Dall'Italia
Commemorazione dei defunti. Erri De Luca: “Per me è sempre il giorno uno della loro assenza”
È Capodanno e Napoli carica le batterie per la pirotecnica finale. In una stanza giocano a tombola in due, fratello e sorella, ma apparecchiano per quattro. E le presenze arrivano, da un oltremare del tempo. Nel libro “La doppia vita dei numeri” (2012) di Erri De Luca gli ospiti sono il padre e la madre, morti tempo fa ma richiamati alla presenza dalla figlia, invitati a trascorrere ancora una notte tutti insieme. C’è, poi, la domestica, non invitata ma decisa a non abbandonare la cucina dove è morta. Non è, però, una seduta spiritica.
Mamma e papà fanno una capatina in famiglia ogni qualvolta si estrae un numero a cui si lega un particolare evento del passato. I due genitori racconteranno episodi spiritosi e a tratti comici, parleranno uno sopra l’altro in un ritmo calzante. Può sembrare una trama quantomeno singolare, ma a Napoli c’è sempre stato un legame particolare tra i vivi e i propri cari defunti.
Con lo scrittore Erri De Luca, nato nel capoluogo partenopeo nel 1950, riflettiamo sulla morte, in occasione del 2 novembre, giorno nel quale i cattolici – De Luca si dichiara non credente, ma non ateo – ricordano i loro defunti.
I napoletani continuano ad avere un legame particolarmente forte con i propri morti?
A Napoli l’aldilà coabitava con la vita in corso. I defunti non erano congedati, ma richiesti come intermediari per soccorso. Dovevano apparire in sogno, suggerire numeri per una vincita al lotto.Poi apparve una scritta sul muro del cimitero all’indomani della vittoria del primo scudetto del Napoli: “Guagliù (ragazzi) che ve site perso!”. In altri tempi, i tifosi avrebbero festeggiato insieme ai defunti, certi della loro benefica presenza. La modernità, invece, li teneva in disparte e all’oscuro. Oggi Napoli si adegua a un più distaccato rapporto con i propri defunti.
Lei che rapporto ha con i suoi cari defunti? E il ricordo di chi non c’è più fa più compagnia o è fonte di nostalgia per lei?
Quando un ricordo di loro mi arriva da chissà dove, desidero farlo durare e allora lo scrivo. Non ho elaborato il lutto, come si usa dire. Per me è sempre il giorno uno della loro assenza. Come l’ergastolo, lo scorrere del tempo non avvicina al fine pena. Allora con la scrittura li vado a convocare, li tolgo dall’assenza in cui si sono andati a cacciare e sto ancora con loro. Ecco, la scrittura litiga con la morte e le toglie il diritto all’ultima parola.
Il progresso scientifico ha fatto tanta strada ma non ha potuto e non potrà mai eliminare la morte. In compenso, c’è la tendenza a rimuovere il pensiero della morte e della sofferenza e a considerare la vita degna come tale solo se utile. Ma questo esorcizzare così la morte non toglie senso e gusto anche alla vita?
La paura della morte è un sentimento antico che non toglie dignità alla vita. La modernità, invece, espelle l’invalidità, la vecchiaia, isolandola negli ospizi del fine vita. La modernità crede di proteggersi dal contagio, mentre così facendo indebolisce le proprie difese naturali, frutto di antica prossimità e di premura verso il proprio termine.
Oggi muoiono centinaia di migranti nel Mediterraneo, senzatetto, d’inverno, per il freddo nelle nostre strade, tanti disperati in guerre che non interessano a nessuno, ma sempre più spesso ci giriamo dall’altra parte e fingiamo di non vedere: che società è diventata la nostra?
I mezzi di comunicazione ci informano più fittamente di prima dei malanni del mondo e fanno sentire circondati da tragedie. Questo ispessisce la sensibilità molto sollecitata da tragedie vicine e lontane. Oggi si piange al cinema e non al telegiornale. Rimedio all’insensibilità è fare qualcosa di generoso nel proprio corto raggio di azione. In questo l’Italia del volontariato diffuso, capillare è all’altezza dei tempi moderni.
In un mondo dove prevalgono l’individualismo e l’egoismo, c’è ancora rispetto i morti?
Il salario dei morti è di essere ricordati, si legge in Kohèlet/Ecclesiaste. Il rispetto dei morti coincide con il ricordo di loro, magari buffo, magari allegro. Stanarli dalla loro assenza: finché si parla dei nostri cari, loro stanno ancora con noi.