Una settimana senza social
Una settimana senza social Vi sono due estremi da evitare assolutamente. Quello del controllo asfissiante sui ragazzi (“proibire tutto”) e quello del permissivismo assoluto, che li lascia in balia di sé stessi. La via di mezzo è quella della responsabilità e della condivisione, così da non demonizzare i social ma evitando anche di minimizzarne l’influenza
Sono passati alcuni anni da quando in un liceo di Crema, per la prima volta, fu proposto agli studenti di trascorrere un’intera settimana restando lontani dai social network. Sulla scorta di quel primo tentativo, l’idea si è poi diffusa in numerose altre scuole.
Non è difficile trovare online i resoconti da parte degli stessi studenti protagonisti. A ideare e condurre l’esperimento era una ricercatrice universitaria, oggi docente di antropologia culturale all’Università di Milano, Angela Biscardi.
Da qualche giorno le Edizioni San Paolo hanno portato in libreria il suo racconto di quanto è successo in questi anni. È lei stessa a firmare “Una settimana senza social. Per un’educazione digitale”, il volume in cui si presentano i risultati della ricerca. Proprio nei giorni in cui, nelle classi di tutte le scuole, fa il suo ingresso l’educazione civica digitale.
Il libro non è solo un resoconto, ma contiene un chiaro intento educativo. La posizione dell’autrice è chiara: vi sono due estremi da evitare assolutamente. Quello del controllo asfissiante sui ragazzi (“proibire tutto”) e quello del permissivismo assoluto, che li lascia in balia di sé stessi. La via di mezzo è quella della responsabilità e della condivisione, così da non demonizzare i social ma evitando anche di minimizzarne l’influenza.
Fra coloro che ci hanno provato e ce l’hanno fatta c’è Valeria, giovanissima liceale di Busto Arsizio. “Instagram e Facebook non mi sono mancati per nulla”, racconta sul giornalino scolastico in un articolo dal titolo: “Non sono felice se non lo mostro ai miei followers?”. Molte volte continua – “mi sono sentita sola, quasi come se non avessi più una vita sociale. Mi sono messa a leggere un libro, che ho finito in tre giorni, addirittura leggendo lentamente. Una cosa del genere, di mia spontanea volontà, non la facevo dalla prima media”.
Più difficile è stato rinunciare a Whatsapp, soprattutto per comunicare con i compagni di classe, tanto che, al termine dei sette giorni, la prima cosa che Valeria ha fatto è stata quella di reinstallare l’app sullo smartphone. Il suo giudizio, comunque, è molto positivo: “Consiglio a tutti di fare questa prova, anche solo di pochi giorni”.
E le sue, tiene a precisare, non sono parole di una 70enne all’antica, ma è “la riflessione di una ragazza che ha alzato gli occhi dallo schermo e si è sentita intrappolata in quella che è una dipendenza quotidiana promossa dalla società e che sta lentamente sostituendo i veri valori nella nostra vita e che ci distrae da tutto ciò che nel nostro mondo c’è per noi al di fuori dei social”.