Brexit: ultimi giorni prima del “baratro”. Dall’Ue trapela la proposta di un nuovo rinvio

“Il mio Paese è sull’orlo del baratro. Ma sembra che i politici non se ne accorgano. E neanche i cittadini, i quali, in stretta maggioranza, avevano votato nel 2016 per il Brexit. Che errore!”. Cappellino in testa, telefonino in mano, questa “mamma preoccupata” – così si presenta al cronista del Sir – è venuta dalla periferia di Londra per manifestare contro il Brexit in place Luxembourg a Bruxelles. Di lì a pochi metri, all’interno del Parlamento Ue, eurodeputati e rappresentanti di Commissione e Consiglio stanno discutendo proprio del recesso del Regno Unito dall’Unione. Lo stesso accade negli altri palazzoni comunitari della capitale belga. Ormai si respira aria di divorzio senza accordo in un clima di mal sopportazione verso il governo inglese.

Il 9 ottobre è stata un’altra giornata di fitte discussioni, telefonate, dibattiti politici… Lo stallo alimentato dalle rigidità di Boris Johnson fa dire al commissario europeo al bilancio, il tedesco Guenther Oettinger, che le proposte di Downing Street “sono insufficienti”. Anche perché di proposte nuove in effetti non ne arrivano: Johnson si è fatto eleggere premier promettendo di uscire dall’Ue a ogni costo il 31 ottobre. E ci sta riuscendo: anche se i “costi” appaiono sin da ora elevatissimi, sul piano economico, sociale, politico. Oettinger dà voce alle forti perplessità sollevate nelle ultime ore dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, dal capo negoziatore Ue Michel Barnier, solo per fare alcuni nomi.

Il 10 ottobre il ministro britannico Stephen Barclay, che si occupa di Brexit, torna a Bruxelles. Ma dall’Ue gli preparano un’accoglienza tutt’altro che accondiscendente: “Il backstop (la parte di accordo che regolerebbe la situazione dell’Irlanda del Nord, ndr) non può avere limitazioni temporali, né può essere condizionato a un voto unilaterale da parte delle istituzioni dell’Irlanda del Nord”, ha spiegato Oettinger. Michel Barnier fa eco: “L’accordo per l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue è, in questa fase, molto difficile ma ancora possibile”.

Per evitare un recesso senza regole, temuto da cittadini, imprese, parti sociali inglesi, l’ultimo appuntamento ufficiale potrebbe essere il Consiglio europeo (riunione dei capi di Stato e di governo Ue) del 17-18 ottobre. Nel frattempo si fa largo – piaccia o non piaccia a Johnson – l’ipotesi di un rinvio del divorzio. Lo ha affermato mercoledì 9 ottobre anche il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, che ha visto lo speaker della Camera dei Comuni Bercow: “Un’eventuale richiesta da parte delle istituzioni del Regno Unito di estensione del termine di recesso dovrebbe servire a ridare la parola ai cittadini britannici tramite referendum o elezioni generali”. “Con John Bercow c’è stata piena consonanza – ha riferito Sassoli – sull’importanza del ruolo dei nostri Parlamenti nella gestione del Brexit. E vi è la comune consapevolezza che una uscita disordinata del Regno Unito dall’Unione europea sarebbe contro gli interessi dei cittadini britannici ed europei”.

Lo stesso Sassoli aveva riferito, martedì 8 ottobre, del colloquio avuto a Londra con il premier Boris Johnson. “Sono venuto pieno di fiducia con la speranza di ascoltare proposte capaci di fare avanzare il negoziato. Invece devo constatare che non ci sono progressi”, ha spiegato Sassoli.

“Il nostro approccio è molto semplice. Pensiamo che un Brexit ordinato, un’uscita del Regno Unito con un accordo, sia di gran lunga il miglior risultato”.

L’accordo concordato con il Regno Unito lo scorso anno con Theresa May “regolava tutti i problemi associati al recesso del Regno Unito, garantendo certezze a cittadini e imprese, e forniva una base solida su cui edificare le future relazioni Ue-Regno Unito. Al momento continua ad essere il miglior accordo possibile”. Per Sassoli l’Ue non può accettare “nulla che possa minare l’accordo del Venerdì Santo e il processo di pace in Irlanda, o compromettere l’integrità del nostro mercato unico”.

Al momento dunque le ipotesi in campo sono diverse: uscita “no deal” di Londra il 31 ottobre, con conseguenze tutte da valutare e sperimentare; uscita del Regno Unito nella stessa data, dopo aver raggiunto un accordo che eviti di rompere i rapporti tra Londra e i Ventisette, preparando semmai il campo a un futuro di relazioni amichevoli e proficue per i due versanti della Manica; rinvio del Brexit all’inizio del 2020 oppure alla prossima estate, dando tempo al governo e al parlamento britannici di chiarirsi le idee sul proprio futuro.

Nel frattempo ha suscitato interesse la riunione della commissione affari costituzionali del Parlamento europeo dell’8 ottobre con un’audizione alle organizzazioni dei cittadini europei residenti nel Regno Unito e dei cittadini britannici residenti nell’Unione europea.

“È nostro dovere dare voce ai cittadini europei e proteggere i loro diritti in questo difficile momento dovuto ai recenti sviluppi del Brexit”: ha dichiarato alla fine Antonio Tajani, presidente della stessa commissione parlamentare. Tajani ha ricordato che attualmente 3,6 milioni di europei vivono e lavorano nel Regno Unito, mentre i britannici nell’Ue sono meno di un milione. Nel corso dell’audizione sono intervenuti differenti organizzazioni e attivisti che rappresentano una grande fetta della popolazione colpita dalla Brexit.

Tra queste anche Anna Amato, cittadina italiana a cui sono stati negati cittadinanza e residenza permanente oltremanica dopo aver vissuto 55 anni a Bristol. “È essenziale proteggere la libertà di movimento ed evitare problemi alle frontiere”, ha detto Tajani. Il Parlamento europeo “è sempre pronto ad ascoltare le preoccupazioni dei cittadini e a lavorare per soluzioni condivise”.