Diocesi
Il vescovo Brambilla: “Il cristiano parla di un’eccedenza di cui è costituito. Dice di un Altro. Rimanda a un Altro”
Parte dalla Dei Verbum il teologo Brambilla. Per parlare ai preti di Tradizione nella Chiesa, quella con la T maiuscola, il vescovo di Novara e vicepresidente della Cei, Franco Giulio Brambilla, questa mattina in seminario ha preso in considerazione la costituzione dogmatica del Concilio vaticano II datata 18 novembre 1965. Il secondo capitolo del testo, “forse l’unico documento del Concilio che sarà ricordato tra 500 anni”, aggiunge il presule, è dedicato alla “trasmissione della divina rivelazione”. E il paragrafo 8 è intitolato “la sacra tradizione”.
“Trasmettere la fede oggi” è il titolo dell’intervento affidato a monsignor Brambilla. Al suo fianco, sul palco, ci sono il vescovo Douglas e il vicario generale, don Pier Giulio Diaco. “La Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede”. Il vescovo parte da questa frase tratta dal n. 8 della Dei Verbum per affermare che “la Tradizione non è evoluzionista, ma casomai, nella discontinuità, è attaccata ancor di più all’origine, in modo che possa corrispondere maggiormente all’annuncio del Vangelo”.
“Noi parliamo molto di più con i gesti che con le parole – ammonisce il presule -. Il Papa su questo ha una marcia in più”. L’esempio da seguire è quello di Maria. Lei custodiva e meditava i fatti relativi a Gesù nel suo cuore, come racconta Luca nel secondo capitolo del suo Vangelo. Sono importanti, allora, “la contemplazione e lo studio dei credenti che meditano in cuor loro le cose belle che vedono e vivono”.
In ogni caso, dice ancora il vescovo, “si trasmette la vita cristiana. La pratica delle fede ha la precedenza sulla dottrina”. Allora chiediamoci, aggiunge monsignor Brambilla: “Cosa trasmette la Messa domenicale? Oggi sono in crisi la trasmissione della fede e le forme buone della vita”.
Contemplazione, studio e intelligenza sono ricordati ancora al n. 8 della Dei Verbum. Il vescovo cita madre Anna Maria Canopi e l’isola di san Giulio, sul lago Maggiore dove operano 75 suore, a 45 anni dall’apertura del monastero. Una realtà in crescita, in controtendenza rispetto al calo generalizzato delle vocazioni, visitata da 10 mila persone all’anno. “È come una centrale idroelettrica – chiosa il vescovo -. Un generatore di energia. Sì, perchè si trasmette davvero ciò che la Chiesa è, crede e spera”.
“Non c’è vita buona senza Vangelo”, dice tirando qualche conclusione il vescovo Brambilla. Nonostante i tanti che sembrano non interessarsi alle domande essenziali sulla loro vita, i cosiddetti “vivacchianti”.
Trasmettere significa lasciare ereditare, questa un’altra consegna lasciata dalla mattina di ritiro dei sacerdoti. Bisogna lavorare sui tempi lunghi e non temere di non vedere risultati immediati. Ciò che ci unisce, noi cristiani, “è che siamo testimoni”. Testimoni nel mondo, e il mondo è il nostro terreno. Citando il cardinale Martini, Brambilla aggiunge: “Il seme senza terreno diventa secco. Il terreno senza seme diventa arido. Davanti a noi, quindi, non abbiamo persone che sono come pagine bianche su cui scrivere. Sono terreni su cui lavorare. Il testimone è colui che dice e dona Gesù agli altri nella lingua degli altri”.
“Il testimone vero parla di un’eccedenza di cui è costituito. Dice di un Altro. Rimanda a un Altro. Tra prassi e dottrina esiste un rapporto circolare. Rimane per noi importante non perdere unità tra dottrina e prassi”, aggiunge il vescovo ormai in conclusione.
Infine una battuta sui new media. “Sono la vera novità. Non vanno né demonizzati né cavalcati spavaldamente. Occorre sapere, comunque, che sono come coltelli affilatissimi. Siamo come ai tempi del passaggio dal manoscritto alla stampa. In quel caso il passaggio durò un secolo. Ora avverrà in dieci/vent’anni al massimo”.