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Siria: si combatte a Ghuta. I “giorni duri” dei cristiani di Damasco
“La situazione oggi appare leggermente migliorata, se non altro perché non si registra l’intensità dei combattimenti che avevamo visto fino a qualche giorno fa. Nonostante ciò nella sola giornata del 1° marzo abbiamo contato almeno tredici razzi, tutti lanciati in orari di uscita delle scuole. Chiaro il tentativo di colpire giovani e bambini”.
Nelle parole di padre Bahjat Elia Karakach, francescano della Custodia di Terra Santa, superiore del convento dedicato alla conversione di san Paolo, la parrocchia principale di rito latino della Capitale, a Damasco, si ritrova tutta la fragilità della tregua stabilita dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu che il 24 febbraio scorso ha adottato all’unanimità una risoluzione che per “almeno 30 giorni” dovrebbe far cessare i bombardamenti in tutto il Paese. Soprattutto nel distretto di Ghuta, una delle ultime zone rimaste in mano alle milizie jihadiste, come i salafiti di Jaish al-Islam, Hayat Tahrir al-Sham, già fronte Al-Nusra, Faylaq al-Rahman, affiliato all’Esercito libero siriano. Nell’enclave vivono oggi intrappolate dalla guerra circa 400mila persone. Centinaia le vittime, molti i bambini. Domenica scorsa papa Francesco, nel corso dell’Angelus, ricordando l’escalation degli scontri ha chiesto che venga dato accesso agli aiuti umanitari e siano evacuati feriti e malati.
Un vero e proprio “inferno sulla terra”, come lo ha definito il segretario generale Onu, Antonio Guterres, che non risparmia il vicino quartiere cristiano di Bab Touma, nella città vecchia di Damasco, dove sono concentrate molte chiese cristiane e le sedi dei Patriarcati. Bab Touma è un quartiere simbolo per la cristianità siriana, qui san Paolo ha ricevuto il battesimo da Anania, e qui morirono martiri 11mila cristiani nella persecuzione del 1860. È proprio questa una delle zone più bersagliate dai razzi dei jihadisti della Ghuta, che dista solo un paio di chilometri dalla chiesa di padre Bahjat Elia Karakach. Qui il 9 gennaio scorso 5 civili erano rimasti uccisi dai razzi ribelli, 30 i feriti. Stesso copione il 22 gennaio: ancora 5 morti e 8 feriti.
“Due mesi fa la nostra chiesa è stata colpita dai razzi che hanno provocato danni ingenti ma fortunatamente nessuna vittima”, racconta il religioso, che è anche il responsabile del santuario francescano di sant’Anania. “Dall’inizio dell’anno almeno 4 chiese sono state colpite dai terroristi che
vogliono svuotare Damasco dai cristiani.
Si tratta della nostra chiesa francescana, quella dei maroniti, quelle del patriarcato greco-cattolico e greco-ortodosso. Quest’ultimo colpito almeno due volte. La nostra chiesa è stata centrata per sei volte dall’inizio della guerra”. Azioni “sistematiche e insistenti” che acuiscono nella comunità cristiana damascena un “senso di abbandono e di frustrazione.
I fedeli si sentono abbandonati perché nessuno, nemmeno i media cristiani, racconta quanto avviene in questa zona di Damasco.
Come comunità cristiana – ribadisce il religioso – non possiamo fare altro che pregare e portare il nostro aiuto concreto a quante più persone possibile, senza fare differenza di etnia o fede, seguendo gli inviti costanti di papa Francesco, l’unico leader al mondo a chiedere pace per la Siria. Sono giorni duri ma la speranza qui nella capitale è che si possa arrivare presto alla fine dei combattimenti e, come per Aleppo, ritornare a vivere nella sicurezza”.
Un primo passo in questa direzione potrebbe essere il rispetto della risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza Onu. “Ma come fidarsi – ammette padre Karakach – di potenze straniere che intorno ad un tavolo approvano tregue e poi sul campo continuano i massacri?
Le violenze che accadono qui in Siria non vengono raccontate tutte,
molte vengono distorte e tutto per favorire gli interessi di parte”.
Perché non dire, per esempio, che “i jihadisti a Ghuta hanno colpito con cecchini, missili e razzi i corridoi umanitari concessi dal Governo per impedire ai civili di abbandonare le zone sotto bombardamento trasformandoli in scudi umani?”.
Lo stesso vale per le armi chimiche: l’Osservatorio nazionale siriano ha avanzato il sospetto che l’esercito di Assad abbia lanciato nella Ghuta un attacco chimico con cloro. “Secondo il Governo – spiega il francescano – ci sarebbero invece tre camion dalla Turchia che avrebbero portato materiali chimici per fabbricare ordigni usati dai ribelli per far ricadere poi la colpa sull’esercito regolare”. In questo balletto di notizie, tra propaganda e verità, non resta che “guardare alla Pasqua, alla speranza della Resurrezione. Se siamo ancora qui – conclude padre Elia – è perché nutriamo speranza in un domani di pace per tutta la Siria”.