Dal Mondo
Il “popolo della pace” arriva a Mykolaiv
Esplosioni. Tonfi profondi e improvvisi. Poi il suono delle sirene. La vita a Mykolaiv scorre così. Il fronte dista da qui solo 5 chilometri. Si combatte. Lo si capisce dai soldati che si vedono in giro, dotati di mitra e giubotti antiproiettile. Lo si capisce dai “rumori” della guerra. Altrove non è così. A Odessa la situazione è sicuramente più tranquilla, nonostante i check point all’entrata della città e i controlli meticolosi dei documenti e delle cose a bordo delle macchine. La tensione in questi giorni è altissima.
Due giorni fa sono caduti a Mykolaiv 16 missili. Anche il ponte che collega la città a Odessa è stato preso di mira dai russi. Su una popolazione di 400mila abitanti, più della metà è fuggita. Sono rimasti soprattutto gli anziani. Le persone che fanno più fatica a partire. L’accesso al cibo e all’acqua è oggi l’emergenza più grave. I negozi e i centri commerciali sono chiusi. I palazzi lungo i viali che attraversano la città, portano i segni degli attacchi missilistici. Edifici bruciati, muri colpiti dai proiettili, finestre spaccate. Il 13 marzo è stato preso di mira anche un asilo. “Colpiscono le nostre scuole per colpire i nostri figli. Questo è terrorismo”, dice con le lacrime agli occhi la direttrice dell’asilo che chiede di non dare né l’indirizzo né il nome della scuola perché “la gente ha paura di essere di nuovo attaccata”.
Il 1° settembre qui in Ucraina ricominciano le scuole. In alcune regioni del paese il rientro sarà in presenza per dare il segno di un popolo che nonostante la guerra, non si piega alla logica dell’odio. Ma in altre regioni dove il fronte è caldo e i combattimenti sono in corso, i bambini e i ragazzi dovranno seguire le lezioni online. A Mykolaiv sarà così.
È in questo contesto di guerra che è arrivata ieri la carovana della pace. Ha percorso l’Ucraina a bordo di 10 pulmini e la scritta “Stop the war now”. 50 volontari italiani, in rappresentanza di 175 associazioni e movimenti, per portare a questa gente tonnellate di aiuti umanitari. Una parte è stata scaricata al centro Razom legato alla Caritas di Odessa. L’altra viene portata a un centro gestito da una chiesa pentecostale che fin dall’inizio della guerra è diventato vitale per la popolazione locale dove qui può trovare ampi spazi sotterranei dove rifugiarsi durante gli allarmi. Ogni mese aiuta 10mila famiglie a sopravvivere distribuendo beni di prima necessità come cibo, vestiti, pannolini per bambini, prodotti per l’igiene.
E qui che da tre mesi hanno scelto di vivere alcuni volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII. “Oltre alle cose, portiamo la nostra vita, la nostra presenza”, dice Alberto Capannini, uno dei volontari che vive qui. “Non vogliamo lasciare da sole queste persone. È forse la cosa più umana che possiamo fare nel cuore di questa guerra”.
Il consigliere comunale Maksym Kovalenko mostra sul telefonino un video per far vedere come esce qui l’acqua dai rubinetti delle case. È marrone. Uno dei primi siti che i russi hanno attaccato e distrutto nella città di Mykolaiv è stato il grande acquedotto che portava acqua pulita e potabile alla città. Da allora Mykolaiv vive senza acqua. La strategia della guerra è crudele: uccide le persone facendole morire di fame e di sete. Esistono in città 26 punti di distribuzione di acqua desalinizzata ma ce ne vorrebbero almeno 100 per raggiungere tutta la popolazione. C’è un via vai di gente che arriva e riparte con le bottiglie piene. Tra loro una signora. È rimasta sola in città con la figlia più piccola.
“L’acqua che ci arriva a casa è sporca e salata”, dice. Ma perché rimane qui? “Perchè questa è la nostra terra e la nostra casa. Non andiamo via”, risponde guardando fissa con occhi pieni di infinita dolcezza come di chi si adegua ma non si piega. “Ci è rimasta solo la speranza che tutto questo finisca presto e torni la pace il prima possibile”. Grazie ai fondi raccolti dalla rete “StopTheWarNow”, oggi, alla presenza del vicesindaco di Mykolaiv, sarà inaugurato un secondo dissalatore che fornirà acqua pulita e potabile alla popolazione di un altro quartiere. A seguire l’arrivo della carovana della pace a Mykolaiv c’è Natalia Prihodko, giornalista di Nis-tv, una delle tre reti televisive su sette rimaste ancora in città. Ha da poco ricevuto un premio dal presidente Zelensky come riconoscimento del lavoro che sta svolgendo. “Sono rimasta perché voglio raccontare quello che sta succedendo qui e perché voglio che si sappia la verità”, dice. “Vi prego solo di una cosa, seguiteci. Non dimenticateci”.
“Non siamo inviati di guerra. Siamo inviati di pace”, dice monsignor Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura e presidente di Pax Christi Italia. Ha portato con sé alcune corone benedette da papa Francesco. Le dona con una benedizione e un abbraccio di fraternità e pace. “Le immagini che ci ha fatto vedere Mykolaiv sono purtroppo quelle di una città sottoposta ai bombardamenti. Abbiamo visto lungo il percorso edifici colpiti ed una città quasi deserta. La nostra presenza qui è per portare gesti di carità e parole di pace. Sono certi che verranno i giorni della pace. C’è da attendere non con le braccia conserte ma come artigiani della pace come ci ha chiesto di essere papa Francesco e operatori di pace secondo il Vangelo”.