La battaglia del vaccino

La battaglia del vaccino Non c’è più tempo per gli slogan. È il momento del fare, senza indugi

Senza proclami. Il presidente del Consiglio Mario Draghi è uno che lavora. Vale la pena sottolinearlo? Credo sia opportuno, in questo Paese in cui non si può mai dare nulla per scontato. Niente social, nessuna intervista, pochissime parole rivolte ai giornalisti. Un articolato discorso nelle sedi istituzionali, dove un capo del Governo è chiamato a esporre il suo programma.

Poi lascia parlare i fatti, come finora è sempre stato nel suo stile, anche quando ha guidato con capacità e piglio sicuro la Bce, mica il tandem d’estate sulla riviera romagnola. Con lui prevale l’impegno sullo slogan. Il presidente del Consiglio ne è convintissimo. E penso l’abbia detto anche a Mattarella quando l’inquilino del Quirinale l’ha chiamato per formare un esecutivo, ultima spiaggia dopo l’ennesimo fallimento dei partiti.

Davanti a tutti noi c’è una sfida difficilissima.

Noi che non abbiamo vissuto una guerra, forse siamo impreparati a combattere questa battaglia contro un nemico insidioso e invisibile capace di condizionare le nostre esistenze e di modificarle nel profondo: niente socialità, niente viaggi, neppure una cena in compagnia, per un anno intero, ormai. Insopportabile.

Abbiamo un’arma formidabile a disposizione.

Forse non l’abbiamo ben compreso. Sono i vaccini. “Sia un diritto per tutti”, continua a ripetere papa Francesco, mentre da noi c’è chi si rifiuta davanti all’offerta gratuita di sottoporsi all’immunizzazione. È il paradosso di una società opulenta, incapace di ragionare con serenità, senza pregiudizi e precomprensioni indotte da altri.

Per i ritmi intrapresi fin dai primi giorni, è facile ipotizzare la conclusione della campagna vaccinale in almeno quattro anni, non in dieci mesi come promesso dal governo Conte. I numeri parlano chiaro, anche nella nostra Emilia-Romagna, una regione in cui la sanità è ai migliori livelli. Con quasi 141 mila vaccinati (cfr. pag. 18 edizione cartacea) con la doppia dose in due mesi di attività, ciascuno può comprendere il tempo necessario per arrivare a tre o a quattro milioni di cittadini.

Il premier Draghi sapeva benissimo quel che stava succedendo. Ha fatto trascorrere qualche giorno. Poi ha assunto le sue decisioni. Ha lasciato i partiti a scornarsi sui sottosegretari, intanto lui ha piazzato uomini di sua fiducia nei posti chiave per combattere la battaglia più dura. Ha messo Fabrizio Curcio alla Protezione civile e ha sostituito Domenico Arcuri con un generale, Francesco Paolo Figliuolo, un alpino esperto in logistica.

“Una scelta politica di efficienza”, ha commentato qualcuno martedì scorso. Non c’è più tempo per gli slogan. È il momento del fare, senza indugi. Proprio come sta facendo il presidente Draghi, uno che non perde tempo.