All’altezza della situazione?

C’è stato un tempo in cui sembrava che soltanto i “tecnici” avessero titolo per governare l’Italia. La competenza era assurta a requisito non solo indispensabile, ma sostanzialmente esclusivo per assicurare al Paese una classe dirigente politica all’altezza della situazione. Sembra passato un secolo e si tratta invece di una manciata di anni. Adesso, ad assistere allo spettacolo pirotecnico della “nuova” politica, viene da pensare che la competenza non sia più una dote richiesta a chi gestisce la cosa pubblica e venga addirittura guardata con un certo sospetto. La girandola di slogan, gaffe, ripensamenti, annunci vuoti o vere e proprie balle – beninteso: materiale tutt’altro che inedito per la politica italiana – ha raggiunto livelli parossistici. Senza peraltro che i protagonisti sentano mai il dovere di una minima autocritica. D’altronde, se all’epoca dei tecnici il consenso era spesso considerato – ovviamente sbagliando – una variabile da cui poter prescindere, in questa stagione il consenso – quello reale delle elezioni e quello presunto dei sondaggi – tutto giustifica, tutto sana, tutto autorizza.

Risulta evidente anche a uno sguardo sommario come tra i fattori che hanno determinato questa situazione ci sia una reazione viscerale agli errori della fase precedente. Il che dà anche la misura di quegli errori. Eppure, a guardare in una prospettiva più ampia, ci si accorge che sia la delega ai tecnici, sia la scorciatoia populista, hanno espresso in forme diverse la medesima esigenza di un profondo ricambio della classe dirigente. Gli effetti complessivi di questa spinta sono stati travolgenti, al punto che la geografia politica del Paese è irriconoscibile rispetto al passato, ma il percorso è largamente incompiuto nella parte costruttiva e appare sempre più carico di incognite. Detto con un’estrema semplificazione, i tecnici hanno fallito perché la politica non è fatta solo di numeri, ma deve offrire un progetto e una speranza di futuro; i non-competenti stanno sperimentando ora che non basta promettere il cambiamento e che invece è necessario confrontarsi con l’incomprimibile durezza della realtà, sia sul piano interno che su quello internazionale. La questione seria è che questo apprendistato non avviene in campo neutro, in un laboratorio asettico e protetto, e che quindi da ogni scelta, da ogni azione, derivano conseguenze concrete per la vita degli italiani di oggi e di domani. Non solo per quel che riguarda i conti pubblici, ma anche sul piano della cultura diffusa e dei comportamenti collettivi.

Il problema della formazione di una nuova classe dirigente adeguata ai tempi, insomma, appare ben lontano dall’essere risolto. Eppure le energie positive non mancano: nei territori, nelle comunità, nelle organizzazioni sociali, nelle imprese, nelle stesse istituzioni. Ma questo potenziale non diventa classe dirigente con un colpo di bacchetta magica. Suonano attuali come non mai le parole pronunciate da papa Francesco nell’ottobre 2017 davanti a una qualificata platea europea: “La politica non è ‘l’arte dell’improvvisazione’ bensì un’espressione alta di abnegazione e dedizione personale a vantaggio della comunità” e per essere leader serve “studio, preparazione ed esperienza”.