In morte di Amal: una tragedia che abbiamo lasciato scorrere anche noi

Amal, chi non ha visto in questi giorni la fotografia della piccola yemenita? Quanti però hanno avuto il coraggio di sostare su quelle gracili membra e chiedersi perché un essere umano innocente debba essere condannato ad una simile estinzione, lenta e crudele? Indubbiamente nello Yemen e in tante altre parti del mondo ci sono bambini (e adulti) che versano in simili condizioni estreme. L’attenzione non vuole risultare pietistica e dolente per poi fuggire ed evitare di affrontare la gravità denunciata. Anche perché il noto fenomeno della rimozione psicologica farebbe rimbalzare l’angoscia travestita e diventerebbe impossibile comprenderne l’insorgere. Resta, a chi si ritenga umano (il discorso non è immediatamente legato ad un credo religioso) un interrogativo lancinante: perché abbiamo perso (troppo facile asserire smarrito) il senso del vivere insieme, che guarda a tutta l’umanità in cui si partecipa ogni risorsa elementare e primitiva per l’esistenza?

Rimandare ai giochi politici è la via più immediata e di nessuna soluzione: non colpisce nel segno. Politica, economia, distribuzione dei beni arrivano in seconda battuta. Determinante è la prima: io, cioè me stesso o me stessa, ho coscienza che sto contribuendo a ridurre ad un ammasso di ossicini e ad un sacco di pelle raggrinzita, una bambina che ha tutto il diritto di essere vitale? Non significa battere un sentiero che conduca all’eliminazione dalla propria vita quotidiana il cibo e ridursi ad uno scheletro. Significa lasciar pulsare la propria coscienza e non aggrapparsi a tutto il superfluo che invade le giornate e diventa il terribile status symbol qualificante ai nostri e agli altrui occhi.

Diventare sobri e capaci di condivisione si inserirebbe alla radice della tragedia e consentirebbe di creare deterrenti, azioni concrete di salvataggio; chiederebbe un impegno costante e mirato non al benessere assoluto ma a quello relativo che a tutti permetta di essere e vivere da umani. L’appello al Creatore è fuori posto, non perché Egli non sia coinvolto nella nostra storia in cui possiamo cogliere e leggere il Suo agire, ma perché noi dobbiamo essere i Suoi occhi, noi dobbiamo essere le Sue mani. Come è fuori posto, immediatamente, pensare Amal lieta nei verdi prati del Paradiso, paffuta e rosea, come mai è stata. Così facendo si traspone il problema e ci si tranquillizza anestetizzandoci. Dobbiamo rimanere più che svegli, dobbiamo scoprirci inquieti e addolorati nel profondo. La tragedia l’abbiamo lasciata scorrere anche noi, ciascuno e ciascuna di noi.

Dobbiamo rivedere i parametri di vita, le scelte quotidiane. Sostanzialmente smettere di giocare nella vita a chi presume che, accaparrandosi cose, oggetti, abiti, macchine, possa cambiare se stesso in un essere privilegiato, arrivato, saturo di benessere. Impellente è una svolta per potersi dire persona, indipendentemente dai lauti profitti, che sappia poggiare lo sguardo negli occhi altrui e considerarsi fratelli e sorelle.Possiamo fare spazio dentro, nel profondo, agli occhi di Amal? Possiamo alzare i nostri occhi al Padre e chiamarlo Padre nostro senza che quegli occhi disarmati e sconsolati, abbandonati ad un destino raccapricciante intessuto di solitudine e di tristezza, ci scuotano? Come avrà vissuto la povera madre di Amal il declino della figlia? Non è oggi ridotta anch’essa ad un mucchio di ossa che piangono fame e dolore? Amal ha fratelli e sorelle? Cugini e parenti che, oggi, si attendono la stessa fine decretata da noi?

Obolo o elemosina che dir si voglia, pur non essendo indifferenti, rischiano di essere soltanto uno scansare la realtà. Sono necessari tuttavia per intervenire. Altro però è il gesto atteso: educarsi ed educare all’ascolto, allo sguardo che tutti accoglie, alla certezza che non sono padrone o padrona di qualche patrimonio per godermelo ma mi è stato dato in dono perché sappia farlo fruttare e donarlo a tutti. Detto tutto questo, in concreto, che fare? Gettare la spugna e abbassare il coperchio della bara sulla parola umanità? Una sorta di suicidio assistito indolore perché tanto così finisce?

Il risveglio cosciente può nascere da un’altra consapevolezza: Amal in lingua araba significa Speranza. Proprio da quel corpicino martoriato scaturisce la speranza nella rinascita, così che il suo sacrificio, patito amaramente, non sia inutile ma salvi tanti piccoli e tanti grandi dalle macerie di una coscienza ingorda e straripante di grasso perché chiusa in se stessa.

Amal, grande Speranza per noi.