A Lesbo attacchi e aggressioni contro le Ong: Alverti (Caritas Grecia), “clima molto teso”. Sospese temporaneamente le attività

Aggressioni fisiche e verbali alle persone che lavorano nelle Organizzazioni non governative che aiutano nell’accoglienza dei migranti nelle isole greche di Lesbo, Chios e Samos. Incendi appiccati alle loro strutture e alle automobili. Aumento degli episodi razzisti nei confronti dei profughi, che hanno superato la soglia dei 22.000 nella sola isola di Lesbo (40.000 nelle tre isole). “Siamo seriamente preoccupati: ci stiamo rendendo conto che la presenza delle Ong non è gradita. La situazione è molto tesa e frustante. Deriva dalla mancanza di politiche effettive negli ultimi cinque anni, per cui era prevedibile questo peggioramento. Stanno gettando benzina su un fuoco che era già pronto ad esplodere”. Così Maria Alverti, direttrice di Caritas Hellas (Caritas Grecia), racconta al Sir quanto sta avvenendo in queste ore nelle isole egee. Dopo settimane di tensioni e proteste – sia dei migranti che vivono nel campo di Moria in condizioni assurde, sia degli abitanti di Lesbo – negli ultimi giorni sono avvenuti numerosi episodi violenti da parte di militanti dell’estrema destra, che prendono di mira i profughi e gli operatori delle Ong. Anche Caritas Hellas, presente nelle isole con un team di sette persone, è stata costretta a sospendere le attività per cercare di capire come affrontare questa nuova situazione, coordinandosi con le altre organizzazioni umanitarie.  Ci sono stati attacchi anche alle strutture delle Ong. Oltre all’incendio in una struttura per migranti dell’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani), è stato appiccato il fuoco ai locali dell’Ong “Solidarity”, che distribuisce cibo e vestiti ai profughi. La direttrice di Caritas Hellas giudica poi “vergognoso” e “orribile” il video – diffuso ieri dalle autorità turche – che mostra una imbarcazione della guardia costiera greca, nei pressi di Bodrum, sparare colpi di fucile in acqua sui profughi che tentano di arrivare in gommone, respingendoli brutalmente con un forcone. “È contro ogni legge umanitaria ed etica – sottolinea -. La guardia costiera dovrebbe fare ciò che è chiamata a fare, cioè rispettare le persone e salvare le vite. È una vergogna totale”.

Numerosi episodi di odio e violenza. “Siamo molto preoccupati – precisa dalla sede nazionale di Atene la direttrice di Caritas Hellas -. Stiamo aspettando di vedere cosa succede perché c’è abbastanza confusione. Oggi lo staff non è andato a lavorare perché l’impatto degli ultimi giorni è stato molto forte. Dobbiamo capire come evolverà la situazione. Siamo molto preoccupati perché sta montando un atteggiamento anti-Ong e il clima è molto teso”. In questo ultimo periodo, spiega, c’è stato “un drammatico cambiamento” nell’atteggiamento del governo greco e dell’opinione pubblica nei confronti dei migranti. “Le Ong vengono prese di mira perché considerate parte del problema”: “Tra la popolazione locale aumenta il razzismo. Ci sono numerosi episodi di odio e violenza da parte di civili che sostengono di pattugliare le strade”. Questi gruppi agiscono intorno al campo di Moria e identificano le persone, chiedendo se sono greche o straniere e se lavorano nelle Ong.

Caritas opera nel campo di Kara Tepe. La Caritas ha adottato un approccio “low profile”, cercando “di capire di volta in volta quale sarà il prossimo passo”. Con i migranti fanno lavoro di supporto sociale, psicologico e psichiatrico. Sono presenti da anni nel campo di Kara Tepe, gestito dalla municipalità locale. “Qui la situazione è un po’ più decente rispetto al campo di Moria – spiega Alverti -. Abbiamo creato due spazi per uomini e donne, per aiutarli a tenersi occupati con diverse attività: laboratori di cosmetica, cucito, corsi di inglese e di greco”. Su richiesta dei gestori del campo forniscono anche kit igienici, coperte, lenzuola, vestiario. A Chios, per sopperire alla mancanza di ambulanze, ogni giorno accompagnano i rifugiati che hanno bisogno all’ospedale locale. Ieri gli operatori Caritas “non hanno potuto portare le persone in ospedale perché alcuni cittadini hanno bloccato le strade”.

Una guerra contro le Ong? Anche se non si può ancora parlare di una vera e propria guerra contro le Ong, secondo la direttrice di Caritas Hellas “l’intenzione c’è: perché considerano le Ong una parte del problema e guardano con sospetto al nostro operato. Non è ciò che pensa la maggior parte delle persone ma questa opinione si sta diffondendo molto rapidamente”. Il mese scorso ci sono state numerose proteste a Lesbo quando il governo ha annunciato l’intenzione di creare un centro di detenzione per rinchiudere i profughi. “Non vedo da parte del governo o della società civile iniziative per creare dialogo – afferma -, ci sono solo posizioni contrapposte: dalla parte dei profughi o dalla parte della popolazione dell’isola. Invece bisognerebbe tenere in considerazione le esigenze di entrambi”.

9.000 persone bloccate alla frontiera tra Grecia e Turchia. In seguito alla pressione alle frontiere tra Turchia e Grecia – sono state bloccate 9.000 persone e 68 arrestate -, il governo greco ha deciso di sospendere per un mese le procedure per la richiesta di asilo. “Dubito sulla legittimità di questa decisione”, dichiara Alverti, che invita a considerare il fenomeno “non solo come un problema greco ma europeo. Perché se la Grecia viene lasciata sola – conclude – ci saranno sempre più episodi di rabbia tra la popolazione greca”. “Servirebbe una solidarietà europea nella gestione del fenomeno, nei ricollocamenti. Altrimenti è facile criticare soltanto. Bisogna trovare un equilibrio e rispettare i diritti delle persone secondo le  normative e convenzioni internazionali”.

Anche Caritas italiana commenta oggi  le “deboli reazioni dell’Ue e degli Stati europei” sia “nella gestione del braccio di ferro tra Turchia e Grecia che nel supporto ai Paesi lungo la rotta balcanica”. “Nessuno vuole farsi carico di questa ennesima tragedia umanitaria – denuncia in una nota -, che non arriva all’improvviso ma è frutto di una guerra che si trascina da 9 anni e ha provocato in Siria centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi. A questa tragedia fa da sfondo l’accordo Ue-Turchia del 2016, con il quale la Turchia, grazie ai finanziamenti promessi, avrebbe dovuto alleviare la pressione sulle frontiere della Fortezza Europa ma che nei fatti non ha arrestato il flusso, ma lo ha consegnato nelle mani e nella gestione dei trafficanti”.