“Siamo invitati a mettere i nostri piedi in cammino. E camminare insieme”, testimonianze dalla Veglia missionaria

“Cuori ardenti, piedi in cammino” è l’espressione del Vangelo di Luca ripreso a tema della 97esima Giornata missionaria mondiale. La veglia diocesana che ha preceduto la Giornata si è svolta nella chiesa parrocchiale di San Paolo, a Cesena, la sera di venerdì 20 ottobre.

L’appuntamento di preghiera è stato presieduto dal vescovo di Lokossa (Benin) monsignor Coffi Roger Anoumou: tra gli anni 2012 e 2017 ha prestato servizio pastorale a Gualdo-Montecodruzzo, a Piavola, San Romano, Pieve di Rivoschio e Giaggiolo. Monsignor Coffi è stato ordinato vescovo nel maggio scorso. In Italia per i lavori sinodali, monsignor Coffi ha guidato la veglia insieme al vescovo Douglas.

Centro della veglia sono state le testimonianze da terre di missione. “Mi considero una volontaria, per me questo è importante”: Angelica Castellani è una giovane di San Martino in Fiume che ha vissuto diverse settimane in Colombia nelle missioni delle suore francescane della Sacra Famiglia. “Sono partita principalmente perché volevo dare un senso in più alla mia vita. Sono cattolica, cresciuta in una famiglia molto cattolica, ma vivo da atea: era importante un riavvicinamento, ma lo volevo fare in modo particolare”.

“La Colombia è un Paese che viene definitivo povero – prosegue Angelica – ma in realtà è ricco di socialità, di persone che sono felici di parlare con te. Una caratteristica che qui, forse, si è persa nel tempo. A Duitama ho insegnato inglese ai bambini: è stata un’esperienza forte che mi ha permesso di creare con spontaneità legami importanti. Non mi sento di definire le persone povere, perché sono ricche di qualcosa che qui non c’è più”. E a poche settimane dal suo rientro in Italia: “Mi sento di dire che è importante coltivare qualcosa di continuativo: ho creato dei legami e oggi penso che sia impossibile non tornare. A ciascuno di voi auguro di vivere un’esperienza così importante, inaspettata e arricchente. Chiunque potrebbe farlo, darebbe un risvolto alla vita di ciascuno”.

I coniugi Christian Castorri e Alice Martini, di Ronta di Cesena, lui vicesindaco di Cesena e lei infermiera presso la Terapia intensiva neonatale al “Bufalini”, nel giugno scorso hanno trascorso tre settimane nella missione di Charre, in Mozambico, insieme ai figli Pietro, Francesco e Michele, rispettivamente di 14, 12 e 7 anni.  La missione è ‘l’ultima nata’ tra quelle guidate dalle suore francescane della Sacra Famiglia.

“Vivere insieme un’esperienza in missione era un desiderio coltivato da 16 anni, da giovani sposi – le parole di Alice -. Prendemmo contatto con i missionari della Consolata di Gambettola: mio nonno aveva vissuto esperienze di missione in Tanzania e a Tete, in Mozambico, con padre Sandro Faedi. Ma quello non era il momento giusto. Poi sono nati i figli”. Fino a quando “Una luce potente ci ha messo nelle mani di suor Daniela. Con una semplice telefonata, in febbraio abbiamo chiesto se era possibile fare un’esperienza in Mozambico. Inizialmente pensavamo solo noi due. Poi suor Daniela ci ha un poco provocato: ‘Sicuri solo voi due?’. E Christian: ‘… Se ci portassimo i bambini?’”.  “Infatti – prosegue Alice pensare di stare 3 settimane lontani non so come avremmo fatto. Pietro aveva ascoltato l’esperienza di suor Claudia Lugaresi in parrocchia. Francesco si chiedeva: si potrà giocare a calcio? Michele forse non sapeva bene… ma di certo ha trova un sacco di amici”.

Tra le prime domande: “Cosa portiamo? Pensavamo di fare un tetrix di valigie, con il desiderio di portare tante cose – continua Alice -. In realtà, non è cosa si porta, ma andare e stare con loro. È questo il senso che abbiamo trovato in questa esperienza. Quando ci si trova in quel contesto, è del tutto nomale vivere come vivono loro”.

“Il viaggio è stato impegnativo per i tanti bagagli. E in Mozambico, impiegare 17 ore di pullmino per fare 450 chilometri ci è sembrato anche ‘normale’. Ma abbiamo visto un cielo strapieno di stelle. E vissuto un’accoglienza strepitosa: sentire il loro canto da lontano, mentre stavamo arrivando, ci ha commosso – prosegue -. Sono infermiera, mi ha toccato da vicino il fatto che molte donne non sopravvivono al parto. Con le suore andavamo nelle capanne a portare riso, farina, un poco di zucchero. Quello di cui c’era bisogno. Insieme alle suore e alle persone del villaggio, eravamo in compagnia tutto il giorno”.

Ci siamo portati a casa una grande pace – conclude Alice -. Con il passare dei giorni sono uscite emozioni forti. Occorre un po’ di tempo per realizzare quanto ti è capitato. Penso che sia stata una grande ricchezza per i bambini, che sono stati bravissimi. La sera prima della partenza, Michele ha pianto nel letto chiedendosi se avrebbe rivisto i bambini. Quegli stessi bambini di Charre che alle 6 di mattina correvano alla nostra finestra a chiamare Pedro, Francisco, Michel. Lo consiglio a tutto: nessuno spavento, tanta ricchezza”.

La testimonianza è proseguita con le parole di Christian: “Abbiamo visto la povertà, le persone senza acqua e senza luce. Venivano in mente i racconti dei nonni, che ci sembravano così lontani: bambini costretti ad andare a prendere acqua con bici più grandi di loro, al fiume o al pozzo. A lavarsi nella latrina fuori dalla capanna. Abbiamo visto uno spicchio di mondo che tutti sappiamo che esiste, ma fino a che non si tocca con mano, non se ne capisce la portata. E anche il racconto non rende a pieno quanto vissuto. Con il passare dei giorni, diventavano normali cose che non sono normali: 17 ore per fare 450 chilometri. La non connessione alla rete per chi è sempre connesso. E siamo sopravvissuti meglio di quanto viviamo”.

Ci portiamo a casa i sorrisi di quei bambini che non hanno nulla, e sono comunque in grado di trasmettere tanto. E la loro spensieratezza”, prosegue Christian. “Nei giorni successivi al ritorno, forte è stata la riflessione sulla necessità di riportare al centro la relazione fra le persone, così come ha detto Angelica nella sua testimonianza. In quelle tre settimane erano importanti quelle persone, in quel momento. È la necessità di ridare valore al tempo, curando la qualità”. “Una delle cose che mi è rimasto dentro – conclude Christian – è la netta distinzione tra il giorno di festa e il resto della settimana. I primi giorni abbiamo distribuito magliette e scarpe. E il giorno dopo avevano ancora quelle vecchie. La maglietta nuova e le scarpe nuove le avevano addosso nel giorno di domenica: un giorno non uguale agli altri, ma un giorno importante”.

Giuseppe Brighi, marito di una nipote del cesenate Bruno Fusconi, ha portato testimonianza di come stiano portando avanti l’opera e gli intenti dell’associazione “Amici dell’Africa e America Latina onlus” fondata dal missionario laico Fusconi, di cui il 22 ottobre ricorreva il primo anniversario della morte.

“Pochi mesi prima della morte di Bruno, abbiamo accettato di continuare la sua opera in giro per il mondo, di cui gli ultimi 30 anni in Etiopia. Ciascuno di noi della famiglia negli anni scorsi aveva partecipato a viaggi missionari e aveva visto con lui, aveva toccato con mano il lavoro che aveva coltivato e costruito nelle comunità – le parole di Brighi -. Ciascuno di noi è cresciuto interiormente in quelle esperienze. E così noi familiari abbiamo accettato con gioia e con il rispetto dovuto a Bruno l’incarico di portare avanti il suo lavoro”.

Da anni l’associazione cesenate collabora con la “Gaom” di Reggio Emilia (Gruppo Amici ospedali missionari). “Tre i progetti sui quali stiamo lavorando, nella parte della Etiopia a sud est della capitale. Alcuni progetti sono stati abbandonati, perché sono cambiate le situazioni nel tempo. Quelle che proseguono, è una scuola a Neghelli: una piccola città dove Bruno ha fondato più di 20 anni fa una scuola, grazie al contributo della Fondazione Orogel, che ne continua tuttora l’opera del mantenimento. La scuola oggi conta 250 bambini. Accanto alla scuola Bruno aveva costruito una chiesa simile attorno alla quale la comunità si stringe”.

“Un altro progetto – prosegue – è una casa-famiglia di 50 ragazzi di strada, dai 3 ai 18 anni. Sono bambini e ragazzi abbandonati, raccolti dalle forze dell’ordine e portati alla casa-famiglia perché trovino una nuova famiglia. E lì la trovano: vengono seguiti nel percorso scolastico, fino ai 18 anni. Usciti, possono accedere all’università o imparano un’attività lavorativa. Vengono loro date conoscenze scolastiche e una formazione pratica. Negli stessi ambienti abbiamo costruito una panetteria nella quale produciamo pane che poi viene venduto per sostenere in parte i costi della casa-famiglia. È stato realizzato anche un pollaio e un orto-giardino: i ragazzi oltre a vivere una situazione di comunità, vivono impegni individuali loro affidati per la gestione quotidiana della casa-famiglia”.

“Un progetto di cui andiamo fieri – prosegue Brighi – è nato quest’anno in comunione con le suore dell’ordine di Foucauld, a Shashamane: accolgono mamme abbandonate in stato di povertà, e attraverso un percorso vengono aiutate a costruire un’attività lavorativa. Oppure a un percorso di studi, anche universitario. Oggi nella struttura vivono 17 ragazze, due hanno lasciato la casa perché diventate indipendenti. E altre ne sono arrivate. La genitorialità lì è diversa dalla nostra cultura: l’abbandono familiare non è infrequente, così come l’abbandono dei padri alle madri, che si trovano a sopportare l’intero carico dei figli. Ho lavorato in ospedale: piangere non è infrequente. Pensare che siamo a sei ore da qui…”.

Brighi conclude con un invito: “Vivere un’esperienza in queste missioni in Etiopia è fattibile: abbiamo in programma di fare 2-3 viaggi di gruppo all’anno. Vi invito a metterci in contatto con noi: andremo frequentemente perché desideriamo dare continuità alle missioni create da Bruno: da un seme, curarne la pianta che cresce”.

La veglia è proseguita con la riflessione del vescovo Coffi: “Dal 2012 al 2017 ho svolto ministero in questa Diocesi, e 5 mesi fa sono stato ordinato vescovo. Quindi, sono ancora un bambino. Voglio salutarvi e ringraziarvi, soprattutto il vescovo Douglas che mi ha fatto l’onore di invitarmi a questa veglia missionaria. Grazie soprattutto per il suo viaggio in Benin, insieme ad altri 7 tra sacerdoti e amici italiani, venuti da Cesena per partecipare alla mia ordinazione episcopale a Lokossa. Era il 13 maggio scorso. Per la giornata missionaria mondiale papa Francesco ha lasciato il messaggio con titolo ‘Cuori ardenti, cuori in cammino’. Si riferisce al vangelo di Emmaus che abbiamo appena sentito. Partirono senza indugio, e fecero ritorno a Gerusalemme per annunciare il Cristo Risorto. Ringrazio i fratelli e sorelle che hanno dato bella testimonianza dei loro viaggi”.

“Cuori ardenti: tutti sappiamo il ruolo centrale che svolge il cuore nella nostra vita. Quando si raffredda, si muore – prosegue il vescovo Coffi – quando è ardente, si mette in cammino per la missione. E così va via la freddezza, l’indifferenza, la passività. Si parte per andare incontro agli altri, per andare ad annunciare il Cristo Risorto. Tutto parte dal cuore. La motivazione, la passione, l’amore. Anni fa, tanti missionari europei hanno lasciato la loro terra per andare a portare il Vangelo del risorto agli altri popoli del mondo. Hanno dovuto affrontare le malattie… Sono morti. Eppure, erano felicissimi”. E tornando alle testimonianze appena ascoltato: “Abbiamo visto ora la gioia condivisa con noi degli amici che sono andati. È bello vedere che si portano aiuti materiali. Ma si torna ricchi di valori, della felicità della vita. E questo è importante. Abbiamo bisogno gli uni degli altri: ieri i missionari europei, e oggi tornano per dare una mano. È come una figlia che è nata, è cresciuta, è diventata adulta e torna ad assistere la mamma che ha bisogno”.

La missione dà senso alla vita: scopri qualcosa di più bello. Esci dalla tua casa, dal tuo paese. E Dio ti fa vedere qualcosa di più bello. Nell’esortazione Gaudete Et Exultate papa Francesco scrive: ‘Considera la tua vita come una missione’. La tua storia è lo svolgimento di una missione che devi scoprire. Il sinodo ha come tema ‘Per una chiesa sinodale, comunione, partecipazione e missione’: la missione oggi non è una cosa riservata ai vescovi, ai sacerdoti e alle suore. No, la missione è per tutti. La corresponsabilità: ciascuno ha la sua parte da giocare. E questo è missione”. “Mi permetto di fare la domanda – conclude il vescovo Coffi – come svolgi la tua missione? Siamo invitati a mettere i nostri piedi in cammino, ma soprattutto a camminare insieme. Insieme possiamo aiutare il mondo a diventare il sogno di Dio. Che non è la guerra, e sappiamo quello che sta succedendo. Il sogno di Dio è la pace, è l’amore, è la fratellanza. È il Vangelo che ci insegna questo. Il Signore ci aiuti a rispondere generosamente alla nostra missione. Amen”.