Cesena
Calano gli aborti ma non aumentano le nascite. Il commento del consigliere Enrico Castagnoli
Di seguito pubblichiamo un commento del consigliere comunale della lista “Cambiamo”, Enrico Castagnoli, inviato in redazione a commento dei dati diffusi dalla Regione Emilia Romagna sul calo del numero degli aborti. Numeri che restano comunque alti, come da noi scritto qualche giorno fa.
Quale significato dare alla notizia che gli aborti in Emilia-Romagna sarebbero in calo? Parlando di cifre secondo il Report regionale pubblicato pochi giorni fa, il riferimento è alle 6.874 interruzioni del 2018, rispetto alle 7.130 del 2017. Numeri che restano tuttavia tragicamente ragguardevoli.
Ma di cosa dovremmo essere soddisfatti? Forse perché la nostra sanità regionale mette in campo tutti gli strumenti per accedere ad un’interruzione sicura e libera? O che invece dovrebbe esistere un sistema capace di arginare questo dramma sociale, salvando due vite quella del bambino e quella della madre?
Andando ad analizzare i dati infatti si evince come la rendicontazione sia debitrice di una lettura parziale e ideologica. Prima di tutto perché ci pone di fronte ad una evidenza: calano gli aborti, ma non aumentano le nascite. Nel infatti 2017 è stato registrato un passivo di -1.567 nati (-4,6 per cento) rispetto al 2016, confermando la tendenza alla diminuzione in corso ormai dal 2009. Segno che la qualità della vita di cui si gode in regione, non è sufficiente ad invertire un trend culturale diffuso su tutto lo stivale. Inoltre nell’analisi non si tiene conto della somministrazione di tutti i farmaci con effetto abortivo. Si dice infatti che il ricorso al trattamento farmacologico (tramite la RU486), ha riguardato 2.347 casi (34,1 per cento del totale), in crescita rispetto all’intervento chirurgico (54,8 per cento). Quello che non viene detto però è che altri farmaci definiti anticoncezionali, tra i loro effetti non possono escludere quello abortivo ossia l’impedimento per l’embrione, cioè della nuova vita concepita, di annidarsi nell’utero provocando di fatto un aborto, aumentando l’inconsapevolezza di chi li assume. Come per la più commerciale Norlevo, la pillola del giorno dopo, o l’EllaOne, la pillola dei cinque giorni dopo, le cui vendite sommate, secondo la Società medica italiana, sono passate dalle 400mila del 2015 alle 570mila del 2017 in tutta Italia.
Un ricorso quello al servizio di contraccezione, che nel 2018 ha visto in Regione un aumento degli utenti di età 14-25 anni con un +39,6 per cento rispetto al 2017. Inoltre i dati sulle interruzioni di gravidanze riguardano per la maggior parte non adolescenti sprovveduti, bensì donne ampiamente sopra la fascia dei trent’anni (più precisamente il 22,5 per cento tra 30-34 anni e il 21,3 per cento tra 35-39 anni), con alto titolo di studio (il 45,5 per cento è in possesso di un diploma superiore mentre il 14,9 per cento è laureato) e in possesso di un lavoro (il 54 per cento delle donne risulta occupata).
A riprova del fatto che l’aborto come extrema ratio per tutelare la salute della gestante, sia divenuto di fatto uno strumento sociale di controllo e selezione delle nascite, contrariamente invece a quanto affermato dalla stessa legge 194/1978 all’articolo 1 “L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”.
Meglio sarebbe stato se la Regione avesse messo a conoscenza l’unico dato davvero rivoluzionario: il contributo dei tanti volontari che attraverso i Cav (Centri d’aiuto alla vita) camminano fianco a fianco delle donne e dei bambini, sia prima che dopo la gravidanza, per far fronte a quelle difficoltà economiche e colmare quella solitudine, di fronte alle quali spesso le future madri sono lasciate sole. Se non altro perché l’inverno demografico che la nostra società sta attraversando, imporrebbe un serio ripensamento delle politiche familiari e della cultura della natalità. Quest’ultimo unico ambito per cui non si avrebbe nostalgia del segno meno”.