La tragedia del Titan negli abissi

La tragedia del Titan negli abissi Il tentativo di riparare delle parti naufragate di sé in modo concreto, di negare le fisiologiche angosce di morte con spinte ad agiti onnipotenti, può condurre le persone verso esperienze pericolose

La tragedia del Titan inizia domenica 18 giugno, quando il sommergibile progettato da OceanGate, in collaborazione con ingegneri della Nasa, si immerge nelle profondità per raggiungere il relitto del Titanic, affondato nell’aprile del 1912 a 486 miglia dall’isola di Terranova, che giace a una profondità di 3.810 metri sul fondo dell’Oceano Atlantico.

Dopo alcune ore, scatta l’allarme e il Titan risulta disperso. A bordo del sommergibile si trovano cinque persone: il patron di OceanGate, l’azienda proprietaria del Titan, tre uomini d’affari e il figlio diciannovenne di uno di loro, che era salito a bordo per compiacere il padre.

Il tentativo di riparare delle parti naufragate di sé in modo concreto, di negare le fisiologiche angosce di morte con spinte ad agiti onnipotenti, può condurre le persone verso esperienze pericolose. Ogni esperienza di vita viene mossa da una motivazione profonda, strettamente collegata al proprio mondo interno, alle proprie ferite, alla propria storia personale.

Scegliere di inabissarsi nei meandri della propria mente, all’interno di un percorso psicoanalitico, per cercare di esplorare analiticamente le parti reiette di sé e piano piano bonificarle, potrebbe essere un modo per riprendere la rotta della vita con maggiore consapevolezza e conoscenza di sé.