Sport
Addio a Niki Lauda: finisce un tempo contraddittorio e affascinante
E così se ne è andato. A settant’anni era divenuto l’icona di un tempo, quello del breve sogno glamour del passaggio tra i battaglieri Settanta e i nottambuli ed eleganti, a modo loro, Ottanta. L’incendio della sua Ferrari nel 1976, che pur lasciandolo sfigurato per sempre non gli impedì di ritornare in competizione ufficiale dopo poco più di quaranta giorni, la sua freddezza fino alla glacialità (ringraziò solo dopo molti anni i suoi soccorritori, suoi colleghi che avevano rinunciato a proseguire la gara per soccorrerlo), erano diventati proverbiali, come anche la sua proverbiale capacità di programmare la sua attività.
Interveniva con consigli tecnici sulla meccanica dei mezzi che guidava, mica due mezzi qualsiasi: erano targati Ferrari e McLaren. Con queste due scuderie fu tre volte campione del mondo, rispettivamente nel 1975, nel ’77 e nel 1984, diventando uno dei miti di quell’epoca.
Il tempo della disco music, delle discoteche fatte di luci e musica un po’ melodica e un po’ elettronica, grazie alla quale si ballavano “Through the barricades” degli Spandau ballet (che non era mica nata per far ballare, ma per ricordare la guerra civile d’Irlanda) ma si guardavano con ammirazione e invidia le mossette teatrali della “Febbre del sabato sera”. Il tempo in cui i Bee Gees, che erano ormai fuori dal circuito, smisero sfortunatamente di scrivere canzoni inquietanti e misteriose come “I started a joke” per diventare sorprendentemente le icone musicali di un tempo contraddittorio e per questo affascinante. Erano gli anni delle proteste per la partecipazione ai campionati del mondo e la coppa Davis, vinta peraltro nel Cile di Pinochet dai nostri Panatta, Bertolucci, Zugarelli e con Pietrangeli alla guida. Lo stesso Panatta sarebbe diventato a sua volta il mito di un tennis che non c’è più, tutto colpi raffinati, rotazioni beffarde e discese a rete che oggi sarebbero un suicidio sportivo, visto che in campo vanno robot muscolari che servono a 220 all’ora. Erano gli anni degli scudetti alla Roma di Liedholm, ma anche di Falcao e Conti, solo per fare altri due nomi-icona e al Verona di Bagnoli, che interruppero l’egemonia dell’asse Torino-Milano.
Erano anni in cui si fondeva il sogno di una vita migliore, anche esteticamente, e il piombo di anni come il ’78 del rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e degli uomini della sua scorta, ma anche della presidenza della repubblica a quel Pertini amatissimo dalla gente.
Purtroppo però gli omicidi politici non sarebbero finiti, perché altri, come Guido Rossa, Mino Pecorelli, Vittorio Bachelet cadranno vittime della follia sedicente politica. E poi un papa che contribuirà a cambiare il mondo con la sua lotta contro la violenza politica, Giovanni Paolo II, e che attraverserà con la sua immagine un po’ burbera un po’ tenera questa età così contraddittoria. L’uccisione da parte di un “fan” di John Lennon nel 1980 sembra quasi il canto d’addio di un’epoca e l’inizio incerto di un’altra: la fine del sogno dell’amore che bastasse a guarire il mondo da solo che anche i Beatles avevano contribuito a creare e l’avvio di un mondo nuovo ma dai confini ancora nebulosi: la violenza continuò ad attraversare la storia con l’attentato di Agca a Giovanni Paolo II, la scoperta di una loggia “politica” come la P2 guidata da Gelli, gli anni di un socialismo non più ideologico, quello legato alla modernità di Craxi. Anni senza fiato, insomma, per usare le parole della canzone di un gruppo divenuto un’altra icona di quel tempo, i Pooh. Dire addio a Niki significa anche dire addio ad un tempo contraddittorio e affascinante, giocoso e luttuoso, colmo di speranze e foriero di amare riflessioni. Un tempo umano, in poche parole.