Cesena
Al “Bonci” un viaggio nel tempo
In un mondo teatrale che sembra dare spazio ormai solo a riprese di grandi testi del passato, è da salutare con piacere l’apparizione di un’opera contemporanea. Parliamo di “When the rain stops falling (Quando la pioggia finirà)” di Andrew Bovell, in scena al “Bonci” di Cesena da giovedì 6 a domenica 9 febbraio.
Il dramma, del 2010, è stato tradotto nel 2019 per l’Italia ed è in tournée con questa produzione Ert e Teatro di Roma. Lo spettacolo, un atto unico di due ore, è di grande suggestione poetica, di spessore filosofico, e necessita da parte dello spettatore di un intenso impegno dall’inizio alla fine. L’autore, infrangendo la regola di uno sviluppo cronologico lineare, inizia la vicenda nel futuro, un 2039 in cui sembra imminente la fine del mondo, per poi tornare indietro al XX secolo, e dagli anni Sessanta arrivare fino al 2013, in un’altalena vertiginosa fra passato e futuro, fino a concludere – se di conclusione si può parlare – nella scena iniziale del 2039, un futuro allucinato che porta però in sé barlumi di speranza, se è vero che la pioggia, che scorre incessante per tutto lo spettacolo, e che nel futuro (oramai non più tanto remoto) sta causando catastrofi planetarie, all’improvviso s’interrompe.
Nel dettaglio, nelle due ore di spettacolo, assistiamo alle vicende di due famiglie, dall’Inghilterra all’Australia, a ben quattro generazioni di persone, attraverso i loro drammi, le loro gioie (poche), le loro angosce (tante) e gli incroci che il destino semina di fronte a loro. La scena è molto essenziale: una sala da pranzo, simbolo evidente dell’unità familiare, che è però frammentata, divisa, e che di volta in volta diventa casa inglese, campagna australiana, spiaggia, e così via. L’attenzione dello spettatore non deve mai venire meno, perché più attori interpretano lo stesso personaggio, visto nello scorrere del tempo, e anche se sullo sfondo appaiono date e luoghi, confondersi è facile, dato che i personaggi di epoche diverse possono anche dialogare fra di loro, o dialogare con se stesso, se è il medesimo personaggio che si parla attraverso il tempo.
Prima si faceva riferimento al valore filosofico dello spettacolo: tutta l’opera è una grande riflessione sul significato del tempo, sulla consapevolezza del divenire delle generazioni umane e sui legami che attraverso i decenni stringono le persone. Facendo un paragone, un’operazione concettualmente molto simile alla “Ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust, dove i sette volumi dell’opera permettono al lettore di seguire gli eventi dei vari personaggi, ma anche di rendersi conto che, nella memoria del protagonista (e di conseguenza anche del lettore che ha accompagnato il protagonista attraverso le centinaia di pagine del romanzo), essi sono tutti presenti in un tempo che è fuori dal tempo e contemporaneamente nel tempo. A livello teatrale, l’effetto, come si accennava, è dato dalla compresenza sulla scena di personaggi di diverse epoche, che interagiscono fra loro, con effetti alcune volte di grande poesia: una scelta espressiva che non permette allo spettatore di distrarsi un attimo, pena l’incomprensione di quanto sta accadendo. Particolarmente suggestive luci e musiche, e una lode a tutti gli interpreti, efficaci, intensi senza strafare, ben guidati dalla regia di Lisa Ferlazzo Natoli. Come spesso succede, non molto pubblico durante la serata di giovedì sera, ma spettatori molto attenti che hanno tributato vivi applausi al cast, meritatissimi.
Sabato 8 febbraio, alle 18, nel foyer del Teatro “Bonci”, avrà luogo l’incontro con la regista e la compagnia intorno allo spettacolo. Ingresso libero. Domenica 9 febbraio lo spettacolo sarà audiodescritto per non vedenti e ipovedenti nell’ambito del progetto “Un invito al Teatro – No limits”: per informazioni e prenotazioni è possibile contattare il Centro Diego Fabbri di Forlì (info@centrodiegofabbri.it – tel. 0543 30244).