Domenica 8 novembre – 32ª domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Domenica 8 novembre - 32ª domenica del Tempo Ordinario - Anno A Vegliate, perché non sapete né il giorno né l’oraSap 6,12-16 (13-17); Salmo 62; 1Ts 4,13-18; Mt 25,1-13

In queste ultime tre settimane dell’Anno Liturgico siamo chiamati dalla Parola di Dio a pensare, ma non solo: a metterci con la nostra vita nell’attesa della venuta finale di Cristo nella gloria (Parusia): per ciascuno di noi al momento della morte = passaggio da questa vita: mortale, fragile, incerta alla vita eterna, perfetta e felice; per l’umanità nel suo insieme alla fine della storia umana quando, con questa venuta di Cristo glorioso ci saranno la resurrezione dei morti, il giudizio universale e infine il premio (Paradiso) o il castigo (Inferno) eterni.

Questi avvenimenti finali, ampiamente annunciati dalla Parola di Dio si chiamano i Novissimi: le realtà ultime, finali e definitive che ci attendono e che per noi sono questione di vita o di morte (rovina eterna) a seconda del nostro impegno o della nostra trascuratezza del dono della fede ricevuta.

Oggi, anzi da tempo, nella Chiesa è quasi assente questo annuncio dei Novissimi (le realtà ultime e definitive). È un grave errore perché non conoscendo il punto d’arrivo della nostra persona e della nostra storia rischiamo di perderci nel presente e di sentirci disorientati per il futuro.

È vero che oggi ci sono dei problemi gravissimi di vita, di confusione, di sopravvivenza in pericolo, di situazioni incresciose e allarmanti nelle quali noi cristiani siamo chiamati a fare la nostra parte. Ma la nostra azione sarà senza risultati se ci manca la visione totale della nostra fede in tutti i suoi aspetti, in modo da lasciarci condurre dal progetto universale di Dio che porta tutti e tutto alla vera salvezza.

Così, in questa domenica con la Parabola delle dieci vergini, cinque stolte e cinque sagge, il Signore si presenta a noi come lo Sposo che viene all’improvviso per celebrare con noi le nozze eterne (entrare per sempre nella sua intimità), garanzia della nostra felicità che ci attende. La parabola ha il sapore di un amore unico ed esclusivo che il Signore vuole vivere con ciascuno di noi. Ma tutto in condizioni e situazioni ben precise.

La Parabola delle dieci vergini indica noi cristiani, chiamati a essere creature nuove. San Paolo ai Corinti: “Vi ho fidanzato a uno sposo unico come vergine pura da presentare a Cristo”.

La lampada accesa è la Parola di Dio che c’illumina nel cammino della vita. Perché non si spenga bisogna alimentarla con le opere della fede e dell’amore a Dio e al prossimo.

“Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”. Questo è un atteggiamento base per ogni cristiano: la vita è una veglia continua, riempita di fede e di opere buone, nell’attesa dell’incontro finale con Gesù Sposo e Signore, che ci introduce nel “banchetto eterno di nozze con Lui” (Ap 21).

Questa Parola ci viene rivolta perché noi siamo stati chiamati dal Signore per andare e stare insieme con Lui. Guai se in noi non si spegnessero questa aspirazione, questo desiderio e questo bisogno vitale; significherebbe che non abbiamo capito nulla del senso della nostra fede. Per questo San Paolo (seconda Lettura) ci raccomanda: di fronte ai nostri morti non dobbiamo “essere tristi come gli altri che non hanno speranza”. Noi cristiani siamo certi che risorgeremo insieme con tutti i morti in Cristo per andare tutti incontro a Lui e stare sempre con Lui, finalmente liberi da ogni limite, da ogni difetto e da ogni paura, nella verità di una vita felice e piena.

Lasciamoci guidare dalla Sapienza divina (prima Lettura) per essere sempre nella pace.