Diocesi
Comunione e liberazione. In 400 al campo delle famiglie, a Mazzin di Fassa, in Trentino
Sono state giornate intense quelle vissute a Mazzin di Fassa, in Trentino, la scorsa settimana dagli oltre 400 partecipanti, dalla Diocesi di Cesena-Sarsina, alla vacanza delle famiglie proposta dal movimento di Comunione e liberazione.
Alle gite ai rifugi Vajolet e Principe, nel gruppo del Catinaccio, e a quella attorno al gruppo del Sassolungo partendo dal passo Sella, si sono alternati momenti di riflessione e di preghiera personale e comunitaria, come la recita delle lodi, ogni mattina e la Messa quotidiana.
Le serate sono state trascorse in allegria, animate con musica, canti e frizzi, ma anche con la visione di un film, “Quasi nemici”, che ha aiutato nella comprensione delle ragioni degli altri.
Il tema del campo “Ecco il paradosso: la libertà è la dipendenza da Dio” ha fatto da filo conduttore agli incontri personali, anche grazie alla presenza di quattro sacerdoti, l’assistente ecclesiastico, don Stefano Pasolini, don Gian Piero Casadei, don Ernesto Giorgi e don Maurizio Macini, alle testimonianze arrivate dall’esterno e all’assemblea con don Paolo Prosperi, fratello minore del responsabile della fraternità centrale, Davide Prosperi.
Tra le testimonianze, quelle del cesenate Isacco Neri e dell’amico Marco Bernardi, entrambi imprenditori, che hanno raccontato del loro rapporto con Enzo Piccinini, allora responsabile del Clu di Bologna quando erano giovani studenti universitari. E di come quel rapporto sia stato per loro decisivo, nella vita privata come in quella lavorativa. Grazie anche a ciò che vivono nella loro fraternità, all’interno della quale si condividono tutte le scelte, persino quelle relative alla vendita o meno dell’azienda di famiglia, o rinunciando a parte dei profitti per un modo di vivere diverso dal solito, perché “l’azienda la gestisci in un’altra maniera”, ha precisato Bernardi. “L’amicizia con Cristo – ha detto Neri – è una faccenda contagiosa che si diffonde tramite un’amicizia umana”, come entrambi hanno fatto bene intendere nei loro racconti.
“Un’attrattiva per chi ci guarda – ha proseguito Bernardi -. Viviamo le solite situazioni di tutti, con un modo diverso di guardare il mondo. Il bisogno di uno diventa un’occasione per tutti”.
Don Paolo Prosperi, in un’altra assemblea, ha risposto a diverse domande. Tra le altre, quella sulle battaglie che oggi non sarebbero più condotte come ai tempi del divorzio e dell’aborto, negli anni ’70 e ’80. “La prima umiltà è quella di riconoscere – ha detto il sacerdote – che non so rispondere. Che non abbiamo una risposta per tutto. La Chiesa, nei secoli, ha fatto tanti passi in avanti grazie alle eresie. La dottrina non è immutabile, ma cammina con l’uomo. Si può battagliare, ma per ciò che ci riempie di amore. Altrimenti corriamo il rischio di disprezzare la ragione altrui convinti che tanto noi sappiamo già tutto. L’amore è anche attenzione. Spesso chiediamo di tutto, ma non domandiamo aiuto per il discernimento”.
Sul desiderio di vivere più intimamente la fraternità, don Prosperi ha ricordato che l’ideale della comunione è la lavanda dei piedi proposta da Gesù. “Cominciate a pregare come non avete mai fatto prima e poi iniziamo ad abbracciare i nostri amici così, per come sono”.
Sull’incapacità di stare davanti al dolore, come per esempio nel caso della perdita di un figlio, il don ha messo in evidenza come la “fede sia una virtù che cresce secondo tante gradazioni. Io posso portare il grido di un altro, un amico, un parente, un conoscente, un vicino, se ho qualcuno davanti a cui portarlo, il Signore della storia”.
Sulle difficoltà davanti ai figli che compiono scelte che spiazzano i genitori, don Prosperi ha aggiunto che oggi si corrono due rischi. Quello di imporre un bene, buono e vero. E l’eccesso opposto, quello di non proporre nulla per non rischiare e soffrire. “Si rischia di chiamare rispetto della libertà quello che è vergogna di Cristo. A volte scivoliamo nel quieto vivere dei rapporti. Spesso non sappiamo cosa dire e non sappiamo dare ragioni. Proporre non è imporre, ma è sfidare la libertà dell’altro. I giovani vogliono vedere che sei disposto a lasciarti deridere. A dare la vita. Finché non si rischia il rifiuto non ci si mette sullo stesso piano. Quando si chiede a un altro, a un figlio, un sacrificio, è lì che lo si stima”.