Il vescovo su cattolici e politica: “Dare voce a chi non ha voce”

L’importante è non balconare. L’imperativo risponde a un dovere per il cristiano e per il cittadino. L’ha ricordato ieri sera con fermezza in seminario il vescovo Douglas Regattieri al terzo appuntamento dell’annuale corso diocesano di Dottrina sociale della Chiesa. Cattolici e politica, il tema della serata affrontato dal presule davanti a un pubblico di addetti ai lavori, tra cui il sindaco di Sarsina Enrico Cangini, l’assessore ai servizi sociali e alla persona del Comune di Cesena, Carmelina Labruzzo e il candidato sindaco a Cesena per le prossime amministrative, Marco Casali.

Il vescovo ha parlato di buona politica e della politica migliore, due definizioni utilizzate da papa Francesco. La prima a Cesena, il primo ottobre 2017, in piazza del Popolo. La seconda affrontata nel quinto capitolo della “Fratelli tutti”.

“Quando domandiamo ai preti di non concedere spazi per serata squisitamente partitiche, lo facciamo per chiarire la fondamentale distinzione tra comunità politica e Chiesa – ha precisato monsignor Regattieri in avvio di serata -. Anche per poter avere libertà di giudizio lontana da ogni forma di collateralismo”. La politica, comunque, in quanto realtà umana, “conserva la sua bellezza. La politica è l’arte del governare, del vivere assieme. In questo suo esercizio, siamo tutti coinvolti, come indicato al n. 75 della costituzione conciliare Gaudium et spes”.

Partecipando alla vita del mondo, agendo ogni giorno, con il nostro esserci, “tutti facciamo politica – ha messo in evidenza il vescovo -. Anche quando raccolgo un pezzo di carta per strada e rendo più pulito l’ambiente in cui viviamo. Ecco perché si può parlare di bellezza della politica”.

Oggi, invece, si assiste a una disaffezione dalla politica, dall’interesse per la cosa pubblica. Lo mostrano con evidenza alcuni fattori, tra cui il costante e accresciuto astensionismo, verificatosi anche nelle recenti consultazioni regionali. “Solo in Russia sale la partecipazione al voto”, ha chiosato con una certa ironia monsignor Regattieri. “Si arriva persino a dire che la politica è una cosa brutta”.

Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, citato dal vescovo, indica due motivi che genererebbero questo distacco dei cittadini, in particolare i più giovani: da una parte una cattiva fama di chi fa politica attiva. Dall’altra la crisi dei legami in questa nostra società sempre più individualista. “Ma papa Francesco a Cesena – ha ripreso monsignor Regattieri – ha stigmatizzato questa indifferenza. Bergoglio ha invitato tutti ad agire di persona, senza mettersi dal balcone a criticare chi si impegna”. Il famoso “non balconare” passato appunto come discorso di Cesena, sulla politica.

Allora, ha proseguito il vescovo, la “buona politica” indicata dal Pontefice è quella che agisce lungo sette percorsi. È quella che non è asservita; non è né serva né padrona; è responsabile; fa crescere nel coinvolgimento; non lascia ai margini nessuno; non inquina; sa armonizzare le aspirazioni dei singoli e dei gruppi. Una lunga lista di buone prassi da prendere come tracciato da incarnare, per chi desidera impegnarsi in prima persona.

Ma non solo. C’è anche la migliore politica, quella indicata al capitolo 5 dell’enciclica “Fratelli tutti”. Si tratta di altri cinque percorsi: una politica non sottomessa all’economia, alla finanza, ai giochi di potere guidati dal guadagno; che sa nutrirsi di una visione profetica, e sappia guardare avanti, oltre l’immediato tornaconto elettorale, che sappia pensare al bene comune a lungo termine; una politica come forma alta di carità, secondo la felice formula coniata da Paolo VI; che sappia perseguire il bene comune riempito dei contenuti indicati al n. 74 della Gaudium et spes; la difesa degli ultimi.

Su questi due ultimi percorsi monsignor Regattieri si è soffermato. “Con il diritto di aborto che entra nella costituzione di uno Stato (quello francese, ndr) si perde il senso della vita – ha sostenuto con forza il vescovo -. Si assiste a una esasperata richiesta di difesa dei diritti individuali a scapito di quelli degli altri”. Anche la delibera della Giunta regionale in tema di suicidio assistito, “mi domando – si è chiesto il vescovo – i cattolici che militano in certi partiti perché non dicono la loro e non prendono le distanze?”.

Poi la ripresa di un’affermazione riportata nella conferenza stampa con i giornalisti del 24 gennaio, in occasione della festa del patrono, san Francesco di Sales. “È stato riportato che sarei nostalgico della Dc. Vista la dispersione dei cattolici e la loro insignificanza, allora mi viene da sognare quel partito”. Poi la chiosa finale: “Ci sono dei punti su cui non possiamo sorvolare”.

Anche sugli ultimi il vescovo ha voluto esemplificare. “Il tema migranti – ha detto -. Oggi sono loro gli ultimi e la migliore politica lavora per integrare”. Quindi una considerazione finale e generale: “È giusto che ragioniamo sui grandi principi morali che un politico non può non tenere in considerazione”.

Infine, l’ultimo ragionamento è stato sull’essere nel mondo, da credenti, ma “non del mondo”. “Il laico cristiano è chiamato a operare e a orientare tutto verso il Regno di Dio, seguendo tre indicazioni. Bisogna essere preparati, seguendo il Magistero sociale della Chiesa. La formazione è indispensabile per chi vuole impegnarsi in politica”. E anche la conoscenza della Dottrina sociale della Chiesa. Secondo: non esimersi dall’esprimere giudizi sulla realtà, per stare dentro al mondo. “Fornire giudizi morali anche sull’ordine politico. La Chiesa deve parlare e i cristiani pure, sull’esempio del vescovo Oscar Romero che si fece uccidere pur di non tacere sulle ingiustizie”. Oppure, ha chiesto ancora monsignor Regattieri, con una domanda retorica, “vogliamo una Chiesa che tace? Dare un giudizio è un dovere, non con lo spirito della crociata, ma del dialogo”.

Prima della conclusione il vescovo ha voluto fornire una cassetta degli attrezzi per il politico in cinque punti. Primo: la ricchezza data da una vita interiore, così da elevare la qualità sociale delle relazioni, oltre le cose da fare. Due: esemplarità della vita, con l’immersione in quella della gente, grazie all’incarnazione alla condivisione. “Difficile per tutti – non si è nascosto il vescovo – anche per noi, vescovi e preti”. Tre: avere competenze. Quattro: usare bene la parola, concreta e appropriata. Quinto: assunzione seria e vera della rappresentanza degli ultimi. Farsi voce di chi non ha voce.

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