Tarquinio ieri sera a Cesena: “In politica senza timidezze, ma con la forza delle idee. La guerra è un veleno terribile”

Serve il coraggio delle idee. Contro chi vuole la guerra a tutti i costi e immagina di poter rimettere gli scarponi a terra, i cristiani devono rimettere al centro la politica. Quella che ha in mente alcune parole chiave, come responsabilità e partecipazione, ma anche doveri e amore per il prossimo, chiunque esso sia. Sono queste le ricette indicate da Marco Tarquinio, direttore del quotidiano Avvenire per 14 anni, dal 2009 allo scorso anno, e ora apprezzato opinionista televisivo, con molte sirene che lo vorrebbero candidato alle elezioni europee di giugno.

Tarquinio è un fiume in piena, anche perché, fa presente, “qua almeno si riesce ad articolare un ragionamento compiuto, non come in tv dove ti danno pochi secondi o in un editoriale dove si ha uno spazio limitato”. Il suo intervento si svolge durante la prima serata del ciclo di incontri promossi dalla Commissione diocesana Gaudium et spes come Scuola di Dottrina sociale della Chiesa. La sala Mondardini del seminario, ieri sera, si è presentata piena come si è visto in poche occasioni. Nel pubblico tante persone impegnate in politica e nel sociale, tra cui gli assessori Camillo AcerbiCarmelina Labruzzo, il candidato sindaco Marco Casali e Francesco Marinelli, segretario generale di Cisl Romagna. Il direttore, che da sempre è notista politico, parla a braccio per oltre un’ora di politica internazionale, di Putin e della guerra tra Russia e Ucraina che, nota, non va avanti da due anni, ma da dieci e, piaccia o no, dice, “bisogna sapere che la Crimea è Russia e che il 40 per cento della popolazione ucraina è di origine russa”. Tutti elementi da tenere in considerazione nel valutare la guerra in atto nel cuore dell’Europa, quel continente tirato in ballo più volte da Tarquinio e al quale si è appellato per poter arrivare a un negoziato. “Perché tanto la guerra finirà così. Allora che senso hanno queste centinaia di migliaia di morti?”, si chiede ad alta voce davanti a un uditorio che lo ascolta con grandissimo interesse.

“Libertà e uguaglianza senza la fraternità possono costituire un problema”, mette in evidenza Tarquinio che si è chiesto, come fa in diverse occasioni, se in questo momento nel mondo ci siano più pace e più libertà. “Cosa stiamo costruendo, noi occidentali, quelli che con le loro idee di democrazia erano usciti vincitori dal secondo conflitto mondiale? Che mondo stiamo consegnando alle nuove generazioni? Che idee di mondo abbiamo condiviso? Negli ultimi 25 anni le democrazie al mondo sono diminuite, senza tener conto che a volte, con il voto in più si creano situazioni contro i popoli, come nel caso della sharia, in Afghanistan”.

Cosa non siamo riusciti a fare? “Non abbiamo saputo vincere la pace – sostiene Tarquinio -. Noi, quelli delle libertà. Già Giovanni Paolo II ammoniva che bisognava stare attenti a quello che si faceva. Allora la parola da mettere in campo – un pallino del direttore – è responsabilità. Solidarnosc in Polonia fece una rivoluzione senza sparare un colpo – ricorda -. Noi, invece di globalizzare la solidarietà abbiamo globalizzato il mercato, facendone il tessuto connettivo del mondo”.

Poi butta là una chicca, in mezzo a mille ragionamenti geopolitici che però ci riguardano da vicino perché ci coinvolgono, anche qui in Romagna. “Bisogna fare gli uomini giusti mentre si fa impresa – ricorda Tarquinio – non solo i filantropi alla fine della vita”. È un suo cavallo di battaglia. Come le battaglie sulla pace. “Sono un pacifista, non temo nel dirlo, ma do le ragioni di questo pacifismo. La vita mi interessa, eccome: nel suo inizio e nella sua fine, ma anche nel suo durante”.

Poi torna ai suoi temi più cari, con un occhio all’Europa, di fronte al quale si interroga, come tutti i credenti cui è chiesto di immischiarsi, come domanda papa Francesco che a Cesena, il primo ottobre 2017 disse a tutti di “non balconare”. A livello globale, “oggi l’Occidente è meno amato rispetto a 40-50 anni fa – prosegue Tarquinio -. IL G7 è visto come un club da salotto, nel quale alcune nazioni, come la nostra, sono state sopravanzate da altre come l’India che meriterebbe di entrare al nostro posto”.

Questo nuovo tipo di capitalismo, come quello cinese, del cosiddetto “partito unico, è un capitalismo spinto e controllato. Perché chiudiamo gli occhi a giorni alterni sulle libertà? Mentre infuriava la guerra tra Russia e Ucraina, noi continuavamo a riempire la casse di Putin comprando il suo gas. Come ora che siamo tornati a comprare gas musulmano. Siamo doppi. Guardiamoci attorno. Come possiamo fermare questa china?”.

La risposta, secondo Tarquinio, “sta nel coraggio delle idee. Pensate a cosa sta dicendo Macron, il presidente francese, in questi giorni. Possibile che si possa pensare di mandare in guerra i ragazzi di oggi? Anche Draghi ha le sue responsabilità. Quando si trattava della guerra, lui pensava al Quirinale. Non ho paura di dirlo. Si può pensare a una Russia fuori dall’Europa? Sarebbe una sconfitta per i russi e per gli europei. Già Giovanni Paolo II parlava, ricordate vero, di un’Europa a due polmoni, quello ovest e quello est”.

E più a est, che accade? “Guardate cosa fa la Cina – insiste Tarquinio -. Preferisce conquistare i mercati più che i Paesi. Noi, ora, qua in Occidente, siamo ancora liberi, ma meno liberi di prima perché il mondo con più disuguaglianze è meno libero. Guardate i processi in corso. Non limitatevi al singolo fatto. In certe situazioni, come a Gaza, le uniche parole da dire sono: cessate il fuoco. Oggi lo dice solo il Papa, come lo hanno detto sempre i suoi predecessori”.

Come si può costruire la pace, in un mondo fatto così e così complesso? “La pace si fa con quelli che ci sono e non quelli che vorremmo – nota Tarquinio -. Pensate che qualcuno ancora pensa che la guerra possa essere uno strumento buono per la costruzione della democrazia. Sul bando per le armi nucleari solo l’Olanda si è schierata a favore. L’Italia non sa prendere posizione, mentre il primo sì è stato quello vaticano. Questo è un mondo a cui occorre cambiare verso, da adesso. La guerra in corso è un grande affare. Russia e Ucraina vendono armi all’Africa. Invece, bisognerebbe saper parlare di pace in russo ai russi e in ucraino agli ucraini”.

Le guerre in corso, riporta il direttore, sono 184, come riferisce l’università di Upsala. L’antidoto? Per l’Europa, dice Tarquinio, “un sovrappiù di intelligenza per accelerare i processi. Qualcuno dice: mettiamoli fuori, ma chi pensa ai popoli? Invece bisogna vivere insieme, dentro le società. Pensate ai guasti fatti con le guerre in Vietnam, in Iraq e in Afghanistan”. Quanti guasti.

È una visione ideale? “È un’urgenza concreta – risponde secco Tarquinio -. Anche questa guerra finirà con un negoziato. Il Papa l’ha definita in tanti modi. Uno di questi è: evitabile”. Poi snocciola dati sui renitenti alla leva in Russia e in Ucraina. Un milione i primi, 300 mila i secondi, con 9 mila già sotto processo e tre milioni di giovani fuori dal Paese e tanti russi che sono scappati negli Stati vicini, a est. “I morti non tornano a casa – fa presente Tarquinio – e quella di Putin è una strategia perdente. La guerra è la perdita di ogni umanità e non sono mai pulite. Aspettatevi il momento del contrordine, come in Afghanistan”.

Qual è la strada? Tarquinio la indica nella “resistenza civile non violenta”, con gli italiani che possono portare un di più per l’Europa, per un loro talento innato, quello di farsi mediatori. Poi cita l’ambasciatore Luca Attanasio, assassinato nella Repubblica democratica del Congo, un “bellissimo esempio di cristiano e di cittadino”. Tarquinio ne ha anche per le bombe sugli Houthi, in Yemen. “In quel Paese si è verificata la più grave crisi umanitaria degli ultimi 70 anni. Un fatto dimenticato da tutti. Ora che ci toccano le navi mercantili, iniziamo a sganciare bombe, anche italiane. Come volete che ci vedano gli Houthi?”.

Parla di un partito trasversale delle armi che definisce “imponente” e insiste: “finché motivano i bambini nessuno si muoveva. Adesso, invece…”. La ricetta: “l’Europa può dimostrare al mondo che c’è un’altra modalità, invece l’Italia ha scritto di un intervento prevalentemente difensivo. Allora significa che può essere anche offensivo. La guerra è un veleno terribile”.

I cristiani che possono fare? “Farsi riconoscere da come si amano”, taglia corto Tarquinio che rimane uno scout dentro. “Le battaglie per la vita non si fanno a pezzi. Ricordate il brano del vangelo di Matteo, capitolo 25, sul giudizio finale? Ero nudo e mi avete vestito, straniero e mi avete ospitato… Nel mondo negli ultimi 140 anni sono state ammazzate un miliardo di bambine perché donne. In Cina, in India, in Africa. Sulla legge 194 dico che i cattolici devono chiedere la sua applicazione, perché questo è il possibile della politica. Io stesso sono l’esempio di una madre che scelse la vita e non l’aborto terapeutico, dopo due aborti spontanei e il rischio per la sua sopravvivenza. L’amore vince tutto. Invece abbiamo tanti uomini carogna che mettono incinta le donne e poi scappano. Il commercio dei gameti è impressionante. Ho tante amiche femministe che con me fanno le battaglie contro l’utero in affitto. Ma le battaglie sulla vita sono disarmate, perché le storie delle persone sono tutte complesse e di fronte a esse ci vuole tanto rispetto. L’aborto è una tragedia, non un diritto. Non mi sento di giudicare”.

Sui migranti si chiede: “Come mai sono il 10 per cento della popolazione e il 40 per cento dei poveri? Chi sono le vittime e perché? La battaglia per la cittadinanza è per tutti e va fatta perché è giusta. La vita va difesa sempre, all’inizio, alla fine e nel durante. È una battaglia integrale che attiene all’integralità della persona. Pensiamo ai tempi del lavoro, al tempo da dedicare alla festa, alla famiglia, alla domenica, al riposo. Oggi abbiamo guerre e bisturi ingiusti. Battaglie da tenere unite, perché i contenuti delle nostre idee li portano avanti uomini e donne di questo tempo. Non bisogna avere timidezze. Al tempo del terrorismo, negli anni ’70, la Dc si battè per una maggiore giustizia per tutti”.

Poi la chiusa sui doveri. “Ci sono diritti, ma ci sono anche i doveri. È questo il tempo del doverismo e quello in cui riconoscere il campo in cui fare crescere semi buoni. Bisogna fare sentire il fiato sul collo, perché la politica va incarnata, anche se le classi dirigenti attuali non sono accoglienti. Invece ci vorrebbero porte aperte, finestre pulite e idee chiare”.

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