Focherini, un martire testimone di Pace

“Ma Dio il babbo l’ha mandato per noi o per gli altri?”. Nella domanda che uno dei figli pose alla madre, quando era bambino, si concentra l’esistenza del beato Odoardo Focherini, martire e ‘giusto tra le nazioni’ per lo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme.

Luminosa figura di laico, marito e padre amorevole, Focherini ha pagato con la vita la sua coerenza cristiana. Negli anni della Seconda guerra mondiale creò una rete di aiuto agli ebrei perseguitati, per questo fu arrestato e deportato nel campo di concentramento di Hersbruck (Germania) dove morì a soli 37 anni, “offrendo la mia vita in olocausto per la mia diocesi, per l’Azione cattolica, per L’Avvenire d’Italia e per il ritorno della pace nel mondo”, come scrisse nel suo testamento spirituale. 

A lui e alla moglie Maria Marchesi è stato dedicato l’incontro ‘Testimone di pace’ che si è tenuto oggi a Palazzo Ghini, organizzato dall’Azione cattolica con il patrocinio del Comune di Cesena e dell’associazione Benigno Zaccagnini.

A ripercorrerne la vita è stata la nipote Maria Peri, 48enne ricercatrice storica che da anni si dedica a portare avanti la memoria dei nonni e alla divulgazione della loro vicenda. “Grazie agli ottimi maestri, tra cui il fondatore della comunità di Nomadelfia don Zeno Saltini, Odoardo ha fatto suoi i valori dell’Ac di preghiera, azione e sacrificio, consapevole che lo spirito deve incarnarsi nell’esistenza quotidiana” racconta la nipote, la cui madre Paola è l’ultima dei setti figli nati dal matrimonio dei nonni.

“Odoardo e Maria si incontrarono per la prima volta in una vacanza sui monti nel 1925, sposandosi cinque anni dopo. Si trovarono subito: entrambi di origine trentini e modenesi di adozione, amanti della montagna, cresciuti nell’Azione cattolica e due spiriti liberi”.

Accanto all’attività di assicuratore, Focherini fu giornalista, collaboratore dell’Osservatore Romano e dell’Avvenire d’Italia, di cui divenne anche amministratore delegato. “Soprattutto in tempi difficili, Odoardo credeva che la stampa fosse uno strumento indispensabile per continuare a dire la verità. L’Avvenire negli anni del fascismo provò a essere un giornale libero per quel che poteva e per questo aveva una buona tiratura”, sottolinea Maria Peri.

Con l’introduzione delle leggi razziali, nel 1938, Focherini si attivò subito per aiutare gli ebrei procurando loro, con la complicità di alcuni sacerdoti, certificati di battesimo falsi per poter lasciare l’Italia. Durante la guerra, insieme a don Dante Sala, corse molti rischi per mettere in salvo in Svizzera 105 ebrei. Scoperto, passò diversi mesi nel carcere di Bologna, fu traferito a Fossoli, poi a Bolzano e da lì in Germania.

“Dopo l’arresto, continuò in carcere a essere l’uomo che era sempre stato fuori, fu una forma di resistenza  ─ afferma ancora la nipote ─. Lontano da casa, sentiva l’urgenza di essere presente tra i suoi familiari: scrisse 166 tra lettere e biglietti. Nelle sue parole si intravede un cammino spirituale evidente e la consapevolezza del martirio che si avvicina. Ma Odoardo non è arrivato da solo sul calvario, con lui c’è sempre la moglie Maria”.

Lo si capisce dai dialoghi scritti che i due sposi si scambiano, segno di un legame indissolubile: stesse espressioni d’amore, parole di fede, speranza e di progettualità del futuro. “Sono rimasti fedeli l’uno all’altro nel loro progetto di vita, anche nei 45 anni di vedovanza di Maria che, dopo la morte del marito, ha ritrovato la forza di andare avanti e ricoprire, nonostante il dolore, il ruolo pubblico in occasione dei tanti riconoscimenti che lui riceveva”, sottolinea la nipote.

All’incontro, moderato dal giornalista Cristiano Riciputi, era presente il vescovo Douglas. Monsignor Regattieri ha ricordato Focherini, di cui quest’anno ricorrono i dieci anni dalla beatificazione, come “una figura amatissima a Carpi”, sua diocesi d’origine.