Caso Navalny, vescovo Pezzi (Mosca): “Chiediamo giustizia, misericordia e soprattutto umanità”

“Come sacerdote non ha grande importanza come si chiama un detenuto, che cognome ha, per quale articolo del codice è stato condannato. Per me hanno un’importanza immensa le parole di Cristo che ci invita a trattare qualsiasi persona in prigione come se fosse Lui stesso”. Interpellato sulla questione Aleksey Navalny, l’arcivescovo di Mosca, mons. Paolo Pezzi, risponde leggendo una dichiarazione rilasciata in questi giorni da un sacerdote russo, don Aleksey Uminiskiy che “mi ha personalmente toccato”.

Non si placano le proteste e in migliaia sono di nuovo scesi in piazza il 21 aprile scorso per chiedere la liberazione di Aleksey Navalny. Nel giro di 24 ore sono stati eseguiti quasi 1.800 fermi e 11 mila sono le persone messe in carcere dal ritorno del dissidente dalla Germania in Russia. La maggior parte degli arresti alle ultime manifestazioni – 805 persone – è avvenuta a San Pietroburgo, la seconda città più grande della Russia, dove sono stati segnalati anche diversi casi di violenza da parte della polizia.

“Le proteste – spiega monsignor Pezzi – sono la manifestazione di un disagio che gli sviluppi della situazione personale di Navalny hanno, in un certo modo, acceso. Mi sembra che in questa circostanza,  si concentrassero non tanto sulle richieste e le attese della popolazione quanto piuttosto sulla situazione nelle carceri”.

La questione Navalny è una situazione che desta preoccupazione anche in Europa. Come uscirne?

È una questione soprattutto politica. Rivolgendosi a chi può fare qualcosa, sempre don Aleksey Uminiskiy aggiungeva: “vi prego, ascoltate le parole di Cristo. Vi prego, abbiate misericordia. Vi prego, non trasformate la detenzione di un uomo in una tortura o in un’irrisione. Dipende da ciascuno di noi essere uomini sempre e ovunque”. Mi è sembrato un modo ragionevole, umano oltre che cristiano, di affrontare una situazione che certo non è piacevole per nessuno.

Che cosa chiedete come Chiese?

Vorrei ricordare la figura di Fjodor Petrovic Haass, del quale è in corso il processo di beatificazione. Fu un medico tedesco, che visse nel 19° secolo e trascorse quasi tutta la sua vita in Russia. La sua opera in ambito medico si focalizzò sui malati poveri e sui prigionieri russi, per i quali combatté giorno dopo giorno, affinché le loro condizioni di vita fossero migliori. Per intercessione di Haass, noi chiediamo che sia data giustizia agli innocenti, misericordia ai colpevoli, intelligenza, coraggio e sapienza a chi deve esprimere il giudizio e soprattutto umanità a chi deve poi far rispettare la pena.

Ma le parole vengono ascoltate?

Penso che il compito delle Chiese sia proprio quello di ricordare, attraverso le parole, l’umanità dell’agire politico. Quello che spetta alla società russa, ma non solo russa, è prendere sul serio quelle parole, di non considerale “religiose”, relegandole cioè in un ambito che si pensi, non abbia nulla a che fare con l’azione politica e sociale. Sono parole che danno la possibilità di cambiamento reale della situazione che viviamo. Mi sembrerebbe comunque riduttivo applicare questo discorso solo alla società russa. È una questione che riguarda tutte le Chiese in Europa e nel mondo: ricordare a coloro che devono prendere decisioni di agire per il bene comune, per il bene della persona, nel rispetto della dignità umana, dal concepimento fino all’ultimo soffio di vita. Vivere per questi principi non toglie nulla dal punto di vista economico e politico. Anzi, rappresenta un di più per la società. Questo è il compito delle Chiese: ricordarlo e domandare al Signore la grazia che i cuori di coloro che sono chiamati ad esercitare il potere, si possano aprire a questi principi per il reale bene del loro popolo e il migliore funzionamento di una società.

Le autorità russe hanno espulso un diplomatico italiano definendolo “persona non grata” e chiedendogli di lasciare il Paese entro 24 ore. Come state vivendo questa situazione? E come affrontare queste crisi diplomatiche?

Penso che occorrerebbe non perdere mai di vista che si serve il bene comune. Durante la Quaresima abbiamo pregato per i governanti affinché siano attenti non solo al bene della propria Nazione ma al bene di tutta l’umanità. È un po’ il messaggio che il Papa ha ripreso nelle sue due ultime Encicliche, cioè questa responsabilità personale che è anche responsabilità per il mondo intero. Nello specifico della crisi diplomatica, posso solo dire che è una situazione che desta preoccupazione. Uno scambio di sanzioni diplomatiche che non riguarda solo l’Italia ma i rapporti con diversi Stati.

Alla luce appunto dell’Enciclica “Fratelli Tutti”, quale messaggio per la Russia oggi?

Penso il titolo stesso. Occorre aprirsi, non guardare solo a sé stessi, ai propri problemi perché quelli ci sono e ci saranno sempre. Ma alzare lo sguardo e scoprire che chi mi sta vicino, anche se sconosciuto, di lingua, etnia, religione diverse, ha qualcosa di più profondo che ci rende fratelli. Quel qualcosa di più profondo è il cuore dell’uomo e Dio stresso. Se riusciamo a capirlo, allora la fraternità può diventare una possibilità reale ed effettiva per tessere nuovi rapporti e costruire una civiltà fondata sulla verità e sull’amore tra di noi.