A tu per tu con Romano Bazzocchi, il maestro dell’antiquariato

Acquisti con budget limitati, ma in costante e leggera crescita. È questa una istantanea che l’esperto Romano Bazzocchi fa dell’andamento del settore antiquariato negli ultimi mesi. Fondatore della Restauro Cesena di Martorano, Bazzocchi spesso viene chiamato anche per stime, perizie e valutazioni. “A livello di settore, non si può dire di certo che vi sia un’esplosione delle vendite, però direi che sono in aumento acquisti con spese e complementi d’arredo. Non capita più, oggigiorno, di vendere tutto il mobilio d’antiquariato per arredare una casa, piuttosto c’è chi prende un tavolo, chi due sedie per completare un arredo, chi porta la credenza della nonna a restaurare. Qualcosa si muove nonostante il periodo storico”.

L’antiquariato non è per tutti e non si tratta di questioni economiche. Considerando che un tavolo in stile romagnolo dell’800 dura una vita e non passa mai di moda, in proporzione viene a costare meno degli oggetti in truciolato, colla e plastica che si comprano nei grandi centri con l’idea di cambiarli ogni 4-5 anni. “Non è solo una questione di spesa – precisa Bazzocchi – piuttosto di conoscenza e sapere. Per acquistare un mobile antico, di fine 800 o primi del 900 tanto per non andare troppo indietro nel tempo, serve una certa cultura per poterlo apprezzare”.

 

Due storie in una

L’esperto porta un esempio: “Se prendiamo un tavolo in stile romagnolo di fine 800, questo contiene in sé due storie. La prima è quella del falegname che l’ha costruito, la sua tecnica, il materiale usato, le personalizzazioni che vi ha fatto. La seconda è il vissuto del mobile in sé, se era in una casa di povera gente o di persone agiate, e tutto quanto ne consegue. Se penso a quante scene familiari, belle e brutte, che hanno visto questi mobili, e al fatto che sono giunti fino ai nostri giorni attraverso cambiamenti epocali, c’è da commuoversi”.

Guardando con occhio esperto un tavolo o una credenza, ad esempio, si può intuire da dove proviene e, talvolta, anche chi lo ha costruito. “In genere in Appennino, nella Valle del Savio, si utilizzava molto il castagno perché era un legno tipico del posto che si trovava con facilità. In pianura invece, pioppo, ciliegio, olmo, pero e rovere erano le essenze più usate”.

 

Tronchi con le schegge di granate

Fino agli anni ’90 a Bazzocchi capitava di costruire da zero i mobili, andando addirittura ad acquistare in campagna il legname. “Oggi non sarebbe più possibile, ma allora si facevano accordi con gli agricoltori per acquistare i tronchi di pero e ciliegio, ad esempio – spiega Bazzocchi insieme alla moglie Flora -. Erano impianti vecchi di decine e decine di anni e i tronchi erano molto grossi dai quali si ricavavano le assi. Ricordo di un importante acquisto di grossi tronchi a Ronta di Cesena. E vi è un aneddoto davvero singolare: in segheria ci dicevano che in alberi così vecchi non era raro incappare in schegge di granate della seconda guerra mondiale, che avrebbero potuto rompere la lama della sega. Se così fosse accaduto, il danno sarebbe stato a nostro carico”.

Con queste assi, dopo l’essiccazione durata qualche anno, i Bazzocchi hanno costruito mobili, per lo più tavoli, che ancora oggi sono pezzi unici in casa di amici e clienti.

 

I costruttori di sedie

Fino agli anni ’50 non era raro imbattersi, nella stagione invernale, nei costruttori di sedie. Erano contadini abili falegnami e impagliatori che scendevano per lo più dal Veneto e dal Friuli. Passavano di casa in casa nelle campagne. “Erano artigiani che, nella maggior parte dei casi, si facevano pagare con vitto e alloggio, forse con qualche uovo o prodotto della terra. Non posso esserne sicuro perché ero un bambino – precisa Bazzocchi – però li ricordo. Usavano legno che veniva fornito loro dal contadino o che trovavano lungo le rive dei fiumi come la robinia. Erano abili e costruivano le sedie tipiche che ancora oggi si trovano. Sono inconfondibili perché ognuna è diversa dall’altra dato che erano lavorate a mano”.

I braccianti, che erano la categoria più povera, quando mettevano su famiglia chiedevano al falegname che costruisse loro un tavolo. “Non avevano soldi, perciò doveva essere molto economico. Per questo veniva usato il legno più comune e a buon mercato, come “l’albaraz” in dialetto romagnolo, una essenza che cresceva spontanea lungo i fiumi. Per i signori ricchi di città invece i mobili erano una parte dell’arredo fondamentale, ricercato e per il quale non si badava a spese. Ce ne accorgiamo ancora oggi quando, andando a fare dei ritiri presso palazzi di città o ville di campagna, ci imbattiamo in pezzi davvero unici per fattura, qualità del legno, attenzione ai particolari”.

 

Vita in campagna

“Sembrano passati secoli – concludono i due coniugi – ma in realtà quando noi eravamo bambini, dopo la guerra – le nostre campagne erano davvero arretrate. Ricordo – precisa Romano – che quando la mia famiglia abitava in zona Bertinoro, mancava sempre l’acqua. I grandi mandavano noi bimbi a prenderla al pozzo del paese e con quei 10-15 litri al giorno si doveva fare tutto. E che dire delle case dove mancava il controsoffitto? Nella stanza da letto sopra avevamo direttamente i coppi e non di rado ci si ritrovava la pioggia o la neve all’interno. Però ogni paese era una realtà quasi autonoma, anche se erano borghi di poche case. In ogni paese vi erano un falegname e un fabbro per costruire quanto serviva alle necessità quotidiane. Non c’era la mentalità dell’usa e getta, le cose erano fatte per durare. Proprio come i mobili antichi che i nostri figli Claudio e Luca, che portano avanti l’azienda, recuperano e riportano a nuova vita”.