Sul Filo del fuorigioco
Sul Filo del fuorigioco Avviamo questa settimana, sull'edizione cartacea del Corriere, una nuova rubrica legata al Cesena calcio. Anzi, alla rinata esperienza della società calcistica della nostra città. La occuperà il “nostro” don Filippo Cappelli, da grande appassionato di calcio e del Cesena, ogni volta che lo riterrà opportuno.
Avviamo questa settimana una nuova rubrica legata al Cesena calcio. Anzi, alla rinata esperienza della società calcistica della nostra città. Dopo un’esperienza tormentata, come quella vissuta l’estate scorsa, domenica 14 ottobre al “Manuzzi”, per la prima partita in serie D nel vero stadio, c’è stata una cornice di festa da grandi emozioni. Un clima e un entusiasmo fuori dal comune. A tratti commoventi.
È stato lì, in tribuna stampa, che è nata l’idea di dare vita a uno spazio di commento. Lo occuperà il “nostro” don Filippo Cappelli, da grande appassionato di calcio e del Cesena, ogni volta che lo riterrà opportuno. “Sul Filo del fuorigioco”, per interpretare le partite e sintonizzarsi con chi, e sono davvero tanti, sostiene il ritorno del Cesena nel calcio professionistico. Anche se, domenica scorsa, seppure in D, è stato un pomeriggio da incorniciare.
(Fz)
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La rabbia, la nostalgia, la passione: è necessario trovare un sentimento che accomuni questo nuovo Cesena FC, vittorioso domenica scorsa all’esordio nel rinnovato stadio ‘Manuzzi’ contro il rischioso Francavilla. E con un uomo in meno, per giunta un riferimento in campo come Biondini, che per rabbia rifila una gomitata galeotta a un avversario.
Se ne è parlato tanto, nella Polis pallonara, in tribuna, nella conferenza stampa del post partita, cullati dalle note di Mauro Ferrara, voce della simbolica ‘Romagna Capitale’, e dal calore di Michele Chiesa, speaker storico dello stadio: nostalgia di note, passione di tifo, rabbia di falli non accademici… Nel calderone ribollente della domenica pomeriggio sono apparsi tutti questi affetti con l’onda lunga dei novanta minuti di emozioni in cui è successo di tutto (coreografie, espulsioni, rigori…) fino al robusto climax bianconero sul triplice fischio finale.
Eppure non mi è parso che il potente tricilindrico affettivo l’abbia fatta da padrone. Ci sono stati, certo, li ho visti: la rabbia degli spintoni in campo, il ritrovarsi di vecchi tifosi con i capelli appena più bianchi, la passione di un città che anche in serie D supera gli 8mila abbonamenti. Lampi di luce a lacerare il buio di certe giornate, insieme a squilli di buonumore e serena cordialità.
Ma domenica il vero sentimento di tutti sembrava piuttosto lo smarrimento, l’essere entrati di nuovo fra le porte amiche dell’Orogel Stadium come sospesi, sfrattati, in attesa della nuova comunità che avrebbe dato ospitalità a quella sorta di lungo naufragio che è stata la lunga e disgraziata estate bianconera. Comunque, è durato poco. Minuti. Poi ha prevalso, ed è un bene, il calore di un tetto sotto cui si è trovato riparo, la comodità di una casa circondati da buoni e grossi amici, sorridenti per giunta, festosi come sempre, famiglie intere con i bimbi sulle spalle dei papà.
Non avremo le parole per esprimere questa emozione: termini come ‘rimpatrio’ sono ormai miserrimi se confrontati col sentimento comune. Però sono le parole del nostro ritorno a casa. Sarà importante non dimenticarle.