Cesena
Con Didone ed Enea si torna al ‘recitar cantando’
Se è vero, come ha detto il filosofo britannico Alfred Whitehead, che la storia della filosofia occidentale non è che una serie di note a margine su Platone, si può ben dire che la letteratura occidentale sia una lunga, ininterrotta, serie di commenti su Virgilio. Non c’è scrittore, non c’è poeta, non c’è artista che abbia avuto un’influenza così duratura, continua, inarrestabile come il poeta di Mantova. Il suo poema, l’“Eneide”, è letto e studiato ininterrottamente dal 19 a. C., quando, dopo la sua morte, l’imperatore Augusto rese pubblica l’opera cui Virgilio lavorava da ben dieci anni.
In questo anniversario dantesco, quante volte è stata evocata la figura di Virgilio, scelto da Dante come sua guida attraverso i regni ultraterreni di Inferno e Purgatorio: non solo il grande scrittore, ma il profeta, l’ispirato annunciatore di un nuovo mondo che stava per nascere. Nel poema epico, una delle figure di maggiore impatto, insieme a Enea, è senza dubbio quella di Didone, la regina di Cartagine. L’idea non era nuova: le due città perennemente nemiche, agli inizi della loro storia, erano rappresentate da due amanti. Virgilio però riesce a rendere davvero immortale questa storia d’amore, un amore segnato dal “furor”, dalla passione furibonda, che non poteva avere nessuna diversa conclusione se non una tragica, col suicidio di Didone e la maledizione di eterno odio fra Romani e Cartaginesi.
Didone ed Enea, tragici amanti, hanno fatto la gioia degli scrittori di opere liriche: un amore tormentato, un conflitto insanabile, la possibilità di inserire altre trame parallele, la collocazione in un Oriente più o meno evanescente. Nella storia virgiliana c’è già tutto, basta aggiungere un po’ di musica, e il gioco è fatto. Per l’Italia, basti pensare, nel XVIII secolo, alla “Didone abbandonata” di Pietro Metastasio, messa in scena per decenni nei teatri di tutta Europa: cambiava la musica, restava il testo del poeta italiano.
Per conoscere l’opera che il Conservatorio “Maderna” di Cesena ha messo in scena venerdì 10 settembre, invece, bisogna risalire indietro nel tempo: era il 1689 quando il trentenne Henry Purcell, su libretto di Nahum Tate, mise in scena “Dido and Aeneas”, un testo assai breve, benché diviso in tre atti, in cui ci sono molte notevoli libertà, che costringono a interpretare in modo molto differente la vicenda di Enea e Didone. Il cambiamento più rilevante sta nel fatto che in Virgilio Enea se ne deve andare da Cartagine, dove si trova, amato da Didone, che lo vorrebbe sul trono della nuova città accanto a lei, per un ordine diretto di Mercurio, messaggero degli dèi. Il dovere di Enea non è quello di poltrire a Cartagine, ma di giungere in Italia e lì dare l’avvio a quegli eventi che porteranno alla nascita di Roma. Come si vede, il sacrificio d’amore è ben giustificato dalla prospettiva provvidenziale dell’immenso impero romano.
Nell’opera di Purcell, invece, niente di tutto questo: Enea abbandona Didone per una congiura di streghe. Le streghe vogliono la rovina di Didone, e una di loro annuncia: «Il mio fido folletto, nelle sembianze di Mercurio inviato da Giove, lo accuserà dell’indugio, e lo costringerà a salpare stanotte con tutta la flotta!». Questo cambiamento rivoluziona la prospettiva dell’opera: non c’è nessun fine provvidenziale, non c’è nessuna decisione degli dèi, ma la malvagità delle streghe, che trionfa sull’amore di Enea e Didone.
L’opera di Purcell fu riesumata da Benjamin Britten (1913-1976), che si presentò, soprattutto nel secondo dopoguerra, come l’erede della tradizione musicale inglese, che in Purcell vedeva il suo primo e più grande esponente. Per questo motivo la sua versione acquista un significato ulteriore, un dialogo lungo l’arco dei secoli, dal XVII al XX. Ed oggi, con l’allestimento del “Maderna”, fino al XXI secolo.
Il conservatorio cesenate aveva già messo in scena “Dido and Aeneas”, nel 2012: l’edizione cui abbiamo assistito venerdì 10 settembre 2021 (con un suggestivo rovesciamento del numero dell’anno, quasi un simbolico collegamento sotterraneo) si segnala per la necessaria semplicità dell’allestimento, una frugalità cui i tempi ci hanno costretti. Può però essere l‘occasione per una riflessione sulla natura profonda del teatro: spogliato di tutto o quasi, senza scene, senza costumi, senza nulla se non la musica, le voci, la gestualità, il teatro in musica può riscoprire il suo “recitar cantando”.
La necessità ha spinto il regista Alfonso Antoniozzi verso l’essenza dell’opera: pochi gesti, poche movenze, sfruttamento completo delle potenzialità dell’illuminazione (la luce può essere uno straordinario artificio scenico, di cui molte volte ci si dimentica), ed ecco il prodigio. L’opera, vecchia di secoli, riprende vita: acquisisce anche tutto il teatro che c’è stato nel mezzo, fra noi e Purcell, ed ecco che le streghe hanno aspetti del teatro espressionista, oppure la gestualità fra Didone ed Enea rimanda all’arte neoclassica.
Tutto si tiene, in questa opera brevissima (un’ora scarsa) ma di straripante efficacia drammatica e musicale. Il cast è copioso, e Samantha Faina si segnala per una Didone lirica, commossa, commovente; molto efficace Eleonora Benedetti nel ruolo di Belinda, sorella di Didone (quella che in Virgilio si chiama Anna). Ottime le streghe: Daniela Pini, Anastasia Egorova, Camilla Pacchierini. Ma in generale tutti bravi gli interpreti sul palco e quelli sotto il palco, un’orchestra assai ridotta secondo i parametri moderni: otto violini, due viole, due violoncelli, due contrabbassi, due flauti, il clavicembalo. Tutti ben diretti da Gabriele Raspanti.
Tanti applausi alla fine, da un pubblico abbastanza numeroso, pur con tutti i distanziamenti in vigore, per una ripartenza che, questa volta, ci auguriamo definitiva.