Poquillon: il futuro comincia andando a votare. “Dal populismo risposte sbagliate a problemi reali”

“Se si osservano i dati, oggi l’Europa è più ricca, sicura e democratica di 50 anni fa, ma non è questa la percezione che abbiamo. Il populismo offre pessime risposte a domande reali”. È padre Olivier Poquillon, o.p., segretario generale della Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece), che in un’intervista al Sir tratteggia i contorni del paradosso in cui stiamo vivendo, bloccati nella paura, e dà alcune indicazioni: il futuro ha bisogno di decisioni democratiche trasparenti, di includere i cittadini nei processi politici, di condividere esperienze per poter prendere decisioni comuni. Il futuro comincia andando a votare.

Come guarda la Chiesa cattolica in Europa all’appuntamento elettorale di maggio?

È dal 2017 che i vescovi dell’Ue riflettono sulle elezioni del 2019. La preparazione è stata avviata con il dialogo “(Re)thinking Europe”, un grande incontro in Vaticano con Papa Francesco, la Santa Sede, i vescovi europei, parlamentari e personaggi politici di alto livello. Di pochi giorni fa invece è una dichiarazione dei nostri vescovi per invitare i cristiani e le persone di buona volontà ad andare a votare e a esercitare il proprio discernimento. Andare a votare è un diritto, anche se non è scontato. Questa possibilità, che è anche un dovere, per noi cristiani ha il significato di prendere in carico la creazione che Dio ci affida. Che ne vogliamo fare? È forse un momento difficile, con alcune tensioni e strumentalizzazioni, ma è anche un’occasione per esercitare la nostra libertà di scelta. A maggio potremo scegliere chi ci rappresenterà nei prossimi cinque anni e assumerà decisioni che avranno ricadute per la nostra vita quotidiana.

Dove sta andando l’Unione europea?

Come in ogni famiglia anche nell’Ue ci sono tensioni: abbiamo Paesi grandi e Paesi piccoli, del sud e del nord, ciascun Paese ha una propria situazione sociale, il proprio sistema economico. Siamo però nella stessa barca ed è quindi importante che abbiamo questo luogo condiviso, l’Unione, non solo per discutere, ma per prendere decisioni. Quando andremo a votare, sceglieremo dei partiti politici: ma dobbiamo chiedere ai candidati che cosa faranno con il mandato che affidiamo loro. Useranno i soldi dei contribuenti, che possono quindi affermare: “voglio un’economia sociale di mercato che permetta ai giovani di fondare famiglie, ai lavoratori di poter vivere del proprio lavoro eliminando la povertà lavorativa…”. O ancora: “voglio che i miei soldi siano utilizzati per una ricerca che vada a vantaggio del bene comune. Voglio che i miei parlamentari si investano di più della quesitone migratoria, perché ci sia più giustizia nell’accoglienza e nella distribuzione di queste persone, considerate tali e non come oggetti”. Oggi vediamo due sfide di fondo: quella demografica, cioè il fatto che la metà degli Stati membri perde popolazione per la bassa natalità, e poi la migrazione. Occorre compiere delle scelte politiche, ci sono in ballo questioni globali: tutti si mettano al lavoro.

L’ombra del populismo incombe su queste elezioni. Come contrastare questo fenomeno?

Papa Giovanni Paolo II diceva sempre “non abbiate paura” e il suo successore continua a ripeterlo, citando il Vangelo. Di fronte a sviluppi prima sconosciuti, all’incertezza, all’impoverimento della classe media, al timore che la generazione futura debba far fronte a una vita degradata, abbiamo bisogno di concretezza. Ciò che può aiutarci a vincere la paura è conoscersi: posso aver paura della migrazione, ma ho molta meno paura di una persona migrante che conosco, di cui conosco i figli, la vita della sua famiglia, con la quale magari condivido un pasto. La vita cristiana è questa “condivisione del pasto”: mettere insieme le risorse che abbiamo perché, condividendo esperienze, possiamo prendere decisioni comuni. Il populismo dice che i nostri problemi saranno risolti quando avremo tolto da qui le persone ritenute cattive. La nostra fede invece dice che non ci sono buoni e cattivi, che siamo tutti peccatori, quindi tra peccatori dobbiamo cercare soluzioni condivise. Il populismo è un modo di esprimere la paura ma anche di rispondervi con la chiusura. Se si guardano i dati, oggi l’Europa è più ricca, sicura e democratica di 50 anni fa, ma non è questa la percezione che abbiamo. Il populismo offre pessime risposte a domande reali. Bisogna trovare modi per rispondere diversamente alle domande in questa tornata elettorale.

Le tensioni in Europa oggi potrebbero portare alla fine del sogno di unità europea?

Brexit, gilet gialli, i voti populisti sono espressione di disagio, del sentimento della vita che ci scappa, del non controllare più i meccanismi democratici. Sant’Agostino dice che “ciò che riguarda tutti deve essere deciso da tutti”. C’è la necessità di una riforma democratica, perché la democrazia non sia solo proclamata, ma vissuta, permettendo ai cittadini di riappropriarsi della sfera politica. Si parla sempre di trasparenza, ma le procedure sono molto opache. Chi capisce come funziona l’Ue? Abbiamo meccanismi verticali, con approcci top-down; bisogna invece riscoprire approcci che partano dai cittadini e li coinvolgano, che permettano di partecipare alla creazione e alla messa in opera di una politica comune: se perde l’anima e non si percepisce che è al servizio dei cittadini, l’Unione può scomparire. È però un progetto di pace: senza questo meccanismo comune, che non è perfetto e va migliorato, rischiamo di ricadere negli antagonismi nazionali.

Che cosa direbbe ai giovani per convincerli a votare?

Più che parlare ai giovani, penso si debba parlare con i giovani, perché hanno idee. Non solo sono l’Europa di domani, sono cittadini di oggi che domani avranno l’Europa nelle mani. Per questo direi: andate a votare, perché è il vostro voto che deciderà i prossimi anni.

Dal suo punto di vista il dialogo tra la Chiesa e le istituzioni europee funziona?

L’articolo 17 del Trattato di Lisbona è un buon strumento, che prevede una competenza nazionale per le relazioni Chiesa-Stato e noi pensiamo sia bene permettere a ogni Paese di vivere questi rapporti secondo le proprie consuetudini. A livello europeo c’è stato un forte investimento da parte di commissari europei che sono venuti ai nostri incontri e con cui abbiamo veramente lavorato, non solo discusso, per fare evolvere le cose. Il dialogo è però perfettibile. E inoltre l’art. 17 non prevede dialogo interreligioso, che resta responsabilità delle religioni. Auspichiamo però un rafforzamento del riconoscimento della specificità di ciascun partner. Chiesa in Europa significa 2000 anni di vita, una rete unica, una competenza incredibile, una realtà sociologica, storica, spirituale. Altri organismi confessionali hanno obiettivi diversi e ci pare importante che le istituzioni Ue, compresa la Corte, rispettino questa diversità e non siano strumenti per indebolire le relazioni Chiesa-Stato che esistono nei Paesi membri.