Con Cappelli, Cristo risorge nella città

Non esiste artista che non si sia cimentato con il Sacro, che non l’abbia affrontato confrontandosi con una millenaria tradizione e sfidandone i canoni nella libertà inventiva e nelle scelte linguistico-formali. Parliamo infatti di una dimensione intrinseca all’umano, che si riverbera esemplarmente nei protagonisti dell’arte di ciascuna stagione e di ogni corrente, classica e d’avanguardia, antica e moderna. L’arte cristiana può considerarsi l’amalgama di realismo, idealismo e simbolismo: da sempre è offerta alla contemplazione e alla meditazione del fedele quale modalità orante ed esercizio riflessivo, concentrata e ostensa soprattutto nelle chiese, nei santuari e nei luoghi in cui la spiritualità è particolarmente esercitata. Le sue principali finalità sono memorative, contemplative, catechetiche (specie nella forma assai frequentata dal Medioevo di libro dei poveri, la ben nota Biblia pauperum) e decorative. «Fra le più nobili attività dell’ingegno umano sono annoverate, a pieno diritto, le belle arti, soprattutto l’arte religiosa e il suo vertice, l’arte sacra. Esse, per loro natura, hanno relazione con l’infinita bellezza divina che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell’uomo. Anche l’arte del nostro tempo abbia nella Chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta riverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti» (n. 122). Era il 4 dicembre 1963 quando il papa san Paolo VI Montini promulgava, con queste parole, uno dei più importanti documenti del Concilio Vaticano II, la Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium. Da allora la Chiesa ha avviato un dialogo intenso con gli artisti, parallelo a significative collaborazioni e commissioni importanti, con felici aperture all’arte moderna e alle sue variegate interpretazioni, sempre al servizio della Liturgia e nello spirito di una eloquente e ispirata religiosità.

Anche la nostra Chiesa ha accolto opere di scultori e pittori locali che hanno caratterizzato e arricchito talune chiese: lo ha fatto con lo scultore Ilario Fioravanti (Cesena 1922 – Savignano sul Rubicone 2012), che per la cattedrale di San Giovanni Battista ha realizzato l’importante Porta bronzeaGiovanni Cappelli (Cesena 1923 – Busto Arsizio 1994), cui si devono vari interventi, su tutti le suggestive pale degli altari maggiori delle chiese parrocchiali di San Pietro apostolo in Cesena e Sant’Anastasia vergine e martire a Gattolino.

A cento anni dalla nascita, l’esposizione nella pregevole sede della chiesa di Santa Cristina – capolavoro di Giuseppe Valadier (Roma 1762-1839) commissionato dal nostro conterraneo papa Pio VII Chiaramonti (1800-1823) – intende onorare Giovanni Cappelli, importante pittore di Cesena, artefice con Alberto Sughi e Luciano Caldari della cosiddetta “Scuola cesenate”.

La mostra – che sarà inaugurata sabato 25 marzo alle 11 e sarà visitabile fino al 16 aprile prossimo, dal giovedì alla domenica, dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 18 – espone un significativo segmento della sua produzione a soggetto sacro, pressoché sconosciuto: una Via Crucis disegnata dal pittore ventunenne; i bozzetti della pala di San Pietro, del catino absidale della chiesa di Montereale, del progettato ma non realizzato ciclo di affreschi nella chiesa di San Rocco; i Santi Gioacchino e Anna con Maria bambina del santuario di Martorano; opere della famiglia Cappelli.

Il catalogo è arricchito da breve nota biografica, riferimenti bibliografico-espositivi, un contributo di Tommaso Magalotti sulle tematiche del sacro nelle opere; interessanti e preziose due interviste: la prima concessa a Magalotti nel 1982, la seconda a Ettore Ceriani nel 1984 (il giorno prima della morte, dunque una sorta di testamento). Nell’una, alla domanda sulla sua arte sacra il pittore chiarisce: «Ho fatto tanti lavori di decorazione, con la preoccupazione di collocarvi figure e storie, cioè segmenti di vita, per una rappresentazione che va oltre la semplice decorazione. Ero consapevole che fare oggi arte sacra è azione complessa e difficile, in quanto s’interviene in una problematica di grande importanza e rilievo. Nella pala di San Pietro traspare la tematica che già entrava nei miei quadri: la crisi esistenziale, il senso della paura del vivere; la figura bianca che cammina sull’acqua e san Pietro che affonda e vede la morte materializzano i timori e interpellano il vuoto che portiamo dentro; la mia interpretazione di questa pagina biblica conduce ai problemi del nostro tempo, alle angosce dell’uomo contemporaneo. La pala di Gattolino ambienta la Risurrezione nella periferia di una grande città, con degli hippies collocati in basso, ai piedi del sepolcro squarciato e davanti al Risorto, a significare il desiderio di ritrovare sé stessi e di riempire certi vuoti che sono dati dalla mancanza della fede; mi pareva che l’inquietudine di questi giovani, alla ricerca di un’identità nuova, fosse più confacente ed eloquente. Nel panno rosso che avvolge il Cristo ho voluto ‘tradurre’ la fiammata di calore del Risorto, facendo ricorso a un colore simbolico, ma pure concreto e razionale: un simbolismo nascosto, quasi inconscio, che lo spettatore deve conquistare e trovare, con un suo sforzo, con una personale fatica».

Nell’altra, alla domanda «Lei è sempre stato un pittore impegnato nella denuncia della condizione umana, con inflessioni di tipo sociale. Ritiene che l’arte abbia ancora bisogno di motivare i propri contenuti?» Cappelli risponde: «Oggi è addirittura più importante di prima, anche se il discorso si è fatto sotterraneo, più nascosto. C’è maggior silenzio e più profondità nella denuncia proprio perché è diventata più personale. Tocca l’uomo nella sua essenza ancor prima che nei rapporti. Del resto, nella società attuale esistono le nuove povertà, la ghettizzazione, la solitudine, l’emarginazione culturale dovuta al mancato aggiornamento tecnologico, ai linguaggi preclusivi come, ad esempio, quello dei computer. La pittura raccoglie questo malessere, lo evidenzia. Di fronte alle nuove urgenze, non ha più senso agitare le bandiere rosse. Occorre recuperare i valori che l’uomo porta con sé, capire il senso della sua presenza, della vita. E questo va cercato soprattutto in noi stessi, quasi in contrapposizione con le sirene che cantano fuori. […] L’uomo può esprimere compiutamente quello che ha dentro facendo bene il proprio lavoro, portando una propria coerente testimonianza. Come del resto facevano gli antichi. Dipingevano una Madonna ma dentro c’era tutta la storia dell’umanità. Attraverso la realtà delle immagini sapevano esprimere valori trascendenti. Spero di essere un testimone sincero del mio tempo». Parole di un uomo serio che ha incrociato sul suo cammino il dono dell’arte, le difficoltà della vita e l’esperienza del dolore