Padre Occhetta a Cesena: “Il lavoro umano garanzia di dignità”

Qual è lo stato di salute del lavoro in Italia? Questa la domanda che ha accompagnato la lezione di padre Francesco Occhetta, religioso della Compagnia di Gesù nonché giurista e redattore de La Civiltà Cattolica, nella terza lezione della scuola di Dottrina sociale della Chiesa sul tema del lavoro umano.

“I numeri non mentono e quelli relativi al nostro paese ci dicono che in Italia lavora solo una persona su tre, gli occupati a tempo indeterminato sono soltanto 19 milioni e che la disoccupazione, attestata attorno al 10% seppur in maniera variegata, tra i giovani oscilla tra il 33% con picchi fino al 40%”.

“Proprio in quest’ottica di incertezza – ha affermato il relatore – il ruolo della Dottrina sociale è dunque quello di dare risposte concrete, incarnandosi nella realtà del mondo, contestualizzando i propri principi attraverso lo strumento del discernimento”.

E se le idee dei gesuiti, per molteplice varietà, sono tra i numeri sconosciuti della Chiesa, come recita un graffiante adagio, quelle di padre Occhetta invece risultano ben chiare. “É come se vivessimo su due rive differenti tra vecchi e nuovi lavori. Per noi cristiani la sfida è collegare gli estremi con un ponte che è quello proprio della Dottrina sociale. Per la Chiesa infatti il lavoro non si colloca sul piano dell’idea, ma rappresenta la vita stessa del lavoratore – ha affermato – per questo la prima preoccupazione è conferirgli dignità. Questo lo ricordava già Giovanni Paolo II° con l’Enciclica Solleicitudo rei socialis, perchè la Chiesa alza la voce laddove la dignità delle persone viene offesa”.

“Chiediamoci se di fronte alle nuove professioni come il food delivery – ha provocato i presenti – sia dignitoso che un giovane consegni a domicilio, per pochi euro e senza alcuna tutela. Oppure se una misura come il reddito di cittadinanza generi vera dignità, come sollecitato da papa Francesco nella sua visita del 2017 a Genova, anzichè incentivare iniziative di microcredito come il “prestito d’onore” per chi vuole fare impresa”.

Da qui una lunga analisi dei mali che affliggono il mondo del lavoro oggi, a partire dalla produzione delle merci, viste sempre più come beni individuali fino ad arrivare alla perdita di opportunità aggreganti, capaci di generare spazi di relazione autentici. “Non è forse vero che le nostre cattedrali oggi sono i centri commerciali? Quali legami permettono di sviluppare questi luoghi di consumo? Non è forse vero che oggi il lavoro poggia le sue basi su una mutua indifferenza, per la quale ciascuno è portato a difendere quel poco che ha? Come poter dare valore ad un tessuto sociale sempre più longevo (e sempre meno giovane), in un contesto lavorativo in cui viene premiata l’efficienza secondo determinati standard di produttività?”.

Uno scenario di fronte al quale il gesuita pone tre livelli di azione come rimedio strutturale: coltivare l’importanza dei beni relazionali, accrescere motivazioni intrinseche che inquadrino il lavoro come collaborazione e non come competizione ed infine rifondare un nuovo umanesimo civile.

In questo contesto anche la Chiesa deve giocare la sua partita come protagonista, forte della sua esperienza nel campo civile, economico e politico. “La Chiesa – ha ribadito padre Occhetta – è una delle poche istituzioni capaci di mettere attorno allo stesso tavolo tutti gli stakeholders”, in più può arricchire il lessico di novità che tanto farebbero bene al mondo del lavoro “parlando di dono, gratuità e giustizia. Pensando ai giovani infatti mi preoccupa che il loro lavoro non venga né valorizzato né pagato”.

“Non è vero che oggi il lavoro non c’è – ha sottolineato – bisogna coltivare un giusto metodo per comprendere le esigenze di un territorio e dare le opportune risposte. Pensiamo ai settori dell’agroalimentare, del lavoro digitale, quelli delle aziende a conduzione familiare oppure delle strutture sussidiarie e solidali. Ma per realizzare tutto ciò è fondamentale la formazione. Non escludiamo nemmeno le sollecitudini che tanti giuslavoristi laici chiedono alla Chiesa, quelle di far compiere ai ragazzi esperienze di lavoro manuale dirette, per comprendere più da vicino il valore dell’impegno artigianale”.

In chiusura c’è spazio anche per una considerazione politica. Proponendo ai presenti la riflessione di Bertolt Brecht sul rischio dell’analfabetismo politico, oggi più che un semplice spauracchio culturale, a chi lo interroga sul destino dei cattolici in un’unica formazione politica risponde così: “il rischio è che il contesto culturale odierno faccia rigettare la proposta. L’epoca di Sturzo era diversa poichè partiva da una presenza fortissima sui territori, perlopiù in un sistema proporzionale puro. Però il no di oggi non vuol dire per no sempre. È un no contingente, ma un sì aperto. Dobbiamo ricostruire le condizioni puntando sulle competenze dei temi e sul valore delle nostre proposte, formando così una nuova classe dirigente. Ma soprattutto non smettere di avere fede”.