Fotografare per sapere di esistere
Fotografare per sapere di esistere In questo 2020, al mondo, più di 9 foto su 10 saranno scattate con telefoni cellulari
1.436.300.000.000. Un trilione e 436 miliardi. È il numero di fotografie che si stima verranno scattate nel 2020. Di queste, però, solo il 7,3 per cento sarà catturato con una macchina fotografica. Il resto vedrà all’opera i tablet (1,8 per cento) e soprattutto gli smartphone (90,9 per cento).
Il dominio indiscutibile dei cellulari è cresciuto in maniera esponenziale dal 1999, quando fu prodotto in Giappone il primo telefonino con fotocamera, ma è esploso soprattutto negli ultimi dieci anni. Dal picco del 2010, con 122 milioni di esemplari, la produzione di fotocamere digitali è crollata drasticamente ai 14,8 milioni del 2019.
Quasi il novanta per cento in meno. E la rivoluzione non si fermerà. Basta vedere le pubblicità degli smartphone di ultima generazione, dotati di due o più obiettivi che lavorano in sincrono, e soprattutto di algoritmi che compensano efficacemente i limiti delle dimensioni ridotte dei cellulari.
Nella scorsa puntata di questa rubrica, si metteva l’accento sulla cosiddetta “ Instagram mania”, il bisogno non di rado frenetico di immortalare a ripetizione se stessi e le cose più svariate. C’è chi lo considera lo specchio del narcisismo che permea la nostra epoca, chi una volontà di fermare l’attimo, immersi come siamo in un flusso che tutto consuma inesorabilmente. Forse è un po’ tutte queste cose. Certamente nasconde un desiderio di attenzione, o meglio di comunicazione. Lo dice bene lo scrittore Daniel Pennac in un celebre aforisma: “Ho fatto delle foto. Ho fotografato invece di parlare. Ho fotografato per non dimenticare. Per non smettere di guardare”.
La psicanalista francese Elsa Godart non fa mistero di propendere per l’ipotesi dell’esibizionismo e della crisi di identità dell’uomo contemporaneo, tanto da aver intitolato un suo recente saggio: “Faccio selfie, dunque esisto”. Il volume si sofferma sulla metamorfosi dell’io in una società sconvolta dall’onnipotenza digitale. Le fa eco lo scrittore – e cardinale – portoghese José Tolentino Mendonça, la cui analisi però va oltre. Fotografare, scriveva su Avvenire, può diventare “un viaggio interiore, un tentativo contro la cecità dei modi abitudinari di vivere; una presa di coscienza della vulnerabilità dello sguardo e di chi è guardato”.
Le fotografie accompagnano la vita: i passaggi importanti e solenni, ma anche i momenti più semplici e quotidiani, fatti di emozioni nascoste e doni inaspettati. Nel XXI secolo, saturo di immagini, continuano a essere mute testimoni del mistero della vita e della bellezza, che non di rado ha bisogno proprio di un istante rubato per rivelarsi.