L’ultimo saluto a don Luciano, “in trincea fino alla fine”

Il Santuario dell’Addolorata ha salutato don Luciano Bugnola per tanti anni, dal 1998 fino a pochi mesi fa, punto di riferimento della “chiesa dei Servi”, in centro a Cesena.

Don Luciano è morto lunedì 3 ottobre ad Albano Laziale (Roma), nella casa dei missionari del Preziosissimo Sangue dove, oramai stanco nel fisico, si era ritirato a fine luglio scorso.

In tanti hanno partecipato alla celebrazione funebre questa mattina nel santuario a due passi dalla Cattedrale: numerosi i confratelli missionari del Preziosissimo Sangue, congregazione a cui apparteneva don Luciano, arrivati dalle comunità di Monopoli e dall’Umbria, e i sacerdoti che in Diocesi hanno comunità a Santa Maria della Speranza e a San Piero in Bagno. Tra i concelebranti, il vicario generale monsignor Pier Giulio Diaco, don Piero Altieri, don Egidio Zoffoli e don Pasquale Gentili. E poi c’erano i tanti amici di don Luciano, fedeli alle celebrazioni all’Addolorata.

“Il suo pellegrinaggio su questa terra da ‘cercatore di Dio’ è terminato all’età di 86 anni – le parole dell’omelia di don Terenzio Pastore, direttore provinciale della Congregazione dei missionari del Preziosissimo Sangue -. La nostra speranza è che ora sia già alla presenza di Dio. Ringraziamo per il bene che ha compiuto”.

Don Terenzio ripercorre la vita don Luciano, entrato nella Congregazione fondata da San Gaspare del Bufalo a 10 anni. Nato nel piccolo paese di Selva di Progno, in provincia di Verona, ha iniziato il suo percorso verso il sacerdozio giovanissimo: il 6 gennaio 1958 è missionario del Preziosissimo Sangue e il 9 luglio 1961 è sacerdote.

Settantasei anni in Congregazione, oltre 64 da missionario e 61 da sacerdote – ricorda commosso don Terenzio -. Don Luciano è uno dei nostri ‘missionari nel Dna’, entrati nella famiglia religiosa da bambini, vi hanno vissuto tutta l’esistenza. Il Signore, che ci conosce nell’intimo, sa cosa c’è stato durante questo viaggio, nel cuore di don Luciano, ogni giorno. Nelle varie comunità che ha servito: dopo Albano, Ancona, dove si laurea in Lettere e Filosofia. Poi è trasferito a San Felice di Giano, in provincia di Perugia, dove si dedica a tempo pieno alla predicazione e alle missioni popolari. Poi Rimini, Firenze e infine Cesena”.

“Cesena era la città in cui ha sempre desiderato essere – ha proseguito don Terenzio -. Ha ritenuto una grazia di Dio l’esservi approdato. Cesena aveva in comune con i suoi luoghi di nascita un carattere aperto e il buon vino. Che, magari, sono un binomio che funziona spesso. La città lo attirava per la diffusa anticlericalità. Una sfida affrontata avvicinando i suoi interlocutori con semplicità e ironia, in ambienti informali come in chiesa, costruendo ponti di relazione, sempre pronto ad argomentare facendo leva su una indubbia cultura che ha sempre cercato di alimentare. Il voler essere vicino alla gente e ai suoi bisogni lo ha portato a pronunziare parole critiche verso quello che riteneva il ‘potere’. Politico o religioso che fosse. Parole che, opportune o meno, nella ragione o nel torto, manifestavano la libertà nell’esporre il suo pensiero e suscitavano la discussione sull’argomento”.

“Il dono più grande che un missionario nel Dna è chiamato a offrire è Gesù – ha proseguito don Pastore -. Ciascuno di noi, attingendo dai propri ricordi, potrebbe rievocare tratti caratteriali di don Luciano. Come per ciascuno, ce ne saranno alcuni belli, altri meno. Il mio invito è quello di soffermarsi e di scolpire nel cuore il seme di Vangelo che don Luciano ci ha donato. Quel seme che ha gettato nei nostri cuori per amore, facendosi dono. Quel seme che ci incoraggia nel cuore il nostro percorso di ‘cercatori di Dio’”.

“Voglio restare in trincea fino alla fine”. Don Terenzio riporta il desiderio espressogli da don Luciano, oramai avanti negli anni. “Eravamo giunti alla decisione di chiudere la comunità di Cesena – ripercorre la storia – favorendo la continuità della nostra secolare presenza qui ai Servi, con i confratelli tanzaniani. E don Luciano voleva rimanere, per celebrare la Messa ed essere disponibile alle confessioni e all’ascolto. Per seminare il Vangelo. E per vivere da missionario fino a quando il Signore gli avesse dato vita e forza. In trincea, appunto”. E così è stato.

Don Terenzio si rivolge poi a don Luciano: “Ora, intercedi per ogni persona che hai incontrato, anche per chi non ha ancora scoperto di essere cercatore di Dio. E per la Chiesa: chiedi che tutti abbiamo la buona volontà di restare in trincea fino alla fine”.

Al termine della Messa funebre, don Alessandro Manzi, cesenate e missionario del Preziosissimo Sangue, da diversi anni in servizio pastorale in Tanzania, a nome dei padri tanzaniani che custodiscono il Santuario dei Servi e in questi giorni rientrati in Tanzania (padre Eugenio, padre Magnus e padre Egidio)  ringrazia della presenza di tanti alla celebrazione: “Grande è stato il desiderio di accogliere qui, oggi, don Luciano. Preghiamo affinché i frutti del suo apostolato qui siano sempre più tangibili nella nostra vita”.

“Don Luciano a noi missionari giovani ha insegnato tanto – sono le parole di don Walther Milandu, parroco a Santa Maria della Speranza -. Ci ha sempre considerato fratelli, vicini. Ci ha dato testimonianza di come si dona il Vangelo senza riserva, fino all’ultimo respiro. E grazie al vescovo e agli amici che hanno accolto il suo desiderio di rimanere sempre qui, per la vostra vicinanza e carità”.