Non più rinviabile
Non più rinviabile Piove sul bagnato. È proprio il caso di dirlo. Al governo pare non ne vada dritta una. Ci mancava solo l’acqua alta a Venezia, con gli enormi danni che ne sono seguiti, e i tanti altri guasti creati dal maltempo dei giorni scorsi, per fare il paio con le già numerose questioni aperte sul tavolo dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte
Piove sul bagnato. È proprio il caso di dirlo. Al governo pare non ne vada dritta una. Ci mancava solo l’acqua alta a Venezia, con gli enormi danni che ne sono seguiti, e i tanti altri guasti creati dal maltempo dei giorni scorsi, per fare il paio con le già numerose questioni aperte sul tavolo dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte.
La Manovra finanziaria sta percorrendo una strada molto accidentata. Sembra tutto un fare e disfare, alla maniera della tela di Penelope. Se la coperta è limitata, se si tira da una parte si scopre quell’altra. Pare velleitario cercare di potere accontentare tutti. Così come cercare di rincorrere le disgrazie che si abbattano sull’Italia, troppo fragile in un territorio poco rispettato negli ultimi decenni.
A questi problemi ancora in gran parte aperti si è aggiunta la paventata chiusura dell’Ilva, il colosso dell’acciaieria italiana ora in mano franco-indiana. Sono diecimila gli addetti della grande fabbrica di Taranto, al centro di infinite discussioni sulla salute pubblica e sul lavoro che crea. “La prospettiva di licenziare 5mila persone, più del 50 per cento dei lavoratori dell’Ilva, creerebbe un disagio sociale di enormi proporzioni. La politica deve intervenire perché la proposta della decarbonizzazioneè giusta e positiva, però deve essere seguita da provvedimenti adeguati che non permettano la riduzione dei posti di lavoro”. Così si è espresso qualche giorno fa l’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, in una dichiarazione rilasciata all’agenzia Sir.
Negli ultimissimi giorni si è fatta sentire anche la protesta dei lavoratori dell’indotto, almeno altre seimila persone che rischierebbero l’occupazione se si verificasse la chiusura dello stabilimento. Un’ulteriore batosta per un territorio da decenni stretto tra la tutela della salute e dell’ambiente e quella della salvaguardia dei posti di lavoro. Non è semplice per nessuno districarsi in questo groviglio di interessi. Di certo fatica a stare in piedi un’azienda se sul mercato non riesce a rimanerci con le proprie gambe. Forse la buccia di banana dello scudo penale in cui è incappato il governo è stata la scusa giusta offerta su un piatto d’argento alla proprietà per disimpegnarsi gettando la responsabilità su altri.
Non si può rimanere inerti davanti a questi drammi che coinvolgono decine di migliaia di persone e un intero territorio che già vive di suo non poche difficoltà. Occorre agire gettando lo sguardo avanti, non all’oggi e neppure a domani. Ma almeno a dopodomani, pensando al bene di tutti, non solo a quello di una parte. Impresa difficilissima, ma forse non impossibile. Provarci è un imperativo non rinviabile.