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Arrigo Sacchi ieri sera a Cesenatico, ospite del Rotary: “Se l’Italia non fa gioco di squadra, non crescerà mai”
“C’è un giorno nell’infanzia di ognuno di noi che segna per sempre la nostra storia e il nostro destino. Alcuni lo ricordano, altri lo hanno dimenticato. Quel giorno, io l’ho scolpito nella memoria”. Inizia con queste parole l’autobiografia di Arrigo Sacchi pubblicata per Mondadori e intitolata “Calcio totale”. In verità la vita di questo grande protagonista del calcio, gloria del passato e grande esempio per il presente, è stata condizionata fortemente da questo sport che in lui ha assunto una dimensione totalizzante sin da quando a Fusignano ricevette dal padre un “pallone nuovo, che profumava di cuoio”. Ospite di una serata-evento organizzata dai cinque club Rotary di Cesena, Cervia-Cesenatico, Valle del Rubicone, Valle del Savio e Forlì Tre Valli al Grand Hotel Cesenatico, mister Sacchi, “il profeta di Fusignano”, si è raccontato spiegando cosa ha significato per lui fare l’allenatore.
“Devo molto a Cesena – ha esordito –. Vi ho lavorato tre anni e ho imparato molte cose. C’è una frase che mi porto dietro: ‘Vinco sempre perché o vinco o imparo’. Il calcio per me è sempre stato musica, arte, poesia, coraggio, spettacolo, merito. Una vittoria senza merito per me non era una vittoria. I padri fondatori di questo sport lo hanno creato pensando a uno sport offensivo di squadra. Noi per nostra pigrizia lo abbiamo trasformato in uno sport difensivo e individuale. Cerchiamo di fare sistema con uno. Io invece ho pensato che il calcio non nascesse dai piedi ma dalla mente. Mi ricordavo sempre di una frase di Michelangelo, che diceva: ‘I quadri si dipingono con la mente. Le mani sono un mezzo. Ho pensato che la mente fosse un mezzo e sempre nella mia vita ho creduto in valori in cui il nostro paese non crede”. Senza mezzi termini e con saggezza, il Ct della Nazionale italiana vicecampione del mondo al Mondiale 1994, considerato da molti esperti uno dei migliori allenatori della storia del calcio, ha rammentato come lo sport sia uno dei sentieri più importanti per la crescita delle persone in tutte le parti del mondo perché “fa crescere la persone perché fa porre obiettivi, fa capire la vita e la società, è una lezione di vita”
Che cosa è il calcio per lei?
Il calcio è metafora della vita. È esso stesso lo specchio della vita. Ho sempre creduto che questo sport fosse costituito da valori fondamentali: primi fra tutti il merito e la bellezza. Oggi nelle società sportive come nella politica primeggiano i soldi e il potere. Anche la stampa è coinvolta in questo gioco delle parti, spesso strumentalizza questo mondo che dovrebbe offrire spettacolo e valori lontani da inciuci politici.
Perché questo avviene?
Quando non sei convinto delle tue idee fai dei compromessi. Per formare una squadra non può mancare l’etica del collettivo e il senso di appartenenza: l’orgoglio di essere. Devi avere al tuo fianco persone che corrono e aiutano i propri compagni. Il talento è fondamentale ma non è tutto, io l’ho sempre tenuto per ultimo. Dire ‘conta solo vincere’ come fa la Juventus oggi è di una povertà assoluta. Conta vincere se meriti, e non sempre e comunque. Io mi sono sempre visto come l’autore e il direttore d’orchestra. Per me il calcio è musica: tempi ritmi sincronismi spazio movimento. La mia doveva essere una squadra che si muoveva in modo coordinato dove la connessione era facilitata dalla vicinanza. Oggi in Italia 5/6 squadre stanno cercando di onorare il calcio.
‘Un calcio difensivo è pessimistico’. Cosa intende con questo?
Sin da ragazzino ho sempre pensato che avere un buon gioco significasse dare autostima e ottimismo ai giocatori. Pensavo che il calcio offensivo di dominio e padronanza del pallone ti creasse tutti questi presupposti. Un calcio difensivo invece è pessimistico. Io da allenatore ho sempre cercato degli eroi: da quando ero al Bellaria e al Fusignano fino a quando sono arrivato nelle grandi squadre come il Milan. C’è anche da dire che ho avuto una grande fortuna: ho trovato sempre dei gran club. Il club viene sempre prima della squadra e la squadra viene sempre prima di ogni singolo: in un paese in cui la visione non va mai oltre il singolo.
Come ha accettato l’esito del Mondiale ’94?
Come dicevo ho cercato sempre di avere degli eroi. Questo è accaduto al Mondiale del 1994 fino all’ultima partita. Non me la presi più di tanto perché il Brasile aveva meritato più di noi. Alla fine dissi solo poche parole: “grazie a tutti”. Eravamo andati oltre le nostre possibilità. Oggi, invece, noi non siamo capaci di ringraziare: i giornalisti spesso non aiutano, fanno del populismo e creano opportunismo e con questi disvalori non c’è crescita e non c’è progresso. Bisogna rinnovarsi e innovarsi. Avere coraggio.
Calcio metafora della vita. Due mondi vicini?
In un campo di calcio ci sono persone. Nella vita ci sono persone. Il segreto, o meglio, la fortuna è alzare la qualità delle persone: spesso siamo scontenti dei nostri governanti, ma bisogna riconoscere che la classe politica rappresenta la popolazione. Questo accade nel calcio. Non ci stiamo rinnovando e non facciamo investimenti nei giovani. Se non c’è un ricambio generazionale non ci può essere futuro. Senza estetica non c’è etica. Nel calcio come nell’impresa ci vuole entusiasmo e ottimismo. Abbiamo perso la fiducia in noi stessi e cerchiamo di sopravvivere: pensiamo alla Germania che nel 2000 toccò il fondo. Cosa accadde? Il calcio fu riorganizzato e le società furono strutturate dal sistema delle Academy’s. In questo modo hanno messo al centro un calcio totale e di dominio, che ti fa sentire forte. Hanno aperto 14 centri federali mentre le società professionistiche seguono un protocollo di lavoro dato dalla nazionale tedesca e nei centri prendono i ragazzi più interessanti non professionisti. Loro hanno stile e promuovono una cultura corporativa. Questo ci deve essere anche nelle aziende. Lo stile identifica un’azienda. Il Napoli ha uno stile, come la Sampdoria e l’Atalanta.
Qual è il suo allenatore tipo oggi?
Tutti quelli che fanno spettacolo e danno emozioni. Oggi in Italia ci sono allenatori buoni anche se non ci sono molte squadre che hanno coraggio. Il coraggio è frutto della conoscenza e del lavoro che tu fai.