Europa. Poquillon (Comece): “Più vicina ai cittadini, così si batte il populismo”

Sta preparando le valigie padre Olivier Poquillon: oggi, sabato 31 agosto, termina il suo servizio triennale come segretario generale della Comece (Commissione degli episcopati dell’Unione europea) e la nuova meta è Erbil, nel nord dell’Iraq. Il suo, in realtà, è un ritorno nel Paese asiatico: in passato vi era già stato per insegnare all’università di Mosul. “Una delle grandi sfide, oggi, in quella regione del mondo è il ritorno dei cristiani”, spiega all’agenzia Sir. La guerra, poi il Daesh: la comunità è stata forzatamente dispersa e costretta ad abbandonare la piana di Ninive, “eppure la presenza cristiana in quei territori ha una funzione importante, di riconciliazione e di dialogo” tra le diverse componenti del Paese e tra le religioni. Domenicano, classe 1966, Poquillon vanta una notevole esperienza internazionale: prima di approdare a Bruxelles aveva svolto il suo ministero nei Balcani, in Africa, in Medio Oriente, presso le Nazioni Unite e a Strasburgo. Dal 1° settembre il segretario generale Comece sarà lo spagnolo don Manuel Barrios Prieto.

Dopo l’impegno ecclesiale su scala europea, torna in Iraq. Un primo bilancio?Qui alla Comece ho vissuto anni intensi, interessanti. La Chiesa cattolica intende dare il suo positivo contributo al dibattito europeo, seguendo da vicino il processo istituzionale e legislativo, portando la voce della gente, raccogliendo le attese delle comunità territoriali, incoraggiando la riflessione politica in vista di decisioni da ricondurre al bene comune.La persona – ogni donna e ogni uomo – dev’essere sempre posta al centro della politica: anche per questo la dimensione spirituale e culturale dell’identità europea va valorizzata.La Comece si muove in tale direzione nel suo rapporto con le istituzioni Ue. Auguro al mio successore, don Manuel, soddisfazioni e successi in questo lavoro, cui assicurerò il mio costante incoraggiamento e la mia preghiera. Il mio prossimo lavoro, invece, sarà anzitutto tra la gente – molti poveri e rifugiati – della parrocchia latina a Erbil e, inoltre, sarà indirizzato alla ricostruzione del convento domenicano di Mosul.

Padre Poquillon, quali sono le principali sfide che l’Unione europea ha di fronte oggi?A mio avviso la prima questione riguarda il funzionamento delle istituzioni europee, il rapporto tra le istituzioni e i cittadini e, di conseguenza, la capacità di rispondere alle grandi attese delle persone. Tenendo conto delle rapide trasformazioni sociali che stiamo vivendo – accelerate dall’era digitale – bisogna ripensare le forme della democrazia: è importante che le istituzioni decidano non per conto dei cittadini, ma con i cittadini. Su questo terreno è possibile costruire una risposta ai populismi. C’è inoltre, in relazione a ciò, un problema di legittimità delle istituzioni, nazionali ed europee. Cosìdiviene assolutamente rilevante il rapporto che si instaura tra l’Europa e le realtà locali, i Comuni, le Regioni, i corpi intermedi, i territori e le popolazioni che vi risiedono.Se poi dovessi citare un tema specifico che richiede una rinnovata e puntuale attenzione è l’ambiente: esso ha a che fare con la tutela del Creato, con il territorio nel quale viviamo, con le risorse della natura, con l’economia e i sistemi di produzione e di consumo, e richiede necessari cambiamenti nei nostri stili di vita, come ha indicato papa Francesco nella “Laudato si’”.

L’Unione europea ha avviato, con l’articolo 17, un dialogo con le Chiese e le comunità religiose presenti nei Paesi Ue. La voce delle Chiese è ascoltata dai responsabili delle istituzioni politiche?Questo dialogo è sottoposto agli attacchi di varie lobby e correnti politiche di destra e di sinistra, le quali non hanno però compreso il ruolo costruttivo e propositivo che possono giocare le Chiese e le comunità religiose all’interno della società europea, soprattutto per la costruzione di solide relazioni sociali e per dare voce a chi non ne ha. Inoltre, tali lobby attaccano un diritto fondamentale: ovvero la libertà religiosa, componente essenziale della vita umana. L’articolo 17 – osserverei – non è faccenda da specialisti, ma un processo che dovrebbe interessare tutti.Le Chiese e le comunità religiose non intendono affatto invadere il campo della politica né tanto meno sostituirsi ai decisori politici:possono invece arricchire il dibattito pubblico, provocando riflessioni a partire dall’impegno concreto che esse svolgono sul campo a favore delle famiglie, dei giovani, delle persone più fragili…

In un’epoca di ritorno dei muri e dei nazionalismi, quale contributo originale possono portare i cristiani alla costruzione della “casa comune”?Sottolineerei, anzitutto, che la comunità cristiana non è un monolite. Al suo interno comprende persone di tutte le età e condizioni sociali, che vivono in ogni parte d’Europa. Le nostre comunità sono un esempio di “unità nella diversità” (il motto dell’Unione europea, ndr), non sono un cenacolo di puri ma assemblee di peccatori in cammino che hanno a cuore la costruzione del bene comune a partire da valori universali: pace, rispetto reciproco, dedizione agli altri, apertura al mondo. Si tratta di elementi che risiedono anche nel Dna dell’Unione europea e che Papa Francesco ha più volte sottolineato parlando di Europa. Occorrono però cristiani formati, competenti e impegnati nella società, nell’economia, nella politica. Argomenti e stili – questi – che i vescovi europei condividono e per i quali la Comece è fortemente impegnata.