Antonio Pennacchi, la scomparsa di uno tosto. E vero.

Basterebbe leggere, o rileggere, “Canale Mussolini”, il romanzo che gli ha dato premio Strega, finale al Campiello e fama per capire da dove venissero gli opposti estremismi del compianto Antonio Pennacchi, che ci ha lasciato improvvisamente all’età di 71 anni: dai miti di fondazione, anzi, di rifondazione, dalle sue radici tosco-umbre da parte di mamma e veneti del padre e dalla ventura di nascere in una (numerosa) famiglia di coloni arrivati nelle paludi pontine perché lì si poteva ricominciare da capo. Quel “da capo” significava la bonifica di quelle paludi, avvenuta in era fascista, ma anche dapprima coscienza di classe e poi trasformazione in piccoli proprietari di un nucleo di lavoratori che dovevano abbandonare anche le radici socialiste, quando fu necessario difendere i beni ottenuti contro gli attacchi della allora nuova sinistra operaia. Per questo Pennacchi aveva attraversato praticamente tutto l’orizzonte politico e ideologico italiano, dalla destra nostalgica del Movimento sociale italiano (Msi) alla sinistra più estrema, vale a dire i marxisti leninisti puri e duri, quelli che simpatizzavano per Mao, ma con variazioni che lo portarono al Psi, alla Cgil, con cui ebbe rapporti assai conflittuali e infine alla Uil e al Partito democratico.Operaio lui stesso per trent’anni, approfittò della cassa integrazione per laurearsi in Lettere alla Sapienza di Roma, per poi iniziare a scrivere diversi romanzi, uno dei quali, “Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi” divenne un film di successo, “Mio fratello è figlio unico”, diretto da Daniele Luchetti, con attori del calibro di Elio Germano e Riccardo Scamarcio.

Anche qui il tema era lo stesso: la voglia di cambiare il mondo, la presenza del sacerdote, la protesta contro lo sfruttamento e soprattutto contro il modo di vita borghese, comune alla destra sociale estrema e alla sinistra radicale. In fin dei conti quello di Pennacchi è stato un viaggio all’indietro, al prima delle divisioni, al prima della creazione del partito comunista e del fascismo, in poche parole al socialismo delle origini. Un socialismo forse mai esistito, anche perché non si può riportare indietro l’orologio del tempo, che però era una radicale aspirazione all’incontro del messaggio sociale cristiano con la politica di quanti vedevano nell’arco parlamentare un insieme di partiti che, a furia di compromessi, avevano perso le radici originarie.

Il vitalismo dell’azione della destra estrema e la rivendicazione della dignità operaia contro i soprusi del potere e soprattutto del clientelismo facevano parte della sua realtà, non solo dell’ideologia: chi lo conosceva personalmente sapeva bene la sua coerenza, fatta di modi tutt’altro che intellettuali e spocchiosi, ma anzi, di battute, spesso salaci, di una sigaretta e un caffè a parlare di tutto, dal tempo ai politici. Non si sentiva una star e non si atteggiava a famoso, rimanendo un figlio del popolo anche negli anni dieci di questo millennio, quando la vittoria allo Strega lo consegnò all’effimera – e lui era cosciente di questa impermanenza – gloria, e, cosa che non sempre accade, anche al successo di vendite. Uno di noi, con le parolacce e le battute salaci, ma anche un “famoso” suo malgrado che ti ascoltava e rideva con te dei miti del nostro tempo: la fama e i soldi.

Uno tosto. E vero.