Associazioni cattoliche alla politica. No a eutanasia e suicidio assistito. Cure palliative siano diritto effettivo per tutti

L’ultimo monito di papa Francesco risale a due giorni fa. “La pratica dell’eutanasia, divenuta legale già in diversi Stati, solo apparentemente si propone di incentivare la libertà personale; in realtà essa si basa su una visione utilitaristica della persona, la quale diventa inutile o può essere equiparata a un costo, se dal punto di vista medico non ha speranze di miglioramento o non può più evitare il dolore”. Parole senza sconti quelle rivolte ai membri dell’Associazione italiana oncologia medica (Aiom) ricevuti il 2 settembre in udienza in Vaticano, accompagnate dalla sottolineatura dell’importanza delle cure palliative: “L’impegno nell’accompagnare il malato e i suoi cari in tutte le fasi del decorso, tentando di alleviarne le sofferenze mediante la palliazione, oppure offrendo un ambiente familiare negli hospice, sempre più numerosi, contribuisce a creare

una cultura e delle prassi più attente al valore di ogni persona”.

Si avvicina il 24 settembre – termine indicato al Parlamento dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 207/2018 per modificare la norma sull’aiuto al suicidio, ossia l’art. 580 del Codice penale – e in quella data, in assenza di atti del Parlamento stesso, è attesa una pronuncia della Consulta in materia di suicidio assistito. Al riguardo, lo scorso 13 luglio il cardinale presidente della Cei Gualtiero Bassetti aveva espresso “profondo turbamento di fronte alla possibilità che anche nel nostro Paese si aprano le porte all’aiuto al suicidio, tramite una legge o attraverso le sentenze di tribunali ordinari o della Corte Costituzionale”, e aveva esortato la politica a mettere

“al primo posto un concreto accesso per tutti a cure adeguate, a partire da quelle palliative e dalla terapia del dolore”.

E proprio un intervento del card. Bassetti costituirà il momento cardine dell’incontro di riflessione “Eutanasia e suicidio assistito. Quale dignità della morte e del morire?” in programma il prossimo 11 settembre a Roma (Centro congressi Cei, via Aurelia 796, ore 15 – 19) per iniziativa del Tavolo famiglia e vita istituito presso la Cei e composto da Aippc, Amci, Forum associazioni familiari, Forum sociosanitario, Movimento per la vita e Scienza & Vita che lo scorso luglio hanno pubblicato un documento congiunto per ribadire un fermo no ad eutanasia e accanimento terapeutico e per chiedere una maggiore implementazione delle cure palliative su tutto il territorio .

“All’evento hanno già assicurato la propria partecipazione oltre 50 associazioni, tra le quali le 32 che lo scorso 11 luglio hanno rilanciato un grido forte e appassionato per la vita, sempre degna di essere vissuta”, dice al Sir Tonino Cantelmi, presidente Aippc (Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici), che auspica da parte del nuovo governo maggiore attenzione per questi temi. “Non intendiamo giudicare nessuno – spiega –; vogliamo piuttosto avere autentica compassione per tutti quelli che soffrono a causa di malattie inguaribili o disabilità importanti”.

E la risposta da offrire a chi teme di essere abbandonato o di costituire un peso è fatta di accoglienza, prossimità, accompagnamento. Un abbraccio che disperda le tenebre dello sfinimento e della disperazione perché cure palliative e terapia del dolore offerte con competenza e umanità – come accade in molti hospice – prevengono la domanda di essere uccisi o aiutati a morire. Per questo la richiesta di garantire a tutti l’accesso a queste cure non è una questione cattolica ma una battaglia di civiltà per superare una disuguaglianza che colpisce malati in condizione di estrema fragilità umiliandone la dignità.

Diversamente, avverte il giurista Alberto Gambino, presidente di  Scienza & Vita , “sarebbero soprattutto le persone più vulnerabili e più deboli a essere spinte verso forme di interruzione della propria esistenza prima del suo spirare naturale”. Di qui l’importanza di una società e di una cultura improntate a solidarietà, rispetto di ogni persona, dovere di prendersi cura dei suoi membri più deboli. Su questo si misura il suo grado di civiltà.