Bene comune e relazioni, le ricette di Stefano Zamagni

Il professor Stefano Zamagni riparte dalle università medievali. «Spiegavano i termini, prima di tutto», dice in avvio di incontro, il primo del nuovo ciclo della Scuola diocesana di Dottrina sociale della Chiesa proposto dalla commissione Gaudium et spes guidata da Marco Castagnoli. La serata si è svolta martedì della scorsa settimana in seminario e ha visto la presenza di una trentina di partecipanti.

Chiamato a intervenire su bene comune e fraternità, il docente ha voluto chiarire subito la differenza tra le varie definizioni. «Bisogna distinguerlo dal bene totale. Il primo è un prodotto, il secondo una somma di beni individuali. Nel bene comune, invece, non ci può essere uno zero. Significa che nessuno può essere lasciato indietro o escluso dalla partecipazione sociale». In una parola: non si può annullare nessuno. Detto con le parole di papa Francesco: non si possono fare scarti umani.

«Con il bene comune, che non va confuso con l’altruismo – insiste il prof – ognuno persegue il suo vantaggio, ma in modo che anche altri abbiano il loro. Il bene totale è escludente».

Sulla meritocrazia va giù pesante Zamagni. «È contraria al cristianesimo e alla democrazia», sottolinea, citando Socrate. Sulla fratellanza precisa: «Non è un concetto cristiano. È massonico. Diversa è la fraternità, un principio universalista che deriva da una comune discendenza, tradotto dai francescani in una pratica economica e sociale. Una società fraterna è anche solidale», ma non è vero l’inverso fa notare Zamagni.

Ma perché oggi è così importante immettere nel dibattito pubblico parole come fraternità e bene comune? si chiede l’economista. Siamo passati «dal capitalismo industriale al capitalismo finanziario, come vediamo molto bene in questi giorni con il fallimento della banca legata alle start up della Silicon valley, negli Usa», nota il presidente della Pontificia accademia delle Scienze sociali, nominato da papa Francesco nel marzo del 2019. «Viviamo un’epoca di profonda trasformazione. Gli attivi finanziari sono sette volte il prodotto interno lordo. Ma bisogna tenere presente che «la finanza non produce valore. Trasferisce soldi da uno all’altro».

Questi nuovi fattori non fanno altro che aumentare le diseguaglianze, «tra chi davanti e chi sta per ultimo dice il prof -. Le povertà a livello globale diminuiscono. I poveri sono 800 milioni, 20 anni fa erano due miliardi e mezzo. Aumentano le distanze sociali. La diseguaglianza è molto più pericolosa delle povertà. Dal dopoguerra a oggi gli stipendi sono passati da un rapporto a 1 a 50 tra operai e amministratore delegato a 1 a 700. Le diseguaglianze sono il cancro delle nostre società.

Così ci rimette per prima la democrazia. Perché la gente non va a votare? «L’aumento delle diseguaglianze distrugge la fraternità» e fa aumentare la sfiducia nella gente. Il neologismo aporofobia, chiarisce Zamagni, la paura dei poveri, innesca meccanismi negativi per le nostre società e sfiducia verso le istituzioni.

Altra conseguenza di queste profonde trasformazioni delle nostre società è la distruzione dell’ambiente. «Pur di aumentare il profitto non abbiamo ritegno a inquinare – chiosa Zamagni -. L’ambiente, invece, è un bene comune. E la governance di un bene comune non può che essere comunitaria», e non di qualcuno. Il docente usa una metafora efficace: distruggere l’ambiente in cui viviamo per spingere sui guadagni è come segare il ramo su cui si sta seduti.

«Viviamo per essere felici – aggiunge Zamagni, citando il paradosso della felicità -. L’errore che commettiamo sta nel confondere l’utilità con la felicità. La felicità è legata ai beni relazionali, quelli di cura, che richiedono tempo. I giovani avvertono molto questo paradosso, il più inquietante».

Invece noi oggi siamo immersi nel «singolarismo, una corrente di pensiero nata in California, una forma estrema dell’individualismo. È l’ndividualismo dell’appartenenza, per cui uno si deve differenziare dagli altri». Al contrario, aggiunge Zamagni, ricordando gli inizi, «l’economia nasce da un principio di cooperazione. L’antidoto al singolarismo sono il bene comune e la fraternità».

Quale può essere la ricetta, in particolare per i giovani che sono spesso disorientati verso una generazione di adulti che ha trasmesso disvalori? «Quello che importa – risponde Zamagni – è che ognuno realizzi il proprio potenziale, secondo i propri talenti». È possibile invertire la tendenza del singolarismo? «Possibile, ma non facile. Si può fare con il comportamento individuale e la modifica delle istituzioni, delle regole del gioco economico e di quello politico».

Zamagni cita Giovanni Paolo II e l’enciclica Sollecitudo rei socialis in cui il Pontefice polacco parla di “strutture di peccato”. «Se non chiudi i paradisi fiscali… non capisco come si faccia a non comprendere… Andranno tutti all’inferno, lo dico sempre. Vanno modificati gli statuti dei grandi organismi internazionali. Ecco perché ci vuole la politica. L’ha capito benissimo papa Francesco. Ed è anche per questo che viene osteggiato, ma lui non se ne importa. Leggete il capitolo 5 della Fratelli tutti. Ve lo traduco: o scendono in politica, i cattolici, si intende, o sono dei vigliacchi. La politica si deve liberare dei poteri forti».

Ci sono, comunque, segnali che alimentano la speranza. Ad esempio la finanza etica, il 24 per cento del totale. «L’attuale modello di sviluppo non assicura i beni relazionali – prosegue il professore -. La nuova Dottrina sociale della Chiesa va alle cause e chiede di trasformare la società in cui viviamo. Il riformismo lo vogliono i conservatori. Papa Francesco propone l’approccio trasformazionale. Anche per questo è molto inviso. Ma voi che siete qui, state sempre in gioia perché le cose stanno cambiando».

«La globalizzazione era basata su principi disumani. La quarta rivoluzione industriale è basata sull’intelligenza artificiale. La terza su internet. Con questo modello di sviluppo aumenteranno le disuguaglianze e non aumenterà l’economia. Ci vogliono i principi cattolici per rimetterci in carreggiata: solidarietà, sussidiarietà, bene comune e fraternità. La vera sussidiarietà è quella circolare proposta già da san Bonaventura nel 1215».