Abusi sui minori, padre Zollner: “Una battaglia che si può vincere solo facendo rete”

“Se crediamo alle statistiche dell’Organizzazione mondiale della Santità che dicono che fino al 20 per cento di ragazze e fino a 15 per cento di ragazzi sono vittime nel mondo di abuso sessuale, veramente ci rendiamo conto che questa piaga purtroppo è lontana da finire. Anzi, credo sia un problema antropologico che sta alla radice degli affetti e delle emozioni. È un’illusione pensare di poter sradicare questo male a breve termine e con soluzioni facili”. Realismo: parte da qui la battaglia contro la piaga degli abusi sessuali che da anni sta conducendo in tutto il mondo, padre Hans Zollner, del Centro per la Protezione dell’Infanzia della Gregoriana e membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori. Lo abbiamo intervistato a margine di un importante Simposio internazionale che dall’8 all’10 aprile si sta svolgendo su piattaforma online in occasione della prima “Giornata mondiale per la prevenzione, la guarigione e la giustizia degli abusi sessuali sui minori”, istituita l’8 aprile dai sopravvissuti e dai loro sostenitori. Il Simposio – che ha ricevuto il sostegno di papa Francesco – è frutto della collaborazione di più enti – da Harvard all’Università cattolica americana – e sta riunendo 73 relatori da 23 Paesi in tutto il mondo. Più di 1.300 partecipanti si sono iscritti all’evento. Ci sono leader religiosi, operatori sanitari pubblici e di giustizia penale, responsabili politici, educatori. Su tutti pesa la consapevolezza della gravità del fenomeno: secondo i Centers for Disease Control and Prevention, una ragazza su quattro e un ragazzo su 13 subiscono abusi sessuali da bambini.

Padre Zollner, lei da anni è impegnato in questa lotta. A che punto siamo arrivati?

È sempre difficile rispondere, in modo generico, a questa domanda. Penso però che sia arrivati ad un punto in cui sempre più persone si rendono conto che il problema dell’abuso riguarda tutti, accade in più settori della vita sociale, dalle religioni, allo sport, nelle scuole e nei movimenti giovanili in tutte le loro espressioni. Ed è un fenomeno che va contrastato insieme. È una battaglia che si può vincere solo facendo rete.

Lei ha detto che ci sono ancora zone d’ombra. Quanto pesa ancora il reato del silenzio e di omissione?

Penso che sia ancora molto diffuso ed è una cosa che si vince solo con una forte determinazione, anche personale, e con un’educazione all’ascolto e anche al coraggio.Ciascuno di noi deve rendersi consapevole che può fare qualcosa, aprire gli occhi, le orecchie e la bocca quando è necessario, quando cioè ci si rende conto che qualcuno è in pericolo.

Dalla sua esperienza, cosa impedisce il coraggio di dare voce a questo orrore?

Se si parla dal punto delle vittime, c’è un dolore che in molti casi è traumatizzante e come succede per ogni trauma, è difficile dare voce ad una ferita troppo grande. Nel caso poi di un abuso sessuale e abuso sessuale sul minore, è ancora più difficile verbalizzare il dolore  perché c’è la vergogna e, nel caso dei bambini, la difficoltà a capire cosa sia veramente successo. La parola di solito esce quando c’è fiducia, quando il bambino incontra qualcuno capace di ascoltarlo.Purtroppo, tante vittime di abuso ci hanno raccontato di aver cercato di confidarsi con i loro genitori o altre persone adulte ma spesso non sono stati né ascoltati né creduti.

Cosa ha imparato, se ha imparato, la Chiesa in questi anni di impegno e lotta di prevenzione?

La Chiesa, laddove ha intrapreso con chiarezza e determinazione un cammino di impegno per la prevenzione, è tra le prime forze ad essersi impegnata in questo ambito ed è riconosciuta come tale in tutto il mondo. Purtroppo, su questo impegno di oggi, pesa quanto è successo nel passato.La gente ci accusa di costruire oggi una casa su un fondamento debole, di avviare un lavoro di prevenzione su un passato di colpe e crimini commessi e non puniti. E’ quanto sta accadendo per esempio in Germania.La Chiesa tedesca sta facendo uno sforzo incredibile per rendere sicuri i suoi ambienti con un lavoro di prevenzione. E’ un impegno che lo stesso garante per l’infanzia del governo tedesco ha riconosciuto. Ma come sta accadendo nelle diocesi di Colonia o Amburgo, questo sforzo si perde di fronte ai casi del passato dove questa chiarezza e determinazione non ci sono state, dove purtroppo i casi di abusi sono stati negati e silenziati e non abbiamo preso la nostra parte di responsabilità.

In Francia, nell’autunno prossimo, sarà presentato un Rapporto in cui già si parla di almeno 10mila vittime. Sono numeri atroci, non crede?

E forse sono ancora di più e la gente giustamente si scandalizza. Ma cosa rimane oltre lo scandalo? Ogni vittima ha una vita distrutta dall’abuso ma deve continuare a vivere, anche dopo che le notizie sono uscite.Bisogna essere capaci, di fronte allo scandalo, ad elaborare delle conseguenze.Purtroppo, la gente non si rende conto di quanto sia grave questo fenomeno in tutti i settori della società. Se è vero che almeno il 20% delle ragazze vengono abusate sessualmente oggi, la società intera dovrebbe reagire. Ma io, questa reazione, non la vedo. Stiamo parlando di una ferita inferta nelle vite dei giovani. La pubblicazione dei Rapporti genera giustamente un grido di orrore e di incredulità. Questo grido deve diventare anche uno stimolo per portare avanti e ovunque un lavoro necessario e purificante.

Per la Chiesa è stato determinante il ruolo delle vittime. Quanto è stato importante per lei lavorare con loro?

Le vittime hanno insegnato tanto, in primo luogo mi hanno fatto capire che nonostante i miei studi e la mia esperienza, sapevo molto poco delle vittime e di cosa hanno bisogno. Sono loro i protagonisti del loro cammino di guarigione. Ho quindi dovuto ascoltare tanto. E altre cosa che ho imparato è scoprire che quello che è importante per una vittima, non lo è per un’altra. C’è, per esempio, chi chiede di ricevere le scuse del vescovo responsabile del sacerdote che lo ha abusato. E chi invece assolutamente rifiuta di parlare con rappresentanti della chiesa. C’è chi vuole semplicemente essere ascoltato e chi invece chiede una compensazione economica. Insomma, per ciascuna vittima, occorre trovare uno spazio individuale di ascolto e guarigione. E la Chiesa deve sempre più essere in grado di aprire le porte a tutti, accogliere le persone così come sono.Ma attenzione: se la formazione è importante ed è la nostra missione, non abbiamo bisogno solo di esperti e specialisti, ma di comunità aperte al dialogo e di persone capaci di ascoltare.