Dal Mondo
Anniversario 7 ottobre. Le sfide economiche di Israele
Il conflitto in corso tra Israele e Hamas, deflagrato dopo il 7 ottobre 2023, sta avendo gravi conseguenze non solo sul bilancio di vite umane ma anche su quello economico israeliano che rischia di aggravarsi ancora di più con l’allargamento degli scontri con Hezbollah al confine nord con il Libano. Ad evidenziare l’impatto della guerra sulla vita e sulle finanze degli israeliani, sono diverse agenzie e istituti economici che in questi mesi hanno diffuso cifre e statistiche che mostrano come l’economia israeliana sia una vittima collaterale del conflitto. Lo scorso agosto la banca centrale israeliana aveva stimato in 67 miliardi di dollari, (32 dei quali solo per spese militari) il costo della guerra. Cifra destinata ad aumentare, – se il conflitto andrà avanti ancora per molto – di altri 5,39 miliardi di dollari necessari a finanziare le campagne militari. Vanno poi contati altri 10 miliardi per sostenere i circa 100mila sfollati israeliani residenti al sud, al confine con Gaza e al nord, con il Libano, i più esposti ai razzi di Hamas e di Hezbollah. La ricostruzione delle abitazioni distrutte, invece, è stata quantificata in 6 miliardi di dollari.
Riservisti. All’indomani del 7 ottobre, come riportava il “Washington Post”, Israele richiamò alle armi circa 287mila riservisti, un numero significativo alla luce della popolazione israeliana che secondo l’Ufficio statistico nazionale, al 31 dicembre 2022, era stimata in 9.656.000 residenti. Di questi 7.106.000 ebrei (73,6% della popolazione totale), 2.037.000 arabi (21,1%) e 513.000 altri (5,3%). Si tratta di persone occupate, a vari livelli, in aziende e società israeliane. Quest’ultime hanno risentito subito di queste assenze lavorative con un crollo della produttività e una conseguente contrazione del Pil (prodotto interno lordo) israeliano che, alla fine del quarto trimestre del 2023, faceva segnare un -19,4% su base annua.
Lavoratori palestinesi. A questi lavoratori israeliani ‘richiamati dall’esercito’ si devono poi aggiungere i circa 85 mila operai palestinesi della Cisgiordania e in parte anche di Gaza, attivi soprattutto nel settore dell’edilizia (equivalente al 5% del Pil), rimasti disoccupati dopo che le autorità israeliane non avevano più rilasciato permessi di lavoro in Israele per motivi di sicurezza. Ciò ha provocato una carenza di manodopera e lo stop a progetti e a costruzioni di infrastrutture che hanno frenato la crescita economica. Prima del 7 ottobre, i lavoratori palestinesi rappresentavano circa il 30% degli occupati del settore. I tentativi del Governo israeliano di far entrare lavoratori stranieri in Israele non sembrano aver dato l’effetto sperato.
Costo della difesa. Israele, per difendere il suo territorio da attacchi esterni, si è dotato, tra i vari dispositivi militari, anche di uno scudo aereo, noto come ‘Iron Dome’ (2011) e della ‘Fionda di Davide’ sistema d’arma mobile per la difesa antimissile. Iron Dome, progettato per abbattere razzi e droni a breve raggio (da 4 a 70 chilometri) è dotato di un sofisticato sistema radar. Secondo Bloomberg, ha 10 batterie mobili dislocate in tutto il paese, ciascuna con tre o quattro lanciatori che possono lanciare 20 missili intercettori. Il costo stimato per ogni missile dell’Iron Dome è di circa 50 mila dollari. Il sistema Fionda di Davide, progettato per abbattere missili balistici a corto, medio e lungo raggio a bassa quota, costano, invece, circa un milione di dollari l’uno. La difesa aerea israeliana include anche il sistema antimissile balistico Arrow 3 sviluppato con gli Stati Uniti e in grado di intercettare missili al di fuori dell’atmosfera terrestre. Il costo stimato per ogni singolo missile è di circa 3,5 milioni di dollari l’uno. Anche in questo settore i costi da sostenere per la difesa sono altissimi, se si considera l’ampio utilizzo dei sistemi, soprattutto, in questi ultimi mesi di guerra.
Rating. Le difficoltà economiche sono state successivamente confermate, a febbraio del 2024, dall’agenzia di rating, Moody’s, che ha declassato il rating di Israele da ‘A1’ ad ‘A2’ e ancora, pochi giorni fa, da ‘A2’ a ‘Baa1’. A pesare, per Moody’s, la preoccupazione sulla capacità di Israele di gestire il debito e di mantenere la stabilità durante la guerra. Stessa decisione per Fitch, altra agenzia di rating, che ha abbassato il rating del debito a lungo termine di Israele da A+ ad A con outlook negativo. Standard & Poor’s (S&P), come riferito da The Times of Israel, visto l’intensificarsi dei combattimenti con Hezbollah che potrebbero trascinarsi fino al 2025 con pesanti ricadute sull’economia e sulle finanze pubbliche del paese, ha tagliato il rating di Israele per la seconda volta quest’anno, da ‘A+’ ad ‘A’, mantenendo un outlook negativo per il rischio di una “guerra più diretta con l’Iran”.
Aziende, turismo e investimenti. In questi mesi, diversi media israeliani, approfondendo il tema del peso economico della guerra, hanno segnalato il fallimento di oltre 46.000 aziende (dato luglio 2024). Il numero potrebbe salire a 60mila (fonte: The Times of Israel) entro la fine dell’anno a significare che non esiste settore dell’economia israeliana che non sia stato intaccato dalla guerra. Le aziende più in difficoltà appartengono ai settori dell’edilizia, dell’agricoltura e del turismo. Quest’ultimo è sempre stato un traino dell’economia di Israele ma, secondo l’Ufficio di statistica israeliano, è crollato di oltre il 75 per cento. Critica anche la situazione nell’high-tech, altro motore dell’economia israeliana, dove si potrebbe verificare un potenziale esodo di ‘cervelli’ a causa delle negative prospettive economiche legate alla guerra. In calo anche la fiducia degli investitori nonostante le rassicurazioni del premier Benjamin Netanyahu circa la ripresa economica. È trascorso un anno e il conflitto non sembra finire, anzi. Secondo Moody’s, gli investimenti sono inferiori di oltre 16 punti percentuali rispetto al periodo precedente al 7 ottobre 2023. A giugno del 2024 il Pil era cresciuto solo dell’1,2 per cento, insufficiente a colmare le perdite precedenti. Secondo il governatore della Banca d’Israele, Amir Yaron, con un deficit di bilancio salito a 8,1 per cento del Pil, servirebbe un aggiustamento di otto miliardi di dollari.
Futuro. Il futuro di Israele e la sua capacità di sostenere il peso della guerra risiede soprattutto nell’impegno dei suoi alleati occidentali, Usa in testa. Ma molto dipenderà anche dalla durata di questo conflitto che sta facendo un elevato numero di morti civili sia a Gaza che in Libano e che sta suscitando la condanna internazionale di Israele. Motivi di speranza per la stabilizzazione e la ripresa economica, secondo S&P, risiedono nella capacità di Israele di “riprendersi rapidamente dalle precedenti crisi potendo godere di un’economia altamente adattabile e diversificata”. Scelte politiche volte a stabilire una de-escalation del conflitto e portare a un cessate-il-fuoco duraturo potrebbero fare il resto.