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Bozzo (Università Firenze): “Le conseguenze di questo conflitto saranno importanti per tutti”
La volontà di trattare è alla prova dei fatti. I negoziati fra Russia e Ucraina sembrano proseguire e da oggi si apre una serie di incontri a Istanbul. Sul piatto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dice che è pronto a discutere anche l’adozione della neutralità e la rinuncia al nucleare. A patto però che uno Stato terzo svolga il ruolo di garante. Sul fronte opposto, Vladimir Putin non vuole ritirarsi dal terreno senza un bottino che faccia crollare il suo potere interno. Luciano Bozzo, professore di relazioni internazionali e studi strategici presso l’Università di Firenze, spiega come lo scenario sia ancora molto fluido. Ma la situazione in divenire ha comunque un punto fermo: la guerra in Ucraina ha scavato un fossato fra l’Occidente e la Federazione Russa che si getta fra le braccia della Cina perché non ha alternative.
Zelensky parla di neutralità. È un passo avanti?È un passo avanti perché i russi non riescono a proseguire. La resistenza dell’avversario superiore alle aspettative e l’inefficienza dell’offensiva hanno determinato una posizione di stallo. A questo punto le opzioni per Putin sono o continuare nella pressione o elevare il livello dello scontro o infine ridurre gli obiettivi che intendeva raggiungere, vale a dire limitare le richieste al controllo sul Donbass, sulla fascia costiera che consente di creare contiguità territoriale con la Crimea e ottenere dall’Ucraina un impegno per la neutralità del Paese.
L’Ucraina dovrebbe anche essere neutrale sul piano nucleare.La rinuncia al nucleare è un discorso diverso. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, l’Ucraina era rimasta in possesso delle armi dislocate nel territorio. Se ne liberò siglando un trattato internazionale che prevedeva il rimpatrio delle armi nella Federazione Russa. Se oggi si parla di denuclearizzazione si parla solo in prospettiva: l’Ucraina si dovrebbe impegnare a non dotarsi e a non detenere nuove armi nucleari. Se davvero Putin accettasse di ridurre i propri obiettivi, se si accontentasse di ottenere il controllo del Donbass (cosa che ancora non ha ottenuto del tutto), se riuscisse a ottenere l’indipendenza o uno status di forte autonomia e un impegno dell’Ucraina alla denuclearizzazione questo potrebbe consentirgli di salvare la faccia e tornare a casa senza una sconfitta.
E arrivare così al 9 maggio, data indicata come la fine del conflitto?È una data simbolica. Va messa in relazione con quello che realmente accade sul campo. Se in oltre un mese, i russi riuscissero a prendere Mariupol e controllare il Donbass allora Putin potrebbe propagandare questi risultati come una vittoria. Se tutto questo avvenisse, la guerra potrebbe finire e concludersi con un accordo. Ma va detto che, se l’Ucraina non accettasse la perdita nefasta dei territori, in seguito si potrebbe accendere la violenza in termini di guerriglia e destabilizzazione.
Zelensky vuole che nell’accordo ci sia uno Stato terzo nel ruolo di garante. Si è parlato di Stati Uniti, Gran Bretagna e Turchia.Si tratta di vedere se la Russia è nelle condizioni di volere e poter accettare una garanzia che in larga misura sarebbe offerta da Paesi Nato. È un punto critico. Se un Paese Nato si fa garante della situazione in Ucraina, nel momento in cui sul campo la situazione si deteriorasse, poi si troverebbero a confronto militare diretto gli antagonisti: da un lato la Russia e dall’altro la Nato.
Servirebbe uno Stato non Nato?Sì. Comunque un Paese in grado di garantire la sicurezza bilaterale. Gli attori dovrebbero essere diversi, di sufficiente credibilità militare, e uno di questi dovrebbe essere sicuramente la Federazione Russa.
Così il novero dei Paesi è veramente ristretto.Esatto. Il momento è fluido. Vedremo la realtà del negoziato in Turchia. Se i russi non riescono sul campo a ottenere quello che consente a Putin di bloccare l’azione senza perdere la faccia, non ne usciamo.Occorre vedere quanto la resistenza ucraina può andare avanti.
Trasformare il Paese in una sorta di Corea, cioè divisa in due parti, una russa l’altra ucraina, è uno scenario possibile?Sì se si arriva a un cessate il fuoco e si divide il Paese. Ma non sarebbe una soluzione ottimale. In Corea non c’è mai stato un trattato di pace bensì una sospensione delle operazioni belliche. Lì il confine è militarizzato e presidiato con sistemi elettronici capaci di sparare a ogni singolo movimento. Inoltre la Corea del Nord è una potenza nucleare mentre la Corea del Sud ha alle spalle gli Stati Uniti. Una condizione che congela la situazione.
Che conseguenze potrebbe avere l’Occidente dalla guerra in Ucraina?
Le conseguenze per l’Occidente e per il mondo intero saranno importanti. Questa guerra arriva alla fine di un processo di crisi progressiva del sogno liberale della ‘turbo globalizzazione’. La guerra in Ucraina scava un fossato fra la Federazione Russa e l’Occidente, inteso come la Nato e i Paesi dell’Unione europea. La crisi ha sicuramente consolidato la Nato e chi sognava una difesa europea indipendente e autonoma ne esce deluso perché al di là degli impegni non ci sono le condizioni per concorrere con la Nato. Gli Stati Uniti, come potenza egemone, ne escono bene mentre la Russia si getta sempre più nelle braccia della Repubblica Popolare Cinese perché non ha alternative.
Putin è al tramonto?Sì a mio parere.Putin esce vincitore se riesce a consolidare le conquiste sul campo ma è sicuramente giunto alla fine della sua parabola politica.
La Cina manda spesso messaggi che invocano la pace e il dialogo fra le parti. Che parte recita Pechino?La Cina negli ultimi 30 anni ha tratto dal sistema aperto dei liberi scambi grandi vantaggi. È divenuta la seconda grande potenza economica globale e non ha nessun interesse a veder deteriorare la situazione internazionale. Anzi, vuole ottenere i massimi dividendi possibili da quello che sta accadendo.Nella prospettiva del consolidamento di una coalizione anti occidentale, la Cina giocherebbe un ruolo di leader di un gruppo di Paesi fortemente anti occidentali insieme a Russia, India e Iran.Non va considerato come un Paese pacifico ma la politica cinese è tradizionalmente improntata alla prudenza e la percezione dei tempi della politica è diversa e pragmatica.
D’altro canto, le parole del presidente Joe Biden sono sembrate molto minacciose.Non è la prima volta che Biden usa termini forti contro Putin. È anche vero che le dichiarazioni ufficiali della Casa Bianca ridimensionano i termini e che l’amministrazione non sia mai stata imprudente e aggressiva. Le parole quindi lasciano il tempo che trovano se poi non seguono fatti.