Lo straniero

Lo straniero Di fronte allo sconosciuto la comunità tende a negare la sua soggettività. Lo straniero è vissuto come l’intruso. Tuttavia può suscitare inquietudine non solo ciò che è ignoto ma anche ciò che ci appare “insolitamente” familiare.

“Lei non è del castello, lei non è del paese, lei non è nulla. Eppure, purtroppo, qualcosa lei è, un forestiero, uno che è sempre in mezzo ai piedi a dare impiccio, uno che vi procura continui fastidi” (Kafka, Il castello, 1926). In questo passo di Kafka si evidenzia il vissuto persecutorio che lo straniero può sollecitare nei nativi. Di fronte allo sconosciuto la comunità tende a negare la sua soggettività. Lo straniero è vissuto come l’intruso.

Tuttavia può suscitare inquietudine non solo ciò che è ignoto ma anche ciò che ci appare “insolitamente” familiare. Quello che Freud chiama Il Perturbante (1919). Lo straniero è perturbante poiché è sconosciuto ma allo stesso tempo vi è qualcosa in lui che lo rende familiare. La paura non sarebbe, pertanto, quella di trovarsi di fronte all’ignoto ma quella di ritrovarsi di fronte a qualcosa o a qualcuno che addirittura è identico a noi.

Ne Il Perturbante (1919) Freud scrive: “Ero seduto, solo, nello scompartimento del vagone-letto quando per una scossa più violenta del treno la porta che dava sulla toeletta attigua si aprì e un signore piuttosto anziano, in veste da camera, con un berretto da viaggio in testa, entrò nel mio scompartimento. Supposi che avesse sbagliato direzione nel venir via dal gabinetto che si trovava tra i due scompartimenti, e che fosse entrato da me per errore; saltai su per spiegarglielo ma mi accorsi subito, con grande sgomento, che l’intruso era la mia stessa immagine riflessa dallo specchio fissato sulla porta di comunicazione (…) Non escluderei che la brutta impressione destata in me fosse in definitiva un residuo di quella reazione arcaica la quale percepisce il sosia come un che di perturbante” (OSF vol. IX).

Lo straniero quindi come presentificazione di una parte oscura in noi stessi. La paura di conoscere sé stessi si traduce nel rifiuto o nella difficoltà di conoscere l’altro, lo straniero, che può essere identificato con gli aspetti più bui e occulti di noi. “La distanza che ci separa dallo straniero è quella stessa che ci separa da noi: la nostra responsabilità di fronte a lui è dunque solo quella che abbiamo verso noi stessi” (Edmond Jabès, Uno straniero con, sotto il braccio, un libro di piccolo formato, 1991).