza di un ottimo ristorante (il primo nella vallata che negli anni ’90 ideò i tortellini fritti come antipasto, con funghi e tartufi, diventati poi una moda). Quando si richiama alla mente il nome antico del fiume Savio (Sapis), che scorre segnando il confine della parrocchia, si riconosce subito la derivazione del nome Sapigno. Questo nome, di per sé è fatidico, perché richiama un passato remoto di vicende gloriose.

Quando è iniziato a vivere Sapigno? Certamente molto presto, come testimoniato da numerosi reperti archeologici antichi, ora conservati nel museo archeologico di Sarsina. Nei secoli VII-VI a.C. sappiamo che gli Umbri e gli Etruschi varcano l’Appennino e si stabiliscono in questa zona, creando una loro nuova tribù detta “Sapinia”. Questi sapinati, di cui rimane il ricordo nel toponimo “Sapigno” e come accennato nell’antico nome del Savio (Sapis), esercitarono un forte potere prima della conquista romana. Queste popolazioni dominavano una vasta zona, la regione “Sapinia”, costituita dalle vallate del Savio, del Bidente e del Marecchia, i centri pre-romani di Cesena, Forlimpopoli, Forlì e le coste dell’Adriatico. Diversi storici usano come sinonimi i termini Sapinati e Sarsinati. Ci fornisce una testimonianza sull’importanza di Sapigno il nostro Tito Maccio Plauto (254-186 a.C.), che parlando delle sue origini dice: “Sarsina me genuit, civitas propinqua Sapinium” (nacqui a Sarsina, città vicina a Sapigno): scritto così, sembra che il luogo importante sia Sapigno e per far capire dove è Sarsina si debba scrivere “vicino a Sapigno”. Nel 266 a.C. Sarsina fu occupata da Roma e divenne municipio romano. Rimane ancora una località a Sapigno, verso il confine della parrocchia in direzione di Perticara, detta “Portulo” dove esisteva un piccolo castello, che apparteneva alla Chiesa sarsinate, e si dice che qui fosse ubicata una delle porte della città plautina.

Il castello maggiore si trovava in alto, sul monte che domina Sarsina, dal quale si gode d’un panorama splendido. Di esso rimane qualche resto murario (già nel 1928 c’erano pochi resti, come vediamo da una fotografia) sui quali, nel 2002, è stata costruita una casa, dopo che qualche decennio fa venne venduto tutto il cucuzzolo insieme alla chiesa vecchia, e con i proventi, dicono i racconti dei cittadini, venne acquistato il terreno di fronte alla chiesa di Romagnano. Già nel 1182 papa Lucio III concede il castello di Sapigno a Raniero Arcidiacono e ai Canonici di Sarsina. Detto Castello, nel 1406 passa in feudo ai signori Masini di Calbano, oriundi da Corniolo di Bagno di Romagna. Nella preziosa pubblicazione di don Filippo Antonini, ristampa del 1769, a pag. 76 si dichiara che il Signor Rodolfo De Pii, figlio della signora Ippolita Rossi, vendette Sarsina con i suoi contadi e castelli, tra cui Sapigno, ai signori Aldobrandini di Roma, nipoti di papa Clemente VIII. Il vescovo di Bertinoro, Andrea, a nome dei ricordati Aldobrandini, ne prendeva possesso il 10 giugno 1597.

Dagli atti della visita pastorale del 16 ottobre 1589 di monsignor Angelo Peruzzi, risulta che in passato e fino al 1557 circa Sapigno apparteneva al vicariato della Pieve di Romagnano, insieme alle chiese di Montepetra e Sanzola (Colonnata). Chiudendosi poi la vita della Pieve di Romagnano, la parrocchia di Sapigno venne annessa alla Cattedrale di Sarsina, ma fin dal 1557 venne eretto il Fonte Battesimale in proprio, in quanto per le strade cattive del momento, e la distanza, era difficile portare i neonati in Cattedrale a Sarsina per il Battesimo. In quella visita Pastorale monsignor Peruzzi ordinò al parroco don Cesare Donati nativo di Sarsina che si sistemasse meglio l’altare maggiore e venisse costruito un nuovo confessionale. Questo vescovo, molto celebre per le sue visite pastorali fatte a varie e importanti Diocesi d’Italia, quale Delegato della Santa Sede, tornava a visitare Sapigno il 9 agosto 1594 e questa volta si incontrava col celebre storiografico Filippo Antonini, più volte citato in questo testo, il quale dopo essere stato covisitatore e vicario generale della Diocesi di Sarsina, negli ultimi anni di vita si era ritirato sull’ermo e alto Sapigno, dove in modo particolare si era dedicato a narrare e scrivere quanto aveva raccolto e veduto nella sua vita, terminando così il corso della sua mortale carriera. Il vescovo Peruzzi, benchè fosse un esperto conoscitore di uomini e cose, pure in questa sua ultima visita pastorale non ebbe da rivelare nulla, forse anche per la grande considerazione con cui teneva il sacerdote. Gli Antonini di Montepetra, di padre in figlio, per quasi 400 anni custodirono la mozzetta canonicale fino al 1998, quando il discendente Lino Antonini, per desiderio del padre Cleto espresso prima di morire, consegnò mozzetta e il cingolo al Museo Diocesano di Sarsina dove ancora si trova.  Per molti secoli, come dalla disposizione di papa Lucio III già ricordato, la terra di Sapigno era detta “Terra dei Canonici” in quanto serviva a mantenere i canonici sarsinati. Nel primi decenni del ‘900 i terreni passarono alla parrocchia di Sarsina. A Sapigno, il 9 di ottobre, durante una Sacra Missione, morì il vescovo di Sarsina monsignor Enrico Graziani.

Fa parte della parrocchia di Sapigno il santuario di Romagnano, di cui si è parlato a parte, che fu anche sede Abbaziale dei Monaci Silvestrini e, in seguito, tutti i beni abbaziali che consistevano in case, poderi, un mulino da grano vennero devoluti all’amministrazione del Seminario di Sarsina.

A diverse centinaia di metri di distanza dal luogo dove era il Castello di Sapigno, proprio sull’angolo del monte che sovrasta Sarsina e Romagnano, lungo la strada sterrata che porta verso Sarsina, era presente la chiesa parrocchiale. Il più antico documento che parla della chiesa di Sapigno risale a papa Onorio II ed è datato 1125. I parrocchiani ancor oggi chiamano il luogo “Santa Fiora”. Risulta nella visita pastorale del 1608 che essa è già crollata “rimangono solo i muri perimetrali alti quattro palmi”: sembra la descrizione di quello che vediamo ancor oggi. Nel 2009 alcuni parrocchiani si sono messi a pulire ciò che rimaneva dei sassi, ed è venuto alla luce il bel pavimento in pietra con la botola circolare dell’ingresso dell’ossario. Tutto attorno ai ruderi, quando si iniziò ad arare con l’aiuto dei mezzi meccanici, vennero fuori grandi quantità di ossa rimaste sepolte per secoli. Ora riposano nell’ossario del cimitero locale. Continua il resoconto della visita pastorale e ci dice che “funge da chiesa parrocchiale l’oratorio ubicato nel castello”: fino al 1958 è stata la chiesa parrocchiale, con annessa canonica, che era molto ricca di suppellettili e arte. Fino al 1949 vi ha abitato anche il parroco fin quando don Enea Scarpellini, viste le condizioni del luogo e della canonica, prese la decisione di trasferirsi a Romagnano e questa divenne fino al 1995 la residenza dei vari sacerdoti, fin quando in parrocchia non abitò più un parroco residente, e per due anni venne servita da Pennabilli, poi dal 1997 venne affidata all’attuale parroco, don Ezio Ostolani, residente a Sarsina. Questa seconda chiesa parrocchiale venne utilizzata dal 1500 al 1958, quando la chiesa rimase in luogo isolato e si iniziò a dire messa nella cappella del Cimitero, abitando già il sacerdote a Romagnano.

Questa seconda chiesa parrocchiale, attiva per circa cinque secoli, era molto ricca di arredi e manufatti. Ultimamente è stata restaurata da una famiglia di Ravenna che l’ha acquistata da alcuni decenni, rendendo la grande canonica una bellissima casa, e costruendo dentro la chiesa una casetta in legno utilizzata come taverna. I proprietari che in questi anni abbiamo avuto modo di conoscere, sono molto gentili e accoglienti. Sono orgogliosi di mostrare a chi arriva a Sapigno, anche sconosciuti, il restauro della chiesa e canonica. Questa vecchia chiesa aveva 3 altari, almeno 4 nicchie con statue, 5 grandi tele. Di tutto questo patrimonio cosa è rimasto? Tanto, per fortuna. Lo elenco, precisando anche il luogo dove si trovano ora le opere.

1)      Sul luogo, all’ingresso della vecchia canonica ora venduta e restaurata, si trova il famoso PORTALE IN ARENARIA, composto da conci a bugne, arcuato. Nei conci dell’arco, compresa la chiave e le due imposte, in tutto 9 pezzi, è incisa la data e una epigrafe umanistica di genere ospitale. Nella chiave troviamo scritto: ANNO DNI 1674 PET. F. C. . Nelle due imposte: “Q.TO KALENDAS AUGUSTI” (26 luglio 1674). Lungo i conci corre l’iscrizione: “CONCORDIA FRATUM QUOVISMURO TUTIOR” (la concordia dei fratelli è più sicura di ogni muro); “PORTA PATENS ESTO NULLI CLAUDARIS ONESTO” (porta, tu si aperta e non sii chiusa all’onesto); “EGENOS VAGOSQUE INDUC IN DOMVN TVAM” (fai entrare i poveri e i viandanti nella tua casa). Qualcosa di semplicemente unico e pieno di significato, oltre che di storia. 

2)      PALA DELL’ALTARE MAGGIORE, in formato rettangolare entro cornice di ovuli e rocchetti; vi sono dipinti i Santi Fiora con giglio (a sinistra) e San Giuseppe con verga di nardo fiorita (a destra) adoranti il Calice Eucaristico. Un quadro mediocre, del sec. XVII. La cornice era stata tagliata in basso al centro, forse per applicarvi uno stemma perduto. Nel ‘700 venne applicata in alto una cimasa a festoni e in basso la scritta, relativa al restauro settecentesco: “DOMINUS ANGELINI PAROCHUS INAVRARE FECIT ANNO DOMINI 1778”. Era la pala dell’altare centrale, venne portata nel 1959 in Curia a Sarsina, dalla quale venne prelavata nel 1965 e appesa alla parete sinistra della chiesa di Romagnano. Purtroppo, una notte, nel novembre 2003, il grande quadro venne rubato. Al suo posto vi si applicò nella cornice medesima rimasta sul luogo avendo i ladri prelevato solo la tela, la fotografia a grandezza naturale, che a prima vista può ingannare data la buona qualità della riproduzione. 

3)      DIPINTO ad olio su tela, con Madonna e Bambino, a sinistra due volti di angeli alati e a destra il corpo di San Valeriano (di Forlì), rivestito di armatura. Anonimo barocchesco, fine del sec. XVI o inizi del XVII secolo. Misura 1.90 x 1.40. La tela, che nel 1962 si trovava in sacrestia a Sapigno alto, venne trasferita in Curia a Sarsina dove si trova tuttora. Nel 2012 è stata restaurata magnificamente. 

4)      DIPINTO A TEMPERA (o olio magro) su tela, con in alto la Madonna e il Bambino, sotto due sante Martiri con vista della anime purganti. Era dentro una grande cornice dipinta a tempera, anonimo locale del sec. XVII, misurante 2.60 x 2.10, nel 1962 era in un magazzino poi è stato trasferito in Curia a Sarsina. Nel 1965 portato al Santuario di Romagnano, da dove venne rubato insieme all’altra tela, nel novembre del 2003. 

5)      DIPINTO IN OLIO SU TELA con Madonna del Carmine e Bimbo tra angeli in alto, sotto i Santi Agata, Benedetto genuflesso, Caterina genuflessa, Lucia e Apollonia. Misura 2.50 x 1.65. La tela, che era ridotta in pessimo stato, nel 1962 si trovava depositata in sacrestia, venne poi trasferita alla Curia di Sarsina. Nel 2012 venne restaurata e in seguito trasferita presso l’oratorio del Carmine di Bagno di Romagna, dove si trova tuttora. 

6)      PALA D’ALTARE dipinta ad olio su tela con la Madonna del Rosario, e sotto san Filippo Neri, San Carlo Borromeo, San Domenico, e le scene dei misteri del Rosario. Anonimo locale del sec. XVII. Misura metri 2 x 1.50. Nel 1962 si trovava in sacrestia dell’abbandonata chiesa, venne portato a Sarsina in Curia e restaurato nel 2012 insieme a tanti altri dipinti, per volere del Capitolo della Cattedrale e in particolare di monsignor Vittorio Quercioli. Ora si trova nella sala Capitolare presso la sacrestia della Cattedrale di Sarsina. 

7)      PANCONE PER CELEBRANTI in legno naturale, a dossale lavorato a frastagli, fianchi chiusi, sedile a cassa. Oggetto rustico del sec. XVII, in discreto stato, misurante 1.40 x 1.80; restaurato, si trova presso la chiesa di Romagnano

8)      Tre CARTEGLORIE ornate a ricci e conchiglie, del sec. XVIII. La maggiore misurava cm 50 x 50. Già dorate, ripassate a porporina. Nel 1965 sono state portate a Romagnano, poi se ne sono perse le tracce. 

9)      N. 4 CORNICI PER CARTEGLORIE, uguali, intagliate a legno dorato, a sagome curve mistilinee, a strozzatura verso il basso, su appoggio a riccio, con cimasa a mensolature laterali simmetriche. Del, sec. XVIII, misuravano cm. 32 x 26. Nel 1962 sono a Romagnano, poi se ne perdono le tracce. 

10)  Discreto CROCIFISSO PROCESSIONALE, scolpito in legno policromo a colori naturali escluso il perizoma e il cartiglio INRI, dorati. Del sec. XVII, misurante cm. 85 x 65. Nel 1960 venne portato nella nuova chiesa di Sapigno e nel 1965 a Romagnano. Poi se ne sono perse le tracce. 

11)  CROCETTA astile in ottone, del sec. XVI, misurante cm 34 x 26, venne portata nel 1965 a Romagnano poi se ne sono perse le tracce. 

12)  Meraviglioso quanto raro e MAESTOSO TABERNACOLO, a pianta trapezoidale: ogni facciata ad arco è separato da cariatidi grottesche, fregio e triglifi e rosette. Nei pannelli laterali sono dipinti due vasi di fiori, in quello centrale il Redentore in piedi. Anonimo forse fiammingo, di tipo Stradano. Secolo XVI, altezza cm. 75 larghezza 90, profondità 93 cm. In seguito venne ridipinto a porporina. Un pezzo davvero interessante. Nel 1962 venne trasferito in Curia a Sarsina e ora si trova lì al Museo Diocesano. 

13)  CAMPANA MAGGIORE, esteticamente meravigliosa, sorretta da corona a sei prese. Sul collo troviamo drappi di festoni di gusto barocco contenenti rami con fiori e bacche, molto fantasiosi. Alternati ad essi troviamo alcuni cartigli ornamentali, molto curati. Sulla bocca invece ci sono, alternati, vari elementi floreali: foglie di salvia, mazzetti di fiori, cestini con piante. Sul lato, sopra la bocca, troviamo una bella lucertola in rilievo, a grandezza naturale. La campana possiede anche quattro immagini: 1) Madonna del Rosario e Bambino; 2) Santo Martire in armatura (forse San Valeriano di Forlì ritratto anche in un quadro?) ; 3) Crocefisso; 4) Santa Flora con palma e bastone fiorito, tutta circondata da cestini di frutta alternati a fiori. Al centro del corpo compare questa iscrizione: CONSULES SAPIGNI AERE PUBLICO FUNDI CURARUNT. Dall’altra parte: D. PAULO BORGHESIO ALDOBRANDINI PRINCIPE. Su un lato troviamo la firma e la data: FRATRES DE BALDINIS E RONCROIGIDO FUNDEBANT  1763. Da notare l’errore: Roncroigido invece di Roncofrigido. A destra e a sinistra della firma troviamo due piccole croci. La campana fino al 1958 era sul campanile originale di Sapigno, per cui fu fatta dai Borghese –Aldobrandini cui era di pertinenza la chiesa. Nel 1971 venne montata sul nuovo campanile di Romagnano e da ormai 50 anni da lì fa udire ancora la sua voce.

14)  CAMPANA MINORE, di importantissimo valore storico artistico. Fusa dalla fonderia Santini di Ranchio. Forse è risaputo a pochi, ma a Ranchio a cavallo tra ‘500 e ‘600 c’era una fonderia di campane della quale ci rimangono poche opere. Fusa nel 1593, è di piccole dimensioni (cm 32 diametro x 43 altezza, del peso di 35 kg circa). Due dei tre anelli della corona sono spezzati (già nel 1941); per il resto è in buono stato (la rottura non ha danneggiato la voce della campana). Ha forma molto allungata, appiattita in testata. La prima iscrizione sul collo, con lettere confuse per poca cura nella fusione ma chiaramente leggibili, dice: ANGELO PERUTIO EPISCOPO PHILIPPUS ANTON. SASS. EIUS VICARIUS GENERALIS RECTOR SAPIGNI SUIS ET PAROCH SYMBOLIO F.C. A. D. MDXCIII A PETR. FR. D. RANC. La seconda scritta, sopra la bocca, è un’invocazione: SALVE FLORA TUUM POPULUM DEFENDE SAPIGNI. Vi è anche, sul fianco in alto, un bassorilievo della Madonna col Bimbo. Venne fatta fondere dall’allora parroco di Sapigno Don Filippo Antonini; Mons. Angelo Peruzzi fu vescovo di Sarsina dal 1581 al 1600. Fino al 1958 era in uso sul campanile per la quale era stata fusa. Poi fu portata nel Palazzo Vescovile di Sarsina, dal quale fu riprelevata e montata nel 1971 nel campanile di Romagnano. Nel 2004, vista la sua antichità e le modeste dimensioni che non ne facevano convenire l’elettrificazione, fu portata ancora una volta nel Museo Diocesano nel quale ora si trova. 

15)  ACQUASANTIERA IN MARMO bianco ricavata da un capitello scavato, di originale forma a imposta circolare da cui nascono otto foglie di acanto, dentro ciascuna delle quali si dispone una conca a doppio riccio convergente, nascente da un frastaglio a sua volta originato da una cannulatura rigata in obliquo e intercalata da foglie. Il doppio riccio sta sotto l’abaco stellare a otto punte, rialzato a dado ottagono e rigato verticalmente da strigilature a stecconata. Di epoca romanica, secolo XIII. Presenta lezioni lungo il perimetro. Dalla vecchia chiesa nel 1960 venne trasportata nella nuova, e poi nel Museo Diocesano di Sarsina dove si trova ora, affisso alla parete. 

16)  TARGA di marmo bianco rettangolare a riquadratura lievemente rialzata in cornice, certamente un marmo romano riutilizzato per incidervi una lunga scritta ma ora non è più leggibile perché consumata dalle intemperie. Si riesce solo a rilevare D.O.M. e DE TERRA VIVENTIUM, la data MDCLXXXX, altezza cm. 57, larghezza 1,18, spessore cm. 14. Dalla vecchia chiesa, venne portata nel portichetto della chiesa nuova di Sapigno, e nel 1965 a Romagnano dove si trova ora. 

17)  Lapide marmorea, scritta finemente, con iscrizione: “D.O.M. HONORI S.FLORAE V. ET M. ECCLESIAM HANC SOLEMNI RITV DICAVIT JO BAPTA MAMI EPVS SARSIN. COM. BOBIJ DIE 1789”. Fino al 1965 nella vecchia chiesa, ora si trova murata a sinistra nel presbiterio di Romagnano. 

18)  In ultimo, il pezzo forte. Il grande CIPPO SEPOLCRALE utilizzato come fonte battesimale. Proveniente certamente dalla sottostante necropoli di Pian di Bezzo, ha su un lato la nota iscrizione SABINIA C. LIB. MYRTALE; di forma quadrata a cornici. L’epigrafe originale è su una delle facciate, mentre su altre due sono le seguenti, seicentesche: D.O.M – ILL.MO AC R.MO D. CAROLO BOVIO EPO SARS.  PET PIR. NOVARIEN.S S.FLORE P. EXTR CUR. A.D.F 1635; nell’altro lato: D.O.M  ILL.MO AC. R.MO  D. FEDERIGO MARTINOTIO SENENSI EPO SARS. PETS PIRS S. FLORAE PS. EXRE CURT  A DI 1667 DIE 7 7BRIS., Altezza del cippo mt 1,25, lato 53. Dal 1960 si trova nella nuova chiesa di Sapigno. Un lato del cippo resta privo di scritte: sta a noi scriverci l’odierna storia che continua. 

19)  Nelle nicchie si trovavano le statue della Madonna con Bambino (bellissima, in cartapesta, più antica delle altre), Santa Barbara patrona dei Minatori, Sant’Antonio da Padova e Santa Flora, ora conservate nella nuova chiesa. 

20)  Via Crucis con stampe a colori dell’800 e cornici in legno con vetro soffiato, si conservano nella ex scuola di Sapigno. 

21)  L’antico portone della chiesa e le panche sono nella chiesa nuova, cosi come una reliquia di Santa Flora con cofanetto e un bell’ostensorio del ‘700 con una testa di angelo impressa. 

Abbandonata la chiesa vecchia nel 1958 perché troppo distante dall’abitato, come già accennato si continua a celebrare messa nella chiesa del cimitero, appena costruito. All’inizio del 1959 la Curia sarsinate incaricò il geometra Angelo Marini di Sarsina di elaborare il progetto di una nuova chiesa da costruire più in basso, dove stava sorgendo il nuovo nucleo abitato. Fu consacrata nel marzo 1960. Nel progetto, ancora conservato a Romagnano, era contemplata anche la sacrestia che per la scarsità di fondi non fu mai costruita. Visti vari cedimenti la giovane struttura, il 27 ottobre 1986, fu dichiarata inagibile e venne chiusa. All’interno il pavimento si era infossato per varie decine di centimetri e erano cadute parti del soffitto dando alloggio a volatili che avevano imbrattato di sterco tutto l’edificio. Si allestì allora a cappella una sala dell’ex scuola elementare. Si adattò a chiesa una stanza della vecchia scuola, portandovi gli arredi rimasti. Il parroco, da Romagnano, don Valentino Caufin, partito nel 1995 dalla parrocchia e morto recentemente, fino al 1968 andava a dire Messa a Sapigno a piedi, poi acquistò un piccolo motorino che utilizzava per venire a Sapigno. E fino al maggio 1995 si celebrò Messa lì.

L’idea di recuperare la chiesa fu di don Ezio Ostolani, parroco dal 1997, che la concretizzò a partire dalla fine del 1999. Don Ezio afferma che “tale opera fu importante perché ridiede un nuovo volto alla comunità, che non aveva più un luogo dove incontrarsi e si era sentita un po’ abbandonata avendo concentrato tutta l’attività parrocchiale a Romagnano. Fu significativo che tutti i parrocchiani si adoperarono per ripristinare la loro chiesa, chi facendo un’offerta, chi donando il materiale o suppellettili, chi offrendo il proprio tempo per la manodopera”. Fece l’inaugurazione il vescovo Paolo Rabitti il primo maggio 2001. Ricordo bene quella bellissima giornata, io all’organo accompagnavo i canti. Questo coinvolgere la popolazione nel restauro della loro abbandonata chiesa fu un’opera pastorale molto importante: molte persone tornarono ai sacramenti dopo decenni.

La nuova chiesa non aveva il campanile, così si applicò sul tetto nel 2001 un supporto ferreo collocandovi una campana del 1701, da tempo depositata nel Museo diocesano, appartenente al dismesso Oratorio della Costa della parrocchia di Tezzo, la quale ne mantiene la proprietà.

Nel 1960 venne costruita la scuola a Sapigno bassa, vicino alla nuova chiesa, cosicchè le scuole erano tre a Sapigno: una ai confini con la parrocchia, vicino a Perticara, una alla chiesa vecchia e una vicino alla chiesa nuova. A Romagnano l’unica scuola con pochi bambini era nella casa Balducci. L’unica scuola che rimase a Sapigno fu quella nel nuovo edificio, che spense la sua vita nell’anno 1987–1988 con 6 bambini.

Pur distante pochissimo da Sarsina in linea d’aria, nel 1977 viene incamerata alla Diocesi del Montefeltro seguendo i confini civili, essendo Sapigno nelle Marche. Ma era chiaro il non senso di questa operazione in quanto la vita della gente di Sapigno e Romagnano camminava pari passo con quella di Sarsina (per la maggiore) e un po’ anche con Mercato Saraceno; qualche contatto con Sant’Agata Feltria essendo sede Comunale. Non certamente aveva nulla in comune con il lontano Pennabilli.

Nel 2014 avviene una interessantissima scoperta. Vennero alla luce le vecchie miniere di estrazione dello zolfo in località “Inferno”, in parrocchia di Sapigno. Essendo passato Sapigno in Emilia Romagna dal 2010, il gruppo speleologico bolognese si è mosso alla ricerca di queste cavità, in quanto solo da quella data è rientrato nella sua competenza Emiliano-Romagnola, facente parte prima delle Marche. Questa zona è interessantissima a livello geologico, vi sono anche tante cavità naturali. Tutto è partito grazie all’amore per i territorio e all’impegno di Miro Poggioli, sapinate doc, che passa il suo tempo libero a ricercare e conoscere la storia del suo paese. Facendo un giro nei boschi, improvvisamente ha sentito, insieme agli speleologi, un forte vento gelido provenire da terra: era la bocca della miniera, della quale rimaneva un piccolo spiraglio, e che nessuno, chissà da quanto, aveva più percorso. Allargando la cavità, ci si è trovati di fronte ad un interessantissimo scavo artificiale, creato per asportare lo zolfo. I canali di passaggio, piccolissimi, anche interiori ad un metro di diametro, permettono di spostarsi da una grande sala all’altra. Queste sale sono state ottenute estraendo il materiale. Parla di questa miniera anche lo storico sarsinate don Filippo Antonini, già citato più volte nello scritto, vissuto a cavallo tra ‘500 e ‘600. All’interno sono presenti vari minerali, cristalli, e sono riconoscibili nelle parete le picconate effettuate per estrarre i vari cristalli dalla roccia. La zona dove è stata trovata la bocca della galleria si chiama, non a caso, “Inferno”, forse per il fatto che da lì si scendeva in basso, luogo in cui si pensa sia collocato quel Regno. Questa miniera è sfruttata già dal 1400; i primi documenti che ci restano sono della prima metà del 1500 e sono permessi Pontifici che permettevano l’estrazione polvere sulfurea ai Malatesta. Una miniera questa che però era avara di materiale e per questo venne abbandonata per concentrarsi nella zona, più ricca di Perticara. Nella località “Rocchetto” c’è ancora il camino di aereazione del pozzo della miniera dell’Inferno, sulle cui pareti si sono formati molti cristalli: continua a fuoriuscire anche oggi aria fresca.

Dal 2014 la miniera è stata studiata con l’Associazione sopra citata, e se ne parla in un corposo volume che abbiamo nella nostra biblioteca: “Gessi e solfi della Romagna Orientale”, edito nel 2016 con 800 pagine”. Esplorando le cavità si è potuto apprendere come fossero le condizioni di lavoro dei minatori. Dal 1890 se ne erano perdute le tracce dal 1890, dopo che ci si è spostati a Perticara e Miniera. Sia nella miniera, oppure anche lungo le rocce esterne e nei campi trovava pezzi di zolfo e li portava ai mercati a Sarsina o Mercato Saraceno per la vendita. Lungo il fiume Savio, in parrocchia di Sorbano, c’era il mulino della polvere. La polvere veniva impastata con urina di cavallo, contenente il potassio, per avere massima potenza nell’esplosione; qualcuno afferma che fosse pregiata anche l’urina di uomini con i capelli rossi, che si pensava secondo l’alchimia del tempo, desse maggiore potenza. Lo zolfo ha dato lavoro a molte persone, in un enclave operaia dentro civiltà agricola. Era risorsa economica migliore del lavoro agricolo, seppur più pericoloso.

A Sapigno bassa ci sono tre grandi grotte scavate dall’acqua nei millenni, nel gesso. Qua e là sono visibili massi di gesso bianco, è la particolarità della morfologia di Sapigno. Le grandi grotte nel gesso fino al 2000 erano tre, poi una venne chiusa con un muro si massi durante i lavori di consolidamento dell’abitato.

Qui è pregiata e praticata anche la caccia alla lepre, testimoniata anche da un servizio Tv dello scorso anno nel progetto “Resoconti di caccia: le lepri del Montefeltro” di Stefano Giuli. Oggi la frazione di Sapigno conta 32 residenti. E c’è da notare la grande unione che c’è tra loro, che non si ritrova in altre borgate, e tutto ruota attorno all’edificio della vecchia scuola, ora anche sede di un piccolo museo sulla miniera e su fauna selvatica. In inverno tutti i fine settimana, in estate anche ogni sera, la ex scuola dove ha sede il Circolo “il Boccalino” prende vita: pranzi, cene, veglia come era una volta. Pur andandoci sempre poco, mi sembra di essere sempre lì con loro: quando capita occasione di vedersi, i rapporti sono talmente profondi, schietti, sinceri che sembra di avere passato con loro il giorno precedente, mentre magari sono passati anni. Tutto questo è Sapigno: ho cercato di descriverlo e fare venire la voglia di fermarsi, di ammirarlo, di viverlo.

Se lungo i meandri della vita vi capita di passare dalla ex scuola di Sapigno fermatevi, anche se non conoscete nessuno: troverete i paesani vi che invitano e vi offrono da bere volentieri qualcosa. E vi parlano della ricchezza del loro piccolo grande mondo.