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Da Beirut padre Michel Abboud (Caritas Libano): "Mi chiedo: perché a noi?"

La Caritas, anche in Libano, "è come un ponte - assicura il direttore -. Con una mano riceve e con l'altra dona. Dio ci ha assegnato questa missione complicata", in una terra martoriata. "Quando posso amare quelli che hanno l'odio nel cuore, questa è speranza"

Padre Michel, presidente della Caritas Libano, durante il collegamento di ieri sera con il seminario di Cesena

Uno, due boati. Avvertiti in maniera distinta. Poi il silenzio. Padre Michel Abboud, presidente della Caritas Libano, si ferma. Smette di parlare. Si vede che è scosso. Poi dice, in collegamento da Beriut con il seminario di Cesena per il primo di una serie di quattro incontri promossi dalla Caritas diocesana e dalla Commissione Gaudium et spes: "Sono i bombardamenti", e sbircia oltre la finestra. Si nota che è preoccupato. Le bombe devono essere cadute non lontane dal luogo dal quale dialoga con amici romagnoli vecchi e nuovi.

Il Libano è un Paese di tre milioni di abitanti, con tre milioni di profughi. Adesso la popolazione fugge verso il nord, viste le continue incursioni aeree di Israele nella capitale e nel sud dello Stato che negli anni '70 veniva definito come la "Svizzera del Medio oriente". Dopo la gravissima esplosione nel porto della capitale del 4 agosto 2020, il Paese è entrato ancora di più in crisi. Le difficoltà sono intuibili. Per questo padre Michel ha ringraziato per la vicinanza: "Se qualcuno pensa a noi, non ci sentiamo soli - dice in apertura di incontro -. Ci sentiamo molto vicini agli italiani. E questo fa capire cos'è la Chiesa", una comunità di gente vicina anche se lontana.

Sulla pace, padre Michel dice che "è un mistero". Ma lo è sempre stato nel cammino della storia, fin da Caino e Abele, aggiunge il sacerdote. Anche la vita di Gesù è iniziata con il sangue dei bambini di Betlemme fatti uccidere da Erode. E lo stesso Cristo è poi morto sulla croce, cui è seguito il sangue dei martiri. "Dopo la morte - prosegue padre Michel - c'è la resurrezione. Dopo la vita c'è il cielo. Io ho 51 anni e ho sempre convissuto con la guerra".

Poi aggiunge: "Mi chiedo: perché a noi? Allora rispondo: domandatelo davanti al tabernacolo e vi accorgerete che senza la preghiera non c'è risposta. Anche Maria, la madre di Gesù, ha vissuto nella sofferenza. Non c'è vita senza sofferenza. Gesù disse ai suoi discepoli: vi mando come agnelli in mezzo ai lupi".

Tra i concittadini libanesi ci sono un milione di sfollati. "Come si può parlare loro di pace - si chiede il presidente della Caritas Libano -. Come si può parlare di pace ai bambini che sentono i loro genitori piangere? Come si può parlare di pace ascoltando tutti questi bombardamenti? Come si può parlare di pace a tutta questa gente privata di tutto? Come si può parlare di pace dopo quattro anni di gravissima crisi economica, con la moneta ridotta a un decimo del suo valore?".

Ma la guerra, in Libano, non è dei libanesi. "È la guerra tra Israele e Hezbollah". Davanti a questa realtà drammatica, padre Michel si chiede se può esistere ancora la speranza. "La speranza è avere la volontà di continuare. Quando posso amare quelli che hanno l'odio nel cuore, questa è speranza".

La Caritas, anche in Libano, "è come un ponte - assicura il direttore -. Con una mano riceve e con l'altra dona. Dio ci ha assegnato questa missione complicata", in una terra martoriata. 

Per i giovani il destino pare segnato, nonostante i tanti aiuti che arrivano da ogni parte del mondo, Italia compresa, anche dalle Diocesi e dalle parrocchie. "Molti se ne vanno dal Libano, in particolare i laureati. Qua non c'è lavoro. A chi mi chiede, dico di scegliere secondo coscienza. Qui i palazzi sono distrutti. È un inferno fatto dall'uomo. Sono tante le vittime di una guerra che non hanno scelto". Ma nonostante tutto questo, i volontari lavorano per assicurare pasti e fornire assistenza. Il messaggio è forte, e giunge anche alla platea del seminario: "Noi vorremmo fare capire - conclude padre Michel - che non lasciamo nessuno da solo". 

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