“Io cerco un luogo forte, nel quale poter piantare la croce”, le disse nostro Signore

“Se vuoi essere mia figlia è necessario che tu muoia in croce!”

 (Gesù a Chiara della Croce o da Montefalco)

 

Come avete capito dall’aforisma, il santo di oggi è una donna e che donna. Una delle mie preferite.

Parlo di santa Chiara Montefalco o della Croce. Montefalco è un comune della provincia di Perugia di 5500 abitanti circa, più un borgo che una città. Siamo nel 1268, in pieno Medioevo. Già la fama di Francesco di Assisi ha fatto strage di cuori, qui in Umbria, la sua terra natia, tanto amata. Anche Chiara ha sentito parlare del poverello di Assisi e come tanti giovani e ragazze dell’epoca non ci mise molto a volerne seguire le orme. Secondogenita di messer Damiano e di monna Giacoma, che avranno poi un terzo figlio, Francesco. Già all’età di quattro anni è “rapita” dall’amor divino, così forte da travolgere la vita della piccolina che trascorre intere ore immersa nella preghiera nascosta nei luoghi più riposti della casa paterna. Sin da quell’età la Passione del Cristo crocifisso le aveva toccato le corde del suo piccolo cuore tanto da mortificarsi con piccole penitenze.

In gran segreto senza farne parola con nessuno, la nostra Chiara, si era consacrata: “tutta di Dio”. A sei anni , chiese e ottenne, il permesso dei genitori di seguire la sorella maggiore Giovanna nel reclusorio di san Leonardo. Una specie di romitorio dove Giovanna e le sue “compagne”, tra cui Chiara, vivevano in povertà, castità, obbedienza e umiltà, osservando il digiuno corporale e il silenzio regolare ed evangelico. Nella comunità, Chiara poté finalmente realizzare il suo desiderio di penitenza e di mortificazione. Avrebbe preferito subire i tormenti dell’Inferno per tutta la sua esistenza terrena, piuttosto che perdere la verginità, austerità quasi disumana della vita, rifiuto totale di quanto poteva procurarle piacere, povertà assoluta e raccoglimento totale nella preghiera che, spesso, giungeva fino all’annullamento mistico in Dio, con conseguente perdita di ogni sensibilità.

Non bastasse, Chiara vestiva il cilicio o cilizio, una cinta chiodata o una corda di peli di crine che avvolgeva il corpo martoriandolo. E come se non bastasse, si batteva le tenere spalle con una “disciplina”, una sferza o frustino fatto di catene o corde con ferri annodati. La sua rigidezza nell’ascesi fu tale da essere definita dai biografi del tempo: “magis admiranda quam imtanda”. (più da ammirare che da imitare). Passano gli anni e la piccola comunità di sorelle si trasferisce in un nuovo reclusorio, purtroppo ancora incompleto, vivendo sempre “sine regula”. Nel 1290 Giovanna chiese all’autorità ecclesiastica di poter professare una regola monastica, e in quello stesso anno gli verrà concesso, dal vescovo di Spoleto, di seguire la regola di sant’Agostino. Giovanna mantenne il ruolo di guida delle sorelle col titolo di badessa fino alla sua morte o quasi. Chiara fu eletta dalle sorelle badessa, la sua fama di santità, delle sue prerogative taumaturgiche, (le attribuivano moltissime guarigioni, la lettura dei cuori, e perfino la profezia). All’inizio dell’anno 1294, in pieno inverno, nel giardino del “piccolo monastero” le appare Cristo, pellegrino e sofferente con la croce sulle spalle. Le rivolge la parola: “Io cerco un luogo forte, nel quale possa piantare la croce, e qui trovo il luogo adatto per piantarla.” È il cuore di Chiara, che da allora ripeterà spesso: “Ho Gesù nel mio cuore”. La tradizione narra che Cristo viandante le avrebbe donato il proprio bastone e che, avendolo piantato, ne sarebbe nato un albero, ancora oggi florido, i cui acini legnosi, da secoli, vengono utilizzati per realizzare rosari.

Negli atti per la canonizzazione si sottolinea che Chiara, seppur considerata “illicterata”, (riuscisse a leggere il breviario e ad insegnare a leggere alle sue compagne), aveva una straordinaria capacità di interpretare le Sacre Scritture. Nel più ligio rigore di aderire pienamente alla “regula”, sebbene fosse cagionevole di salute e minata dall’eccessivo  fervore che la spingeva ad esagerare nelle penitenze, Chiara, si addormenta, in Cristo,  appena quarantenne, il 17 agosto 1308 nel romitorio di Montefalco. Le consorelle decidono di conservare il suo corpo, così le vengono estratti gli organi e con grande sorpresa nel cuore vengono scoperti i segni della Passione di Cristo. Un suo biografo scrive: “C’erano dentro il cuore, in forma di duri nervi di carne da una parte la croce, tre chiodi, la spugna e la canna; e dall’altra parte la colonna, la frusta e la corona di spine. Nel sacchetto della bile, vi trovarono tre calcoli, in tutto uguali, che rimandavano alla Santissima Trinità: il peso di uno dei calcoli è equivalente al peso di due e di tre. Un vero enigma inspiegabile ancora oggi per gli uomini di scienza e gli increduli. Il suo corpo incorrotto, riposa nella chiesa nuova fatta costruire dai devoti “montefalchesi”. La fama di Chiara si è diffusa via via nei secoli per i tanti miracoli e grazie elargiti al suo capezzale. 

“L’amore divino trasforma.. scioglie i cuori più duri“.