Cesena
A misura d’uomo
Nella sala consiliare del Comune di Cesena, oggi pomeriggio, martedì 26 aprile, è stato presentato il volume “A misura d’uomo 2” (a cura di Claudio Negretti, ed. All’Insegna del Giglio, pagg. 392, euro 74. Volume edito con il contributo di Comune di Cesena, Università Ca’ Foscari e Fondazione Ca’ Foscari). Il sottotitolo dell’opera è assai chiaro: “Aggiornamento alla carta del potenziale archeologico di Cesena”. Si tratta di uno strumento urbanistico per la tutela del territorio, in base alle risultanze archeologiche cesenati.
Enzo Lattuca, sindaco di Cesena, ha salutato i presenti, alcuni fisicamente nella sala del Consiglio comunale, altri collegati via internet. Ha sottolineato che solitamente si fa riferimento alla possibilità di ritrovamenti archeologici con il termine di “rischio archeologico”, mentre sarebbe meglio definirli come “potenziale archeologico”, come è stato fatto per questo ampio volume. Il sindaco ha rimarcato la curiosità provata da lui e da tanti cittadini di fronte alle nuove scoperte cesenati, segno di un profondo interesse per la storia della città.
Federica Gonzato, soprintendente di Ravenna, ha sottolineato la collaborazione fra Comune di Cesena e Soprintendenza, che ha portato alla nascita di un volume molto importante. «L’archeologia ha un dovere, quello di educare tramite la memoria storica, circa gli eventi di un territorio», ha detto la soprintendente.
Emanuela Antoniacci, dirigente del settore Governo del territorio (Comune di Cesena), ha presentato il quadro normativo inerente all’archeologia urbana e extraurbana.
Otello Brighi, dirigente del settore Governo del territorio (Comune di Cesena), ha ricordato che quando, nel 2014, sono uscite le prime linee guida a livello regionale per l’archeologia, Cesena aveva già predisposto carte archeologiche, fin dal 1999. Il territorio è stato suddiviso in quattro aree di tutela: la prima è quella del centro storico, con la massima presenza di beni archeologici; nella quarta non sono noti beni archeologici, e nel mezzo ci sono due aree: nel primo caso i depositi archeologici sono emersi, nel secondo i depositi sono sepolti o semisepolti.
Romina Pirraglia, funzionaria della soprintendenza di Ravenna, ha ribadito che il lavoro svolto ha applicato la Convenzione europea per la salvaguardia del patrimonio archeologico, svolgendo un excursus sulla legislazione al riguardo. La funzionaria ha sottolineato che, dopo la prima esperienza risalente al 1999, Cesena è rimasta in una sorta di limbo, fra le città italiane che non hanno ancora mai pensato all’archeologia, e quelle più virtuose, che avevano già definito le carte di rischio archeologico. Per definire le potenzialità archeologiche si è considerato se i beni erano sepolti o esposti, il grado di mantenimento degli stessi, se la zona era densamente popolata o no. Nel caso di massimo interesse, prima e durante gli scavi si sarebbe dovuto agire con ricerche archeologiche. La normativa cesenate giunge nel momento del Pnrr, quando nuove grandi trasformazioni plasmeranno il territorio. La speranza è che questa carta di potenzialità archeologica possa spingere gli altri Comuni del territorio a provvedersi di un simile strumento per la tutela dei beni archeologi. La ricerca archeologica, quindi, deve diventare la normalità nell’edilizia, permettendo ai cittadini di non perdere la memoria del passato e permettere a chi lavora con l’archeologia di trovare modo di lavorare in modo continuativo. In conclusione, la funzionaria ha annunciato che la Soprintendenza ha ottenuto un finanziamento per scavare sul colle Garampo, l’antica acropoli cesenate: a dieci anni di distanza dagli scavi, riprenderanno le ricerche e verranno restaurate le strutture già trovate per consegnarle alla pubblica fruizione.
Sauro Gelichi, docente di Archeologia Medievale (Ca’ Foscari, Venezia), ha sottolineato che il dovere primario dei ricercatori è dotare i Comuni di strumenti per la gestione del territorio, cercando di ottenere un punto intermedio fra le necessità del patrimonio culturale e quelle della contemporaneità. «Dobbiamo avere la consapevolezza che il patrimonio archeologico non è infinito, ma è esauribile, e quindi bisogna studiarlo per conservarlo per le generazioni future», ha detto Gelichi. Bisogna registrare quel che conosciamo ma anche quello che ancora non conosciamo: questa ricerca non ha avuto una continuità nel tempo e nello spazio. Ci sono alcune regioni che non si sono mai dotate di questi strumenti, mentre la regione Emilia-Romagna è stata virtuosa, e Cesena è il Comune che forse con più continuità ha creduto in questi strumenti. «Queste carte hanno efficacia quando riescono a diventare strumenti di pianificazione», ha sostenuto Gelichi: «se non c’è l’apporto politico, sono strumenti che perdono la loro efficacia». La prima carta del potenziale archeologico del 1999, rileva lo studioso, era molto meno strutturata di quella di oggi: la stessa redazione delle carte ha permesso di perfezionare metodologie e strumentazioni. Le potenzialità di azione sono quindi più complesse ma anche più interessanti.
Luigi Malnati, già soprintendente, ha rivendicato alla sua attività, alla fine degli Anni Novanta, la volontà di passare dal concetto di rischio archeologico a quello di potenziale archeologico. L’immagine divulgata presso il grande pubblico è la scoperta eccezionale in luoghi esotici, cui si contrappone, a livello locale, la visione dell’archeologia come qualcosa che interrompe i lavori edilizi, per qualcosa di poco o nessun valore. In realtà l’archeologia è un lavoro come un altro, che ha come scopo quello di conservare ciò che ci è giunto dal passato, che si trova sotto i nostri piedi anche nelle città di fondazione moderna. In tutte le città, antiche o moderne, ci sono stratigrafie che vanno studiate, perché le carte sono tutto ciò che rimane del territorio scavato, una volta che l’opera dell’archeologo è terminata, dopo aver “smontato” la successione di strati che il tempo ha lasciato dietro di sé. Ancora oggi in Italia non sono state scritte leggi apposite, quelle esistenti si basano ancora sulla legge del 1939: si parla solo di scoperta fortuita o di scavo di ricerca. Entrambi casi minoritari rispetto alla realtà degli scavi italiani: il 90% degli scavi archeologici italiani avviene per necessità urbanistiche o simili, e questa grandissima parte viene ignorata dall’opera del legislatore. “Temporaneamente”, dalla legge del 2004, è ancora in vigore il Regolamento del 1913: dopo oltre un secolo è ancora quello lo strumento per la tutela archeologica italiana.
Claudio Negrelli, curatore del volume, ha spiegato come si è proceduto per la realizzazione del volume. In primo luogo le nuove carte del potenziale archeologico devono rincorrere le nuove scoperte. I primi capitoli sono dedicati all’incremento della carta del noto, ma ci sono anche approfondimenti su singoli scavi. Il volume oltre a informare sui ritrovamenti, vuole fare riflettere sul potenziale archeologico. Si è scelto così di dedicare attenzione alle superfici coperte, che presentavano una morfologia assai differente da quella che oggi possiamo osservare: li possiamo definire “paesaggi sepolti”. Queste carte ci permettono di sapere con una buona precisione a quale altezza si possono trovare, nei vari siti, delle emergenze archeologiche: si tratta di documenti che si basano su probabilità, in base a scavi antecedenti e carotaggi. Sono dati puntiformi che attraverso un’interpolazione possono essere trasformati in carte, ma restano dati assai limitati. Per questo motivo è necessario un aggiornamento continuo.
Fabio Bracci, autore di testi nel volume, ha mostrato le differenze fra la prima edizione di “A misura d’uomo” del 2008, e quella attuale. La novità dell’edizione 2021 sta nella presenza dell’assenza archeologica: vale a dire, quando gli scavi non danno informazioni archeologiche ma informazioni, ad esempio, sulla quota di terreno in età antica, prima di ogni intervento umano. Nel volume sono stati inseriti tutti gli scavi del territorio del centro storico di Cesena, per dare il quadro più completo possibile.
Alessandro Rucco, autore di testi nel volume, ha ricordato che è nato come archeologo proprio a Cesena, e che il partecipare a questo volume è stato assai emozionante per lui. Ha trattato della geoarcheologia, la possibilità di studiare al meglio la stratigrafia di uno scavo, attraverso la quale si possono anche rivisitare dati del passato, in particolare l’altezza dello “sterile” di un territorio, ovvero il punto oltre il quale non appare più la presenza di esseri umani. In alcuni casi la definizione di “sterile” può essere rivista e reintepretata da nuovi dati, che permettono così di ricostruire un panorama del passato.